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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.10.2009 Ritratto di una delle 20 palestinesi liberate in cambio di un video
Perchè era in carcere, la sua bella famiglia, i suoi propositi. di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 ottobre 2009
Pagina: 19
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Lenan torna libera grazie a Shalit, stanca di guerra non di vendetta»

Francesco Battistini ci dà un ritratto di una delle 20 palestinesi liberate in cambio del video con Gilad Shalit sul CORRIERE della SERA di oggi, 04/10/2009, a pag.19, con il titolo " Lenan torna libera grazie a Shalit, stanca di guerra non di vendetta ". Da leggere, per capire chi è una cittadina del futuro stato palestinese, quali sono le sue idee, come ha vissuto finora, e cosa si propone per l'avvenire.
Ecco l'articolo:

BEIT FOREEK (Cisgiordania) — Che festa. I datteri, le bibite, il caf­fè. I vassoi che traboccano di «mansaf», il riso con la carne. I fio­ri di stoffa mandati dal presidente Abu Mazen. È tornata Lenan: «Vi­va Lenan!».

Duemila persone che chiama­no, abbracciano, invitano. La casa di Lenan non c'è più, l'hanno but­tata giù i bulldozer israeliani. Il pa­ese gliela trova subito, da una cugi­na: il letto sfatto, le pareti verdine, i ritratti dell'intifada, una kefiah biancorossa del Fplp, il Fronte po­polare per la liberazione della Pale­stina. Entra un gruppo di donne.

Lenan si alza con un gridolino. Loro ridono, lei fuma. Loro osten­tano indifferenza all'ospite ma­schio, lei lo presenta. Loro sono tutte velate. Lei è in una maglietta strizzata nera con la scritta a perli­ne, i jeans attillati. Loro dicono «a Dio piacendo», lei cita Arafat: «Sa perché mi chiamo Lenan? In ono­re di Lenin. Noi siamo comunisti». Lei non se lo mette, il velo. E for­se è per questo che la sua foto fuo­ri cella è finita su tutti i giornali: un bel sorriso, gli occhi accesi. Pic­chietta l'indice sui capelli lunghi, neri, liberi di cadere: «Conta quel­lo che sta dentro la testa, non so­pra... ».

Dentro la testa di Lenan Yousef Abu Ghalmeh dovrebbe esserci un pensiero di gratitudine per Gilad Shalit, il caporale israeliano seque­strato da Hamas. Pur d'avere un suo video, la prova che sta bene, il governo Netanyahu ha accettato di scarcerare lei e altre 19 palesti­nesi. Destini barattati.

«Gratitudine? Il mondo si com­muove per Shalit e se ne frega del­le migliaia di nostri compagni in
carcere. Shalit è un soldato sioni­sta che sapeva cosa stava facen­do ».

Lenan ha sei anni più di Gilad, ma ha vissuto molte più vite. Ba­sta guardarli. Lui in quel dvd, pri­gioniero da 1.200 giorni, ragazzo­ne alto che ricorda le gite coi geni­tori e fa qualche passo ciondolan­te e si vede che ha giocato tanto a basket, soldato per caso.

Lei che passeggia per Beit Fo­reek, dieci chilometri da Nablus, e il suo primo giorno di libertà va a passarlo al cimitero, a baciare la tomba del marito, una voglia di vendicarlo che non le è ancora pas­sata. «L'ho gridato quando gl'israe­liani me l'hanno ammazzato. Lo griderò sempre: la pagheranno».

Avevano detto che le detenute rilasciate erano di basso profilo,
condannate a meno di due anni. Non è vero: la Lenin palestinese doveva scontarne cinque e ha un elenco così, di vendette da consu­mare. Vedova d'un terrorista che uccise in un'imboscata cinque sol­dati israeliani. Sorella d'un ergasto­lano che assassinò il ministro del Turismo israeliano, Rahvaam Ze­vi. Lavare quel sangue, riscattare il fratello è un suo chiodo fisso: con altre due donne, nel 2004, era sta­ta reclutata per farsi esplodere.

Il suo capocellula mandò a pren­dere il plastico in una grotta, era tutto pronto. Poi, un informatore spifferò. E arrivò l'esercito, il capo fu ammazzato. «L'esplosivo non l'ho mai avuto — racconta —. Ma evidentemente ero sulla lista nera. Un giorno mi bloccano al check point di Hawawa. Mi fanno appog­giare la borsa, la prendono a mitra­gliate. Mi ammanettano. E mi con­dannano a tre anni, più due extra per essere moglie e sorella di terro­risti ».

Arrestata per conto terzi, scarce­rata per conti più grandi di lei.

Lenan ripete come una giacula­toria che «l'unico modo per tratta­re coi sionisti è combatterli». An­cora a mano armata? Stare in una cella tre per tre assieme ad altre sei, il cesso in comune e il lavandi­no fuori, «una cosa che somiglia più a una stalla», un po' le ha fatto cambiare idea: «No, di coinvolgi­menti militari non voglio più sa­perne ».

In Palestina una vedova di 29 an­ni, senza lavoro, impegnata nella lotta, non ha molte scelte... «Sarà dura. Difficile. Però è venuto a tro­varmi anche il segretario del Fron­te di Nablus. Mi ha detto: hai già fatto molto. Lascia che ci pensia­mo noi». Picchietta l'indice sui ca­pelli lunghi, neri, liberi di cadere: «Intanto, mi godo la libertà. La vendetta è un pensiero...».

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