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Libero Rassegna Stampa
01.10.2009 Caso Pollari: la lotta al terrorismo è una colpa ?
La cronaca di Andrea Morigi

Testata: Libero
Data: 01 ottobre 2009
Pagina: 7
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Il pm chiede 13 anni per lo 007 che fece arrestare il terrorista»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 01/10/2009, a pag. 7, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Il pm chiede 13 anni per lo 007 che fece arrestare il terrorista ".

 Niccolò Pollari

Quel gruppo di uomini che la fredda mattina del 17 febbraio 2003 prelevarono da una strada milanese l’egiziano Nasr Osama Mostafa Hassan, detto Abu Omar, rischiano fra i dieci e i tredici anni di galera dopo le richieste di condanna avanzate dai pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici al termine della requisitoria nel processo per il sequestro. Si tratterebbe comunque, anche nell’ipotesi del riconoscimento della loro colpevolezza, di una condanna teorica. Di certo l’amministrazione americana non consegnerà a una magistratura straniera agenti impegnati in un’azione antiterrorismo autorizzata direttamente dal presidente. Ed è improbabile che quei 26 agenti della Cia metteranno mai più piede in Italia. Avrebbero violato la sovranità italiana trasferendo l’ostaggio in una base militare Usa in territorio italiano e infine al Cairo, dove l’ex imam di via Quaranta era rimasto detenuto per 14 mesi e, a suo dire, torturato.Benché fossero certi che la volontà popolare non invocasse una medaglia al valore ad Abu Omar, gli autori del sequestro e soprattutto coloro che ne sono ritenuti complici, avrebbero commesso un «grave scempio del proprio dovere di fedeltà ai principi della democrazia». Così Spataro chiede al giudice la condanna degli imputati, in quanto «non ci consolerebbe pensare di avere contribuito a determinare la fine dei metodi barbari e brutali usati in questi anni contro il terrorismo».Chi potrebbe finire davvero in carcere, è l’ex numero uno del Sismi, Nicolò Pollari. La pena invocata è di tredici anni per lui e di dieci per il suo sottoposto Marco Mancini. Come minimo ha voltato la testa o più probabilmente, sostiene Spataro, invece Pollari è il «regista del sistema criminale» che ha portato all’extraordinary rendition. A sostegno della tesi accusatoria, milita un colloquio avvenuto fra Mancini e il generale Augusto Pignero da cui si evincerebbe la consapevolezza di Pollari dell’ideazione del sequestro. Tuttavia Pignero è defunto l’11 settembre del 2006 e non può confermare se l’«inspiegabile preoccupazione» dei servizi segreti italiani sulla sorte di Abu Omar sia da considerare anche una prova del loro coinvolgimento.In ogni caso, per il difensore di Pollari, Nicola Madia, il suo assistito «sarà assolto in quanto, nonostante il segreto di stato gli abbia precluso di difendersi, già emerge la sua estraneità ai fatti».Ruota proprio intorno all’utilizzo di tali “prove” la vera battaglia processuale. Da una parte, la sentenza della Consulta che afferma che vi è stata violazione del segreto di stato da parte dei magistrati di Milano, dall’altra quelli che Madia definisce i «giudizi arbitrari e congetture» del pm. Di conseguenza, «Spataro ha completamente travisato la sentenza della Corte», conclude l’avvocato ribadendo la propria «piena fiducia nella giustizia».Per altro verso, i pm hanno invece ritenuto di chiedere una sentenza di non doversi procedere per gli ex funzionari dell’intelligence italiana Giuseppe Ciorra, Luciano Di Gregori e Raffaele Di Troia, proprio perché la Corte Costituzionale avrebbe «eliminato» i documenti decisivi per dimostrare la loro colpevolezza. Spataro è tornato più volte sulle pronunce della Consulta, escludendo che «abbia potuto coprire col segreto di stato una condotta criminale».Quanto alla richiesta del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, di valutare un «fermo in flagranza di reato», qualora i pm avessero violato il segreto di Stato, è il pm Ferdinando Pomarici a denunciare «tentativi di intimidazione per impedire al pm di svolgere la propria funzione», contenuti in interpellanze al governo di alcuni politici. Cossiga non attendeva altro per replicare «agli insulti suoi e del suo collega Spataro», fornendo loro «un consiglio: si tengano alla larga dagli Stati Uniti e dai territori da essi controllati perché la Cia e l’Fbi non sono l'Aise dell’ammiraglio De Pinto e del colonnello dei carabinieri Damiano».

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