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Il Foglio Rassegna Stampa
29.09.2009 Giulio Meotti - Non smetteremo di danzare
Le recensioni di Bat Ye'or, Alessandro Schwed

Testata: Il Foglio
Data: 29 settembre 2009
Pagina: 6
Autore: Bat Ye'or - Alessandro Schwed
Titolo: «Un monumento di amore e coraggio che raccoglie frammenti e ricompone figure»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/09/2009, a pag. III, le recensioni di Bat Ye'or e Alessandro Schwed dal titolo " Un monumento di amore e coraggio che raccoglie frammenti e ricompone figure " del libro di Giulio Meotti " Non smetteremo di danzare" . Ecco i due articoli:

 La copertina del libro di Giulio Meotti

Bat Ye'or

Con un libro dal titolo splendido, “Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele” (Lindau, 360 pagine, 24 euro), Giulio Meotti ci offre un ritratto profondo e intenso delle migliaia di martiri israeliani ed ebrei assassinati dai terroristi palestinesi. L’autore appartiene a quel minuscolo ma prezioso gruppo di persone alle quali il mondo occidentale deve essere grato per la conservazione del suo onore, della sua libertà e della sua dignità in un periodo di controllo totalitaristico dei media, di infinita corruzione petrolifera, di terrorismo e di feroce antisemitismo. In questi giorni di odio islamico antisraeliano che agita l’intero pianeta, Meotti ci racconta la commovente storia dell’umanità e dell’eroismo di Israele. In una breve prefazione, Roger Scruton presenta il libro come un intenso racconto delle prove e delle sofferenze subite da Israele, vittima dei crimini terroristi. E critica severamente la politica d’appeasement dell’Unione europea, che ha permesso all’antisemitismo di affermarsi nuovamente in Europa. La prefazione di Scruton è seguita dalla testimonianza di Robert Redeker, che ringrazia l’autore per il grande coraggio dimostrato con il suo libro. Nascosto nella campagna francese per sfuggire alle minacce di morte degli islamisti, Redeker ricorda la resistenza della sua famiglia sotto il dominio nazista e si chiede come mai lui stesso, un cittadino francese, debba nascondersi nel proprio paese perché la libertà di pensiero e di espressione è annullata da leggi religiose importate in Europa da stranieri. E osserva come l’antisemitismo sia così forte che è ormai proibito esprimere sentimenti di simpatia per lo stato di Israele. La testimonianza di questi due scrittori esemplifica perfettamente l’attuale clima politico dell’Europa, e conferma l’eccezionale coraggio mostrato da Meotti con la pubblicazione di questo libro. Ossessionati dal bisogno di dimostrare la persecuzione subita dai palestinesi e di riversare su Israele il senso di colpa europeo per l’Olocausto nazista, i media occidentali hanno taciuto o minimizzato il martirio dei cittadini israeliani, divenuti il bersaglio preferito dei terroristi palestinesi. L’entusiasmo per i palestinesi che percorre tutta l’Europa deriva dalla disumanizzazione di Israele e dalla negazione del suo diritto all’esistenza, vale a dire dai due cardini fondamentali della politica antiebraica di Hitler. E questo è precisamente il tema di ricerca di Meotti, perché, come spiega lui stesso, la disumanizzazione dell’ebreo, la soppressione della sua identità, del suo nome, del suo volto, furono proprio i propulsori della Shoah. Allo stesso modo, nell’Europa odierna, il veleno antisemita e l’odio contro Israele sono accolti e diffusi, aprendo la strada a una nuova Shoah. L’Europa nega la storia di Israele, il suo diritto all’esistenza, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e la dignità delle vittime israeliane. Hamas e Hezbollah, due organizzazioni terroristiche che promuovono la distruzione di Israele, chiamano gli ebrei “porci”, “cancri”, “sudici”, “microbi”. Questa terminologia, sostiene Meotti, è la versione moderna della giudeofobia nazista. C’è una filiazione diretta tra i sopravvissuti della Shoah e le vittime del terrorismo palestinese. Fin dal 1973 l’Europa ha appoggiato la guerra palestinese di annientamento di Israele e sovvenzionato le più spietate organizzazioni antisraeliane presso le Nazioni Unite. Questa cultura dell’odio e della delegittimazione, finanziata dai contribuenti europei, è promossa ai più alti livelli gerarchici dell’Europa e viene diffusa dai network e dai canali internazionali dell’Ue. Il libro di Meotti si scaglia direttamente contro questa potente macchina d’odio che avvelena la politica, i media, le università e i sindacati. Per combattere l’impunità concessa alla criminalità dalla disumanizzazione delle sue vittime, Meotti ha rintracciato più di mille vittime israeliane del terrorismo. Con parole semplici e chiare, l’autore descrive la realtà quotidiana di un popolo aggredito nel proprio paese e nelle proprie città dal terrorismo palestinese. Violenti attacchi contro i civili che le Nazioni Unite dovrebbero denunciare come crimini contro l’umanità vengono attribuiti alla stessa esistenza di Israele. L’autore ricrea così la vita di un migliaio di esseri umani, giovani e vecchi, bambini, donne e uomini massacrati indiscriminatamente sul pullman, al bar, in negozio o al ristorante da persone convinte che uccidere sia un atto di fede. Dato che la stampa occidentale evita di parlare delle vittime israeliane, condannandole così all’oblio, Meotti ha deciso di scrivere questo libro come atto d’amore nei confronti del popolo d’Israele. Entrare nel mondo di dolore e sofferenze delle vittime del terrorismo è stato un compito arduo, spesso causa di frustrazione, ma nel corso dei suoi quattro anni di ricerche e di discussioni con le famiglie delle vittime l’autore è stato premiato dal calore e dalla simpatia con cui è stato accolto. E ha compreso che, nonostante le camere a gas e il terrorismo, Israele continua a rappresentare l’essenza della libertà. Per Meotti, raccontare la storia delle migliaia di martiri israeliani è stato un atto di profonda fede, un modo per essere loro vicino fino alla fine, affinché essi stessi rimangano sempre con noi. Con grande sensibilità, l’autore ricostruisce la storia, il carattere e le particolarità di ogni vittima. Attraverso le pagine del suo libro, e le diverse storie familiari, il legame tra la giudeofobia europea e islamica appaiono evidenti, trasmessi da una generazione all’altra in una catena interminabile di odio e disprezzo per la vita umana. Meotti passa dai campi di sterminio che ricoprirono l’Europa ai massacri di innocenti in Israele attraverso un ininterrotto racconto di storie familiari. E, al termine del libro, evocando la costante presenza nel nostro cuore di queste vittime, conclude con questa magnifica frase: “Le stelle non scompaiono quando noi moriamo”. Meotti ha scritto un libro profondo e straordinario, in uno stile semplice e sensibile, offrendoci il ricordo di amici deboli e indimenticabili, la vita, i sogni e le doti dei quali sono stati annientati da assassini invasati da una ideologia fondata sull’odio e la violenza. La lettura è sempre avvincente e stimola a una profonda riflessione sulla perdita dei valori fondamentali dell’occidente, sulla decadenza morale e politica che incoraggia quella distorsione della verità costantemente praticata da intellettuali e leader politici corrotti. E’ importante osservare che né Scruton, né Redeker né Meotti sono ebrei; ciononostante, al pari di molti altri europei non ebrei, sono disgustati dalla vergognosa infamia importata in Europa dal mondo musulmano. I leader politici che hanno lasciato venire alla superficie questo fango sotto la pressione del terrorismo islamico dovranno fare i conti con la resistenza degli europei, consapevoli che lo scalzamento di Israele ad opera dell’Europa non è altro che una guerra contro se stessi. In questa nostra epoca in cui la codardia è di gran moda, il libro di Meotti è un monumento di amore e coraggio dedicato alle purtroppo dimenticate vittime israeliane ed ebraiche del jihad islamico in Israele e in tutto il mondo.

Alessandro Schwed

Forte e luttuoso, esce per le edizioni Lindau il libro di Giulio Meotti “Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele”. Appassionata ricostruzione di una folla di vite spezzate dal terrorismo e cronaca dello spirito ebraico di fronte alla morte; miniera di verità sulla dolcezza ebraica; scavo dovuto alla tempra di Meotti, trentenne, giornalista del Foglio, che per quattro anni si è calato nel pozzo della morte accanto agli ebrei uccisi dal terrorismo. Sono pagine di cronaca tratta dalla storia recente di Israele, e più indietro, dal Novecento ebraico, quando Israele non c’era: dalla fondazione dei kibbutz, all’epopea cinerea della Shoah, il cui sgomento non cessa di fluire; dall’ecatombe israeliana alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, all’attacco di Mumbai nel 2008. I media tacciono sul fiume di sangue ebraico, divenuto carsico per quanto scorresse in superficie. L’informazione è calamitata dalla tragedia palestinese venduta come una canzonetta orecchiabile dove israeliano fa rima con le o di oppressore, occidentale, occupante. Ma il libro dice che l’antico popolo di Israele resiste, e se purtroppo non smette di morire, non smette di danzare; vale a dire celebra la vita secondo dettami che resistono, spesso inconsci, fin dentro la cultura laica di Israele – e le colonne della Torah sono su tutto. La lunga teoria dei martiri ebrei prende le mosse dal 1929, con il pogrom di Hebron, sede delle tombe di Abramo, Isacco e Giacobbe, trittico immanente della preghiera ebraica, Avraham, Itzhack, ve-Yahakov, e della più antica comunità ebraica sulla Terra, vissuta sotto romani, arabi, franchi e turchi - e anche qui, che silenzio sulla continuità storica della presenza ebraica. E’ nella piccola Hebron che gli ebrei furono trucidati in massa nel 1929 dalla popolazione araba, molto prima dell’aspirazione a una patria palestinese. Leggiamo il resoconto dell’accaduto: “Il 23 agosto 1929 il pogrom di Hebron cominciò con due talmudisti sgozzati (…) Un rabbino raccomandava i suoi ebrei a Dio e venne scannato. Sei studenti furono fatti sedere a turno sulle ginocchia della signora Sokolov e, lei viva, furono sgozzati. Gli uomini furono evirati. Le ragazze, le bambine, le madri e le nonne furono obbligate a ballare nel sangue e violentate”. Questa cronaca del 1929 è una sanguinosa anteprima. Vi è sottesa la storia dell’odio alla nazione ebraica, la rimozione violenta della verità che la presenza ebraica è di gran lunga antecedente a quella araba, e infine presenta il punto di vista arabo sugli ebrei: i nomi e corpi ebraici devono svanire allo sguardo e alla memoria come notizie non pervenute. A tale proposito, lo storico e docente israeliano Robert Wistrich, tra i massimi esperti mondiali di storia dell’antisemitismo, ci spiega che il movimento islamico descrive gli ebrei come figli di scimmie e maiali perché la disumanizzazione anticipa e prepara il genocidio. Ecco il resoconto della cancellazione della memoria ebraica da Hebron: “Nel 1948 i giordani presero Hebron. Rasero al suolo l’antico quartiere ebraico e al posto dei luoghi sacri ebraici costruirono il mercato e i gabinetti pubblici (…). Le pietre tombali furono usate per lastricare strade e costruire edifici”. Vale a dire che centoundici persone vennero sacrificate come capretti, e la loro mattanza fu dissimulata nel paesaggio urbano – ennesimo tentativo di togliere gli ebrei dalla Storia, smembrarli fino a renderli irriconoscibili – archetipo del terrorismo kamikaze. Le pagine che seguono, cioè l’intreccio esistenziale tra le generazioni sfuggite alla Shoah e sessant’anni dopo finite in brandelli sui marciapiedi di Israele, hanno appunto al centro la rimozione degli ebrei dalla storia: prima con i corpi e i nomi in fumo per il camino di Auschwitz, e poi con i corpi esplosi sino a divenire minuzie organiche, scollegate da un nome e da una fisionomia. Come scrive Giulio Meotti, nel nazismo e nel terrorismo islamico esiste un identico attacco ontologico “contro il nome ‘ebreo’”. In modo denso e iperbolico le storie del libro sono tutte simili e tutte diverse: differenti nelle particolarità di ogni vita, e violentemente simili nel sangue versato in modo così abbondante da far sembrare il Mediterraneo fatto di sangue ebraico; sangue di ebrei che sedevano tranquilli in una pizzeria di Haifa; erano in viaggio su un autobus in Samaria; in piedi tra la clientela di un bar di Tel Aviv. Il libro si legge con la testa girata da un’altra parte – mentre si pensa che sia mai la vita ebraica. Sfuggire alla Shoah e sessant’anni dopo perire in una pizzeria di Haifa – una normale vita ebraica non c’è. Al punto da far gridare a una donna sopravvissuta ad un attentato se la Shoah sia mai finita. La questione dell’odio pare inafferrabile e lo è, e metafisica, e lo è: gli ebrei possono avere una terra sotto i piedi? Conseguentemente, è violenta non solo la sovrapposizione di vita e morte di chi esplode in un bar mentre beve una birra; di chi rimane decapitato mentre è in un albergo con la famiglia a celebrare la cena di Pesach; è violenta la sovrapposizione tra la semplice ambizione ebraica di vivere e la predicazione all’odio di chi non vuole che Israele viva. “Busseremo alle porte del paradiso – incita Hamas – con i teschi degli ebrei” – e intorno non un microfono di telegiornale, ma una sorta di rispetto per la cultura tribale. “Gli ebrei sono come un verme parassita che divora una lumaca e vive nella sua conchiglia. Non lasceremo che vivano nella nostra conchiglia”, caldeggia Issam Sissalem, storico dell’Autorità nazionale palestinese – e che sarà mai uno storico a questo punto, che sarà mai la cultura? Di fronte a questo violento niente, si ergono fondazioni di città e kibbutz, la desalinizzazione del Mar Morto, l’agricoltura e gli alberi, l’opera delle strade e delle università. E alla fine o durante, i sacrifici personali, le morti improvvise per il terrorismo: in compagnia dei figli, o sopra i corpi dei figli, per salvarli; storie di bambini seviziati in una grotta e lapidati a morte, di sposi morti durante il matrimonio, di arcaici coloni che vivono la propria idealità, e che muoiono, viene da dire di proposito, nel solco delle storie della Torah. Nel frattempo, il libro disegna un profilo della vita in Israele. La medietà di un popolo che si divide tra vita in armi e lavoro, ufficio, un chiosco di giornalaio, la fabbrica, uno studio medico, la serata in discoteca come a Londra, Berlino o Rio; ma ecco, dentro di sé, nella nostra stessa post-modernità, inattese ed estese aspirazioni al soccorso di chi è povero, analfabeta, mutilato da guerre e attentati: una sconosciuta vita israeliana non solo pragmatica, ma segretamente caritatevole, tratto essenziale e del tutto ignorato di Israele. Sulle trecentosessanta pagine si proietta la luce delle figure che accorrono dopo gli attentati: i raccoglitori di sostanze organiche, alla ricerca delle minuzie dilaniate dei corpi, da preservare e riconoscere al microscopio di modo che la memoria della singola persona non vada perduta. E se a quanto pare la verità è un corpo esploso in tutte le direzioni, questo libro, unico, ne ha iniziato a raccogliere i frammenti, a ricomporli in figure. Le parole entrano negli occhi del lettore e lo esortano intimamente: “Ascolta Israele”.

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