Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/10/2009, a pag. 17, l'articolo di Flavia Amabile dal titolo " Turchia? Il no degli armeni ".
L'occhiello recita : "Una comunità che conta Gli esuli sono nove milioni, in Europa e negli Stati Uniti Professionisti, imprenditori ricchi e influenti ". Non comprendiamo il motivo di questa specificazione. Si tratta di gente sopravvissuta al massacro per mano turca. Sono definiti "Professionisti, imprenditori ricchi e influenti " perchè si oppongono alle trattative fra Armenia e Turchia e perchè non vogliono che il genocidio venga dimenticato? Ecco l'articolo:
L’appuntamento è per domani pomeriggio alle 17 in un elegante albergo di Parigi. Il presidente della Repubblica d’Armenia Serzh Sarkisian arriverà con il suo staff ma questo non renderà meno evidente quello che egli stesso sa: è un uomo solo. Per la prima volta ha contro l’intera diaspora, nove milioni di armeni disseminati ai quattro angoli della Terra, potenti, influenti, da un punto di vista economico e politico.
Dell’incontro si conosce l’orario di inizio, ma si ha un’indicazione piuttosto vaga su quando terminerà. Più o meno intorno alle nove di sera, se tutti quelli che parleranno rispetteranno le regole. Sono i rappresentanti della diaspora di 27 Paesi europei, oltre cento delegati, 83 dalla sola Francia, confluiti a Parigi a proprie spese per dire al presidente della Repubblica d’Armenia con chiarezza quello che pensano del riavvicinamento tra i due Paesi. Ognuno di loro avrà tre minuti a disposizione, e ci sono pochi dubbi su come verranno utilizzati.
È del 31 agosto il grande annuncio di essere sul punto di ristabilire le relazioni diplomatiche e di riaprire le frontiere dopo quasi un secolo di gelo. E, però, dopo aver letto i protocolli concordati tra Turchia e Armenia, gli armeni della diaspora non hanno visto alcun accenno al genocidio e hanno deciso di non appoggiare il presidente della terra dei loro antenati.
I protocolli dovrebbero ottenere la ratifica dei due Parlamenti e poi la firma il 10 ottobre a Zurigo. Ma quattro giorni fa i francesi hanno lanciato una petizione per chiedere il rifiuto degli accordi. Si chiama «Votch», ovvero «no» in armeno, e hanno invitato tutti a firmare sul sito www.votch.org. Sono giunte centinaia di firme di intellettuali e personalità di origine armena - ma non solo - di 31 Paesi diversi. Una petizione simile è stata lanciata anche in Canada.
In questo clima difficile ha inizio, quindi, il viaggio del presidente della Repubblica d’Armenia che dopo Parigi volerà a New York, Los Angeles, Beirut e in Russia. «L’obiettivo di queste visite è di ascoltare le opinioni e i punti di vista delle comunità armene rispetto al processo di normalizzazione delle relazioni armeno-turche», spiega il portavoce del presidente.
A rappresentare gli armeni italiani saranno in due, come tutti gli altri entrambi contrari alla ratifica. Alecco Bezikian, rappresentante in Italia della Federazione Euro Armena: «Siamo tutti discendenti del milione e mezzo di armeni trucidati dai turchi, chiediamo giustizia. La moderna Turchia deve ammettere gli errori del passato». E se la Repubblica d’Armenia decidesse di firmare comunque? «Cambierebbe l’atteggiamento della diaspora. Se oggi gli armeni in Armenia riescono a vivere con dignità è soltanto grazie all’aiuto della diaspora. Non è un ricatto ma la realtà».
Roberto Attarian, portavoce del Consiglio per la Comunità Armena di Roma: «Non dimentichiamo che la diaspora rappresenta tre quarti del popolo armeno, e come diaspora chiediamo che il ravvicinamento non pregiudichi la realtà storica del genocidio e non calpesti i diritti degli armeni». Un invito alla moderazione arriva da Antonia Arslan, scrittrice, autrice di due romanzi che narrano proprio la storia della fuga della sua famiglia dai massacri: «Vorrei invitare a guardare con maggiore ottimismo a questo riavvicinamento: non è detto che si sappia tutto quello che effettivamente è in gioco. Non penso che la Turchia voglia pregiudicarsi il cammino verso l’occidentalizzazione e la modernità e forse noi della diaspora non siamo in grado di capire quali sono le reali condizioni di vita in Armenia e quanto potrebbero migliorare con questo accordo».
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