La Casa Bianca non ha ancora capito il pericolo di Teheran 27/09/2009
Mentre la scoperta di un secondo sito nucleare in Iranriempiva ieri le pagine di giornali e Tg in tutto il mondo, lo stesso non avveniva in Israele, dove i media si sono limitati a un generico ve l’avevamo detto, ma voi avete sempre sotto stimato il pericolo iraniano, e ve ne accorgete solo ora, quando è diventato impossibile chiudere gli occhi di fronte alle menzogne che Ahmadinejad ha sempre raccontato ai funzionari dell’Aiea, guidati da El Baradei, grazie al quale anche le democrazie occidentali si sentivano tranquille, convinte che la situazione fosse sotto controllo. Quanto fosse valido quel controllo era anche sostenuto dalla convinzione che la patata bollente dovesse rimanere in mani israeliane, essendo tutti sicuri che pure il cerino acceso avrebbe fatto la stessa fine. Sarà per questo che ieri la notizia è stata data accanto, se non dopo, altre giudicate egualmente importanti per l’opinione pubblica israeliana. Come la decisione del ministro degli esteri egiziano Ahmed Aboul Gheit, che ha detto di condividere la richiesta di Hamas, che libererà Gilad Shalit solo in cambio di mille prigionieri dalle carceri israeliane. Questo allineamento di posizioni contraddice l’impegno chel’Egitto si era assunto quando ha accettato di fare da mediatore, mentre di fatto ha dimostrato di sostenere solo la richiesta della parte palestinese. Ha preoccupato ieri gli israeliani anche il lancio da Gaza di un altro missile kassam che ha colpito il Negev occidentale, per fortuna senza vittime. C’è stata poi l’emozione per la partecipazione alla Maratona di Berlino di 1,183 israeliani il 20 settembre scorso, in quel numero preciso per ricordare i giorni di prigionia di Gilad, un numero che tutti portavano scritto addosso con caratteri molto visibili. Oppure, per non allontanarsi troppo dal palcoscenico americano, un po’ di spazio veniva anche dato alla dichiarazione di Abu Mazen, che i settlements non congelati avrebbero ritardato la ripresa del dialogo, ma, in compenso, che Bibi Netnayahu aveva fatto all’Onu un intervento di alto profilo, come ha scritto Nahum Barnea, uno dei commentatori di punta di Yediot Aharonot, il quotidiano più diffuso. Obama si faceva riprendere fra Brown e Sarkozy mentre rivolgeva l’ormai abituale monito ad Ahmadinejad, questa volta spostando il limite della pazienza da fine settembre a fine dicembre, rendendo così credibile la successiva affermazione del dittatore iraniano che con tono strafottente affermava di non avere alcun obbligo di riferire a Obama le proprie intenzioni, aggiungendo che l’Occidente la doveva smettere di interferire negli affari interni iraniani. Seguito da quel sant’uomo di Khamenei, il quale, inneggiando al secondo sito nucleare, dichiarava che “avrebbe accecato i nostri nemici “. Affermazione che ha risvegliato dall’abituale tranquillità persino El Baradei, che ha manifestato, al solito con discrezione, l’intenzione di ispezionare il nuovo sito scoperto presso la città di Qom. E’ comprensibile che il presidente di Israele, l’equilibrato Shimon Peres, abbia gratificato Ahmadinejad con la definizione di “ leader oscuro e tetro, che si concilierebbe con il Medio Evo, uno che vorrebbe uccidere come all’epoca dell’Inquisizione, predica l’omicidio e l’odio, il terrorismo, il ricorso alle armi nucleari per un genocidio “.Qualcuno ha volto interpretare l’assenza degli abituali sorrisi su volto di Barack Obama come il segnale della svolta, l’indicatore che finalmnte ha capito in quale mare sta nuotando. Ci permettiamo di dubitarne, anche se altri segnali si stanno affacciando, che lascierebbero pensare il contrario. Ma nove mesi, nei quali non ne ha imbroccata una, lisciando il pelo ai nemici e trattando male gli alleati, non si cancellano solo perchè di colpo ha scoperto che Ahmadinejad gli ha sempre mentito. Provi a cambiare qualche consigliere, alla prossima delusione si troverà meno impreparato.