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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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S.Y. Agnon, La leggenda dello scriba e altri racconti 28/09/2009

La leggenda dello scriba e altri racconti         S.Y. Agnon
Traduzione di Anna Linda Callow e Claudia Rosenzweig
Adelphi                                                                      Euro 16

Sarà pure per colpa (o virtù) di quella vecchia verità secondo cui in presenza di due ebrei ci sono almeno tre opinioni differenti, fatto sta che a parlare della loro letteratura si entra in un terreno alquanto spinoso. A incominciare dalla definizione: che cos’è la letteratura ebraica, infatti? Quali sono i suoi spazi e i suoi confini? E’ l’identità dell’autore a delimitarla? Già, ma quale: etnica, religiosa? Quando non si tratta di una vaga, quasi inconscia “origine” del suddetto. O forse è la tematica narrativa? Le domande si susseguono, se non all’infinito certo in una lunga e irrisolta sfilza. Shemuel Yosef Agnon, dal canto suo, non avrebbe problemi a rispondere alla domanda “che cos’è la letteratura ebraica”. Lui che sino ad ora è stato l’unico scrittore d’Israele a vincere il premio Nobel per la letteratura (nel 1966, a metà con Nelly Sachs), avrebbe la risposta pronta a tale busillis. Anzi, ce l’ha e la offre persino al suo lettore in un bellissimo racconto che più che una trama è una divagazione, uno scorcio d’autobiografia artistica: Il senso dell’odorato. Vi si narra l’avventura dello scrittore nella geografia e nella storia della lingua in cui egli scrive, e cioè l’ebraico. Perché per Agnon la letteratura dei figli d’Israele è definita tale dallo strumento primo e unico: la lingua. “Qualcuno potrebbe dire, come fanno alcuni stolti d’Israele: è mai possibile parlare in una lingua che da mille anni e più è sradicata dalla bocca? Perfino la maggior parte dei sapienti di questa generazione non ha la forza di misurarsi con essa: o commettono errori grossolani o scrivono in qualunque altra lingua, ma non nella lingua santa. Chi dice così non ha riflettuto sulla questione essenziale…: la lingua non è stata abbandonata nella scrittura ed è a disposizione di chiunque la cerchi”. Questo racconto dello scrittore nato in Galizia nel 1888 e morto a Gerusalemme nel 1970, è contenuto in una antologia pubblicata ora da Adelphi, La leggenda dello scriba. A parte gli ultimi due testi dallo spiccato sapore personale, negli altri si respira quell’atmosfera, un po’ magica e molto malinconica, dell’ebraismo diasporico, dello shtetl e della Mitteleuropea, sterminato nei forni crematori. Ma oltre che cantore di un mondo irrimediabilmente perduto, Agnon è anche – e soprattutto – il fondatore insieme ad altri di quella letteratura ebraica contemporanea con cui il lettore ha ormai preso lieta confidenza, ai quattro angoli del mondo. Perché è giusto sapere che i grandi Amos Oz, A.B. Yehoshua, David Grossman, Meir Shalev, Orly Castel Bloom, e persino il mitico Yaakov Shabtai morto troppo presto ma rimasto come una pietra miliare dello scrivere in ebraico, non sono figli di nessuno, anzi. Sono invece eredi di un patrimonio letterario importante, a volte persino ingombrante. Naturalmente, anche qui la questione, per il fatto stesso di essere ebraica, è controversa. V’è infatti chi riscontra nella grande letteratura yiddish a cavallo fra Ottocento e Novecento, l’archetipo dello scrivere israeliano. Per intenderci, Y. Peretz, Mendel Micher Sefarim, Shalom Aleichem. Un’altra scuola di pensiero si rivolge altrove, ed è difficile darle torto: in fondo, basta ascoltare le parole di Agnon, il suo esponente più sincero e convincente. Perché non solo l’ebraico non è mai stato una lingua morta, invece conosciuta e praticata nello studio e nella preghiera senza soluzione di continuità, per millenni: a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, infatti, questa lingua ha dato corpo a una letteratura moderna vera e propria. Che non ha avuto paura di cimentarsi con quei generi impegnativi con cui le altre grandi letterature europee stavano facendo i conti. Come il romanzo, ad esempio. Haiim Nachman Bialik (1873-1934), Uri Nissan Gnessin (1879-1913, formidabile precursore dell’intreccio fra narrativa e psicanalisi quasi ante litteram, in salsa proustiana), Yosef Haiim Brenner (1881-1921), Leah Goldberg (1911-1970) sono grandi poeti e romanzieri. Che hanno scritto in ebraico e fondato questa letteratura, nei suoi canoni, nella sua gamma stilistica. Sono, in parole povere, quei grandi classici che si studiano a scuola e si godono meglio da adulti. Sono, soprattutto, gli imprescindibili riferimenti di una letteratura come quella israeliana, apprezzata in tutto il mondo per la sua originalità, ma anche per il suo rigore intellettuale e stilistico. Insieme al grande Agnon (che, diversamente da questi racconti piuttosto tristi, nelle opere maggiori usa condire tutto di una sana dose di ironia, a volte surreale), formano un corpus importante, dove regnano tutti i sentimenti che la letteratura è in grado di depositare sulla pagina. Sono, non ultimo, autori godibili dal grande pubblico perché poco sussiegosi e soprattutto molto moderni, ancora oggi. E’ davvero giunto il tempo di presentarli a quei lettori che, come i nostri, ancora non li conoscono.

Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa


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