Francesco Battistini ci dà un ritratto di una delle 20 palestinesi liberate in cambio del video con Gilad Shalit sul CORRIERE della SERA di oggi, 04/10/2009, a pag.19, con il titolo " Lenan torna libera grazie a Shalit, stanca di guerra non di vendetta ". Da leggere, per capire chi è una cittadina del futuro stato palestinese, quali sono le sue idee, come ha vissuto finora, e cosa si propone per l'avvenire.
Ecco l'articolo:
BEIT FOREEK (Cisgiordania) — Che festa. I datteri, le bibite, il caffè. I vassoi che traboccano di «mansaf», il riso con la carne. I fiori di stoffa mandati dal presidente Abu Mazen. È tornata Lenan: «Viva Lenan!».
Duemila persone che chiamano, abbracciano, invitano. La casa di Lenan non c'è più, l'hanno buttata giù i bulldozer israeliani. Il paese gliela trova subito, da una cugina: il letto sfatto, le pareti verdine, i ritratti dell'intifada, una kefiah biancorossa del Fplp, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Entra un gruppo di donne.
Lenan si alza con un gridolino. Loro ridono, lei fuma. Loro ostentano indifferenza all'ospite maschio, lei lo presenta. Loro sono tutte velate. Lei è in una maglietta strizzata nera con la scritta a perline, i jeans attillati. Loro dicono «a Dio piacendo», lei cita Arafat: «Sa perché mi chiamo Lenan? In onore di Lenin. Noi siamo comunisti». Lei non se lo mette, il velo. E forse è per questo che la sua foto fuori cella è finita su tutti i giornali: un bel sorriso, gli occhi accesi. Picchietta l'indice sui capelli lunghi, neri, liberi di cadere: «Conta quello che sta dentro la testa, non sopra... ».
Dentro la testa di Lenan Yousef Abu Ghalmeh dovrebbe esserci un pensiero di gratitudine per Gilad Shalit, il caporale israeliano sequestrato da Hamas. Pur d'avere un suo video, la prova che sta bene, il governo Netanyahu ha accettato di scarcerare lei e altre 19 palestinesi. Destini barattati.
«Gratitudine? Il mondo si commuove per Shalit e se ne frega delle migliaia di nostri compagni in carcere. Shalit è un soldato sionista che sapeva cosa stava facendo ».
Lenan ha sei anni più di Gilad, ma ha vissuto molte più vite. Basta guardarli. Lui in quel dvd, prigioniero da 1.200 giorni, ragazzone alto che ricorda le gite coi genitori e fa qualche passo ciondolante e si vede che ha giocato tanto a basket, soldato per caso.
Lei che passeggia per Beit Foreek, dieci chilometri da Nablus, e il suo primo giorno di libertà va a passarlo al cimitero, a baciare la tomba del marito, una voglia di vendicarlo che non le è ancora passata. «L'ho gridato quando gl'israeliani me l'hanno ammazzato. Lo griderò sempre: la pagheranno».
Avevano detto che le detenute rilasciate erano di basso profilo, condannate a meno di due anni. Non è vero: la Lenin palestinese doveva scontarne cinque e ha un elenco così, di vendette da consumare. Vedova d'un terrorista che uccise in un'imboscata cinque soldati israeliani. Sorella d'un ergastolano che assassinò il ministro del Turismo israeliano, Rahvaam Zevi. Lavare quel sangue, riscattare il fratello è un suo chiodo fisso: con altre due donne, nel 2004, era stata reclutata per farsi esplodere.
Il suo capocellula mandò a prendere il plastico in una grotta, era tutto pronto. Poi, un informatore spifferò. E arrivò l'esercito, il capo fu ammazzato. «L'esplosivo non l'ho mai avuto — racconta —. Ma evidentemente ero sulla lista nera. Un giorno mi bloccano al check point di Hawawa. Mi fanno appoggiare la borsa, la prendono a mitragliate. Mi ammanettano. E mi condannano a tre anni, più due extra per essere moglie e sorella di terroristi ».
Arrestata per conto terzi, scarcerata per conti più grandi di lei.
Lenan ripete come una giaculatoria che «l'unico modo per trattare coi sionisti è combatterli». Ancora a mano armata? Stare in una cella tre per tre assieme ad altre sei, il cesso in comune e il lavandino fuori, «una cosa che somiglia più a una stalla», un po' le ha fatto cambiare idea: «No, di coinvolgimenti militari non voglio più saperne ».
In Palestina una vedova di 29 anni, senza lavoro, impegnata nella lotta, non ha molte scelte... «Sarà dura. Difficile. Però è venuto a trovarmi anche il segretario del Fronte di Nablus. Mi ha detto: hai già fatto molto. Lascia che ci pensiamo noi». Picchietta l'indice sui capelli lunghi, neri, liberi di cadere: «Intanto, mi godo la libertà. La vendetta è un pensiero...».
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