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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2009 Perchè la richiesta di più truppe in Afghanistan va appoggiata
L'intervista a George Joulwan di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2009
Pagina: 13
Autore: Maaurizio Molinari
Titolo: «Non soltanto militari, serve un esercito di civili»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2009, a pag. 13, l'intervista di Maurizio Molinari a George Joulwan, ex comandante supremo della Nato, dal titolo " Non soltanto militari, serve un esercito di civili ".

 George Joulwan

In Afghanistan servono rinforzi civili, non solo militari». Così il generale americano George Joulwan, ex comandante supremo della Nato, riassume lo scenario strategico del conflitto che sta mettendo a dura prova tanto l’Alleanza che la Casa Bianca.
In questi otto anni cosa è stato ottenuto e cosa ancora sfugge alla Nato?
«L’intervento venne deciso in risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti perché è dall’Afghanistan che Osama bin Laden li organizzò, grazie a protezione e sostegni dei taleban. Vi fu una campagna aerea e di terra che riuscì a deporre i taleban. L’Alleanza invocò per la prima volta la difesa collettiva perché mai prima un suo membro aveva subito 3000 morti civili per un attacco contro il suo territorio. Ciò che è mancato è stato un efficace addestramento delle truppe afghane all’indomani della caduta del regime del Mullah Omar. Dopo la sconfitta i taleban prima sono fuggiti e poi sono potuti tornare perché le forze governative afghane non erano pronte come avrebbero dovuto. L’errore americano è stato nel distrarsi con la campagna in Iraq mentre la Nato ha tardato nell’addestramento degli afghani. Questa coincidenza di fattori ha consentito ai taleban di rialzare la testa e di riorganizzarsi».
Come giudica il livello di cooperazione fra i partner della Nato nella più lunga campagna militare mai condotta?
«Per funzionare la Nato ha bisogno di chiarezza. Sono le ambiguità e i sottintesi a nuocerle. La cooperazione finora ha avuto risultati dubbi perché non c’è stata totale chiarezza. Ad esempio non è chiaro se la Nato deve combattere i narcotrafficanti, che consentono ai taleban di finanziarsi, oppure no. Ora il generale Stanley McChrystal chiede alla Nato di condividere una strategia per la protezione dei civili. E’ il momento di fare questa scelta: tutti i 28 Paesi della Nato ne devono essere partecipi e protagonisti. Avere diverse velocità di intesa non giova».
Che opinione si è fatto della strategia dei taleban, in che maniera tentano di vincere la guerra?
«I taleban sentono di avere dalla loro il fattore tempo. Noi ragioniamo in termini di anni, stagioni, settimane, durata di governi o presidenti. Loro invece ragionano in termini di decadi. Non hanno fretta. Sono convinti che gli basterà resistere, non soccombere, per prevalere nel lungo termine quando la nostra volontà di combattere in Afghanistan sarà svanita».
McChrystal chiede fra 30 e 40 mila uomini in più per poter difendere i civili, sradicando i taleban dal territorio. L’amministrazione Obama è divisa sulle scelte da compiere. Per lei si tratta della strategia migliore per vincere?
«Credo di sì. La tesi di McChrystal è che bisogna essere dentro città e villaggi, fra la popolazione, per impedire ai taleban di imporsi con la violenza e per consentire la ricostruzione. È la migliore strategia possibile per la stabilizzazione. È giusto affiancarla con attacchi mirati contro i taleban e Al Qaeda sulla base delle informazioni di intelligence. Con l’andare del tempo questo approccio porta ad un maggiore impegno civile e minore militare perché è proprio così che si termina un conflitto: i soldati lasciano il posto ai civili. Fu così che la Nato riuscì a stabilizzare la Bosnia Erzegovina a metà degli anni Novanta».
Lei ha prestato per 18 anni servizio in Europa. Come legge le polemiche fra alleati sul ritiro delle truppe?
«A mio avviso nascono da un’impostazione non del tutto corretta. Ciò che oggi serve all’Afghanistan non sono solo le truppe combattenti. Servono istruttori, polizia civile come i vostri carabinieri, ingegneri, geometri, insegnati, giudici, contabili. I rinforzi devono essere anche civili. La Nato è su questo che deve confrontarsi. Siamo nella fase della ricostruzione. Il dibatitto su mandare più o meno truppe porta fuori strada e non tiene conto della strategia di McChrystal, che fa perno sui rinforzi civili».
Che idea si è fatta del ruolo dell’Italia in Afghanistan?
«Conosco il vostro Paese e ne apprezzo le forze armate. La morte di sei italiani a Kabul è stata un duro colpo anche per me, che ne ho avuti molti al fianco. L’Italia ha tutte le carte per recitare un ruolo di leadership in Afghanistan: qualità dei reparti e competenza nella ricostruzione. Deve però affrontare apertamente le critiche alla presenza in Afghanistan. Le obiezioni devono venire alla luce e chi guida il Paese deve rispondere, spiegando che ci sono dei momenti nei quali vale la pena combattere».
Quali sono questi momenti?
«Quando in palio ci sono libertà e democrazia, come è in Afghanistan. Ho sempre fatto di tutto per non far rischiare la vita ad miei uomini. Ma ho anche sempre detto loro che ci sono delle ragioni per cui andare in guerra».

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