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Vi trasmetto di seguito mail inviata al Corriere, per vs. eventuale utilizzo. Apprendo dal “Corriere” di oggi (pag.61) che la Sig.ra Ventura, nel corso di un’asta di beneficenza, da lei gentilmente presentata, “assolve” un generoso donatore che, in quanto tale, “allora non era vero che era un rabbino!” (forse “ebreo” sarebbe stato lo stesso, chi lo sa?).
Non commento lo spessore culturale (sapere chi è un rabbino, e che cosa fa, ad esempio), né tantomeno il dubbio gusto della Sig.ra Ventura (visto che, non in privato, ma nell’ambito di una manifestazione pubblica, e di fronte a una platea numerosa, fa dedurre che i “rabbini” –che comunque possono solo essere ebrei-, si sa, non avrebbero certo fatto offerte di beneficenza).
Mi permetto però di immaginare che, arrivandole probabilmente delle critiche su questa esemplare performance, la Sig.ra Ventura:
- si scuserà genericamente affermando che “rabbino” in fondo è solo un modo di dire, come usare, del resto, “scozzese” o “genovese”, e non capendo che la parola è utilizzata, in questo caso, in termini DISPREGIATIVI ed OFFENSIVI (e comunque, forse anche gli scozzesi e i genovesi si iniziano un po’ a scocciare di questo andazzo) - con un po’ di buona volontà e uno sforzo di fantasia, magari verrà anche fuori che, durante la guerra, la sua famiglia ha salvato un gruppo di ebrei (se li mettessimo in fila tutti quelli che affermano di aver salvato ebrei, la comunità israelitica italiana dovrebbe ammontare almeno a 2 milioni di iscritti…).
Con la speranza che la Sig.ra Ventura, in future occasioni, ci pensi un paio di secondi prima di parlare con una certa leggerezza, vi saluto cordialmente,
Stefano Mieli
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