Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 07/10/2009, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Gaza, quei nuovi ricchi nel tunnel della miseria".
Giorgio scrive : " se Israele con l’embargo contribuisce a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, il governo di Hamas finge di non vedere i guadagni immensi di poche centinaia di persone. Proprio come faceva l’Anp fino a quando ha governato Gaza. La redistribuzione della ricchezza non era un priorità per il liberista presidente Abu Mazen, non lo è nemmeno per il premier islamista Ismail Haniyeh.". Se negli articoli dei giorni scorsi la popolazione di Gaza veniva descritta come sempre più povera, ora Giorgio scopre che alcuni individui dotati di iniziativa hanno trovato un sistema per arricchirsi. Giorgio ne attribuisce la responsabilitàn a Israele e ad Abu Mazen (" presidente liberista "). La colpa, però, è anche di Hamas, non per la sua politica terrorista e per il suo remare contro i processi di pace, ma per il suo scarso interesse per la " redistribuzione della ricchezza ". La popolazione di Gaza, secondo Giorgio, è vittima di un governo troppo poco comunista. Suggeriamo a Giorgio un'inchiesta: andare a Gaza e scoprire che fine hanno fatto i 4 miliardi e mezzo di $ stanziati per la ricostruzione dopo Piombo Fuso e scoprire chi se li è intascati.
La situazione a Gaza è molto più complessa di quanto crede Giorgio. La sua analisi andrebbe affidata ad un giornalista serio e professionale, cosa che manca al Manifesto. Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
Il salone di bellezza «Rosy» è al primo piano del Mustaha, una ventina di piani di vetro e cemento che ricorda le torri di Dubai. Il piccolo ufficio di Abu Samir, il proprietario, è stato ricavato in un angolo del salone dove sono esposti centinaia di vestiti da donna.Modelli dai colori sgargianti, impreziositi da cuciture e ricami non proprio all’ultimamoda, ma che a Gaza vanno a ruba. Le figlie della borghesia li acquistano per matrimoni e serate esclusive lontane dagli occhi del resto della popolazione. «Quanto costa un abito da sera così? Tra i 500 e i 600 dollari», spiega Abu Samir. «Anche se con molta fatica a causa del blocco israeliano, riesco ugualmente a far arrivare capi di abbigliamento confezionati in Giordania, Egitto, Turchia, Stati Uniti. La richiesta non manca e faccio quello per posso per soddisfarla», prosegue lanciando invettive contro l’occupazione israeliana ma anche contro la società locale «sempre più conservatrice», guardandosi bene però dal criticare Hamas. Piuttosto Abu Samir si lamenta per l’assenza di ristoranti internazionali: «Sono stanco di mangiare cibi arabi, mi piace la cucina italiana e anche quella francese, ma qui pochi la conoscono». Nella Striscia che soffre il duro embargo israeliano e le conseguenze della chiusura del valico di Rafah attuata dall’Egitto, l’élite ricca non vuole rinunciare a un’esistenza confortevole. Qualche giorno fa John Ging ha denunciato che il 30% delle famiglie di Gaza vive in povertà assoluta e fa fatica a nutrirsi a sufficienza nonostante gli aiuti internazionali. Il direttore dell’Unrwa (l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi) ha quindi ribadito la richiesta della fine immediata dell’assedio di Gaza. A questi poveri si sono aggiunte le migliaia di proprietari di negozi e piccole imprese con tre o quattro dipendenti che hanno dovuto chiudere a causa del blocco. Anche l’élite palestinese ha subito danni e perdite, a causa soprattutto dell’offensivamilitare israeliana «Piombo fuso» dello scorso gennaio,ma ha saputo prontamente adattarsi alle nuove condizioni. Il «Rosy» offre un servizio «relax» a chi deve superare il trauma della guerra. Una maschera facciale costa dai 15 ai 50 euro, un massaggio 40 e un abbonamento mensile alla palestra 35. Prezzi vantaggiosi, se paragonati a quelli europei, ma a Gaza inaccessibili ai più, se si tiene conto che con 50 euro una famiglia riesce ad andare avanti per almeno dieci giorni e quelle più povere resistono anche un mese. « Abbiamo circa 250 donne iscritte, dai 14 ai 60 anni, quasi tutte palestinesima anche qualche straniera che lavora per l’Onu o le ong - continua Abu Samir -: si trattengono un paio d’ore, si rilassano, fanno ginnastica, la sauna, un massaggio. Se vengono per le cure di bellezza rimangono nei nostri locali fino a sera». Tra le clienti non poche mogli dei funzionari dell’Anp a Gaza che - in attuazione del boicottaggio dell’amministrazione di Hamas ordinato dal premier Salam Fayyad -, come circa 20mila dipendenti dell’Anp, percepiscono lo stipendio ma non lavorano. Il salone «Rosy» però ha difficoltà a procurarsi i prodotti di bellezza. Abu Samir non vuole servirsi delle decine di tunnel sotterranei di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, attraverso i quali passa tra il 10 e il 15% dei generi di prima necessità. «Dall’Egitto non arrivano prodotti di qualità, meglio chiedere aiuto a qualche amico straniero che si sposta tra Gaza e Israele», spiega. Non ha di questi «problemi» Maamon Khozendar, proprietario assieme ai suoi quattro fratelli della Khozendar Sons Company Ltd e uno dei palestinesi più ricchi della Striscia. Sostiene di aver subito, a causa di «Piombo fuso», danni per 2-3 milioni di dollari. Ma i tunnel scavati dalle famiglie di Rafah che ha affittato neimesi scorsi gli hanno già fatto recuperare quanto ha perduto lo scorso gennaio e i profitti generati dal traffico sotterraneo sono enormi. «La nostra società si occupa di distribuzione di carburante e attualmente ricevo dai cunicoli quanto serve per rifornire buona parte di Gaza. Pago agli egiziani benzina e gasolio a prezzi stracciati e lo rivendo a un terzo di quello che viene da Israele: riesco ugualmente ad realizzare un buon guadagno» racconta Khozendar. Uno dei suoi fratelli da qualchemese risiede in Egitto. «Lo chiamo, gli dico cosa ci serve e lui si preoccupa di far passare tutto attraverso i tunnel », aggiunge con aria soddisfatta. La Khozendar Company non si occupa solo di carburante ma anche di vendita di automobili di lusso e motociclette, distribuzione di bombole del gas da cucina, agricoltura, costruzioni, commerci di ogni tipo. Con le sue auto Maamon Khozendar soddisfa i desideri dei nuovi ricchi, alcune centinaia di palestinesi che hanno fatto fortuna grazie ai tunnel. Ordinando merci in Egitto e rivendendole a Gaza, queste persone hanno messo da parte centinaia di migliaia di dollari e ora girano in Mercedes e Bmw, e forse ringraziano l’assedio israeliano e i «fratelli» egiziani per aver favorito il contrabbando e il mercato nero. E non vanno dimenticati i proprietari dei palazzoni moderni sul lungomare di Gaza city e nel quartiere residenziale di Rimal. Vivono di rendita grazie alle centinaia di appartamenti che affittano agli operatori umanitari e ai cooperanti stranieri che lavorano nella Striscia. Sorridono anche gli agenti immobiliari. Dopo la distruzione di migliaia di case da parte delle forze armate israeliane, tante famiglie lasciano Beit Hanun, Jabaliya, Beit Lahiya e altre località vicine al confine per paura di nuovi bombardamenti e cercano casa a Gaza city e lungo la costa. «I prezzi sono quasi raddoppiati nelle aree più sicure, a Rimal e sul lungomare non si trova nulla a meno di 2mila dollari per metro quadrato» dice Tareq Abu Ahmad, un «simsar» (mediatore immobiliare) di Sudaniyeh. Incalcolabili sono poi i prezzi delle ville lussuose a nord di Gaza, sulla costa, di cui la maggioranza che vive nella miseria nemmeno conosce l’esistenza. E se Israele con l’embargo contribuisce a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, il governo di Hamas finge di non vedere i guadagni immensi di poche centinaia di persone. Proprio come faceva l’Anp fino a quando ha governato Gaza. La redistribuzione della ricchezza non era un priorità per il liberista presidente Abu Mazen, non lo è nemmeno per il premier islamista IsmailHaniyeh. «Stabilità» era e rimane la parola d’ordine nella Striscia. «Ufficialmente siano tenuti a pagare alle autorità tasse in proporzione al nostro reddito, ma alla fine un compromesso conveniente per tutti lo troviamo sempre» spiega Maanon Khozendar sistemando la sua lunga e candida jalabiya mentre cerca la posizione più confortevole sul divano.
Per inviare la propria opinione al Manifesto, cliccare sull'e-mail sottostante