In Iran continuano le condanne a morte nel silenzio colpevole dei paesi democratici, Peggio del silenzio, è la sostanziale connivenza di quei governi che continuano a presentarsi con il cappello in mano. Sul CORRIERE della SERA di oggi, 11/10/2009, a pag.14 e 8 la cronaca di Viviana Mazza e il commento di Paolo Conti:
Viviana Mazza- " Repressione in Iran, la parola passa la boia "
la morte per chi dissente
Sei lettere, tre vite. «M.Z., A.P., M.E.». Tre iraniani sono stati condannati a morte in Iran per «coinvolgimento» nelle proteste contro la vittoria di Ahmadinejad alle elezioni del 12 giugno. Il ministero della Giustizia li ha identificati così: solo con le iniziali. Due sono accusati di legami con la Anjoman-e Pedeshahi , associazione monarchica definita «terrorista» da Teheran; il terzo d’essere membro dei Mujahedin del popolo, gruppo che ha condotto la lotta armata contro il regime e che anche gli Usa inseriscono nella lista nera del terrorismo (depennato da quella dell’Ue). M.Z. potrebbe essere Mohammed-Reza Ali Zamani (nome rivelato da siti riformisti) che è davvero membro del gruppo monarchico (ma secondo la portavoce lavorava alla radio, non ad attentati pianificati dalla Cia). Sono i primi dimostranti condannati a morte. Ma altri verdetti sono stati emessi, dice il ministero, senza dare dettagli: «18 hanno fatto ricorso». Le condanne sono coerenti con il modo in cui le autorità hanno presentato le proteste: non come un movimento spontaneo di milioni di iraniani che accusano il governo di brogli, ma come un complotto guidato da agenti stranieri.
L’annuncio arriva in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte. Quest’anno vi sono state in Iran almeno 277 esecuzioni (confermate dai media ufficiali) per narcotraffico, omicidio, stupro o aver «generato insicurezza nella società»; tra loro, tre minorenni. «Sono molte di più dell’anno scorso», dice da Oslo Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di Iran Human Rights che nel 2008 ne contò 350. «Il numero è aumentato molto dopo le proteste. Dal 1˚ luglio ne sono state rese note 132». Non sono legate alle proteste.
Ma è difficile identificare i condannati, indicati spesso solo con le iniziali. «Un afghano è stato impiccato come narcotrafficante ma per la famiglia è stato arrestato durante una protesta». È difficile avere notizie. «Dopo le elezioni le autorità iraniane hanno lanciato una campagna contro i movimenti della società civile», dice Amiry-Moghaddam. Durante il processo ai dimostranti del 1˚ agosto, le autorità hanno accusato difensori dei diritti umani come Shirin Ebadi d’essere parte del «complotto ». L’avvocato Mohammad Mostafaei, che difende i minorenni nel braccio della morte, è stato rinchiuso a Evin per «complotto contro lo stato». «I diritti umani sono visti come una questione di sicurezza. Le esecuzioni non sono usate contro il crimine, ma per diffondere paura nella società».
Mostafaei si recherà a Evin oggi alle 4 del mattino. Un suo assistito, Behnoud Shoojaee, 21 anni, verrà impiccato per un omicidio che avrebbe commesso a 17 anni. Si dice innocente. Il 18 giugno 2005, Behnoud passeggiava a Parco Vanak, Teheran. Il ventenne Omid lo avrebbe attaccato e minacciato col coltello. Behnoud lo colpì al petto con un frammento di vetro raccolto a terra, una volta, e fuggì. Mostafaei lo ha incontrato dopo la condanna: punta sulla legittima difesa e sull’autopsia che parla di ferite multiple da coltello. Behnoud ha sfiorato l’esecuzione 5 volte, poi è stata rimandata. Può ottenere il perdono se paga una somma ai familiari di Omid, proibitiva per lui orfano di madre, padre tossicodipendente. Gli artisti iraniani hanno lanciato una campagna, raccolto 100 milioni di toman (70mila euro), convinto la famiglia di Omid. Ma il tribunale li ha convocati: «Nuocete all’atmosfera politica del Paese». La famiglia si è tirata indietro. La Ue ha protestato. «Non basta protestare prima e condannare dopo, senza conseguenze — dice Amiry- Moghaddam —. Non si tratta di imporre valori occidentali: c’è un movimento interno che ha bisogno di appoggio».

Paolo Conti- " Pena di morte e diritti negati, è la falsa democrazia iraniana "
Ad ogni contestazione che arriva dall’Occidente sulla qualità a dir poco dubbia del suo modello democratico, l’Iran puntualmente risponde citando le cifre sull’affluenza alle urne nelle elezioni presidenziali e parlamentari. Formalmente e sulla carta, l’Iran sarebbe dunque una democrazia, persino il sostegno popolare lo confermerebbe. Ma naturalmente l’assenza di qualsiasi dibattito politico e il filtro che la struttura del regime impone sulle candidature (basta il sospetto di essere «cattivi fedeli musulmani» per essere esclusi, e in un regime religioso solo la lealtà al «sistema» è una garanzia di affidabilità) sottraggono ogni credibilità a quella pseudodemocrazia.
Non bastasse un simile, ovvio argomento, eccone un altro. Nessuna democrazia al mondo punisce con la morte chi organizza una manifestazione di opposizione a un governo, a un presidente. Ieri l’Iran lo ha fatto con tre cittadini colpevoli di aver gridato in piazza contro Ahmadinejad e il suo governo, soprattutto contro una rielezione che presenta mille lati oscuri. Non esiste alcun Paese dotato di un libero Parlamento che possa accusare qualcuno di «essere stato coinvolto nei fatti post-elettorali », quando quei «fatti» sono non un complotto o un tentativo di golpe orchestrato chissà dove e all’oscuro, ma manifestazioni pubbliche, tenute coraggiosamente all’aperto. Cioè il sale di ogni democrazia veramente compiuta.
Adesso Stati Uniti ed Europa sembrano aver trovato un serio canale di comunicazione con Teheran sul nodo nucleare. Sarebbe un atteggiamento molto colpevole se, nel nome della Realpolitik, si abbandonassero le pressioni internazionali sulla questione molto ampia dei diritti umani in Iran. Tre vite umane per una manifestazione sono un peso insostenibile per qualsiasi trattativa che voglia essere eticamente corretta.
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