Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Angelo Pezzana
Israele/Analisi
<< torna all'indice della rubrica
Barack penalizza Israele e minaccia la pace 22/09/2009


Barack Obama con Netanyahu e con Abu Mazen

E’ difficile che dall’incontro tra Barack Obama con Bibi Netanyahu e Abu Mazen possa uscirne qualcosa che assomigli alle speranze proclamate dal presidente americano. Dopo otto mesi di Casa Bianca, anche sul versante mediorientale il segnale è negativo, come è stato confermato dai colloqui dell’inviato in M.O. Mitchell. L’inesperienza di Obama brilla ancora di più se paragonata alle buone intenzioni di Bush e Clinton, che saranno state solo tali e non avranno prodotto risultati, ma almeno consideravano Israele un paese amico oltre che alleato. Questa considerazione è finita con l’arrivo di Obama, che applica allo Stato ebraico lo stesso trattamento che riserva ai governi democratici, anche loro fedeli alleati, dell’Europa orientale o alle repubbliche ex sovietiche liberatesi dal giogo comunista. Mentre di tutt’altra natura sono i rapporti instaurati con gli stati dittatoriali. La lista è lunga, dalla Corea del Nord, all’Iran, Cuba, Siria, per bene che vada la sua è una politica del sorriso e della mano aperta, in attesa che arrivi, in cambio, un mutamento di rotta. Una politica che finora gli ha procurato solo brutte figure e nessun successo. L’esempio di Israele è illuminante. Invece di rendersi conto che i problemi che hanno determinato il conflitto con i palestinesi sono risolvibili soltanto con una decisione salomonica, Obama continua ad aggirarne la soluzione con richieste che Israele non potrà mai soddisfare, stante l’obiettivo della controparte che è sempre il medesimo. Come notava Benny Morris, sul Guardian dell’ 11/9, l’obiettivo dell’OLP è ancora quello scritto nel suo atto costitutivo degli anni ’60, e cioè la distruzione di Israele. E vero che decenni di negoziati ci hanno abituato a considerare i contendenti come se fossero equivalenti, ma così non è. Gli stati arabi, e i palestinesi per loro conto dopo, hanno in sessanta anni cercato di cancellare lo Stato ebraico dalle carte geografiche, sempre regolarmente sconfitti. Questo risultato avrebbe dovuto produrre un solo e unico ragionamento, ragazzi, accontentatevi di quello che vi verrà dato, come capita a tutti coloro che vengono sconfitti in guerre che hanno scatenato. No, con i palestinesi, anche da parte di Israele, è sempre stato usato il guanto di velluto, dentro al quale non c’era nessun pugno di ferro. Prima Arafat, poi Abu Mazen, si sono visti offrire praticamente tutto quello che chiedevano, tranne il ritorno di quelli che vengono ancora chiamati “profughi”, il cui arrivo avrebbe cancellato la natura ebraica dello Stato, decretandone la fine. Eppure, ciò malgrado, il rifiuto continua ad essere il leit motiv della loro politica. Viene giudicato persino ragionevole discutere della possibilità che Gerusalemme diventi capitale di due stati, una proposta che verrebbe rifiutata da qualunque stato che la ricevesse. Ma per Israele, il ragionamento non vale, Obama ha persino sottoscritto il divieto per il governo israeliano di costruire sul suo territorio nazionale, con un ragionamento, questo sì, da stato coloniale che detta gli ordini ad una sua provincia. Fra queste acque mobili, Bibi si sta muovendo con abilità, il suo approccio è di apertura, due passi avanti e uno indietro, sa troppo bene quanto l’alleato americano sia importante per Israele, e poi Obama non è eterno, in Israele il suo consenso è sotto al 3 %, e pure in casa i sondaggi lo danno in forte calo. Prima o poi qualcuno gli farà notare che la sua politica attrae consensi fra i nemici degli Stati uniti solo perchè maltratta gli alleati, qualcuno poi gli chiederà come mai non ha preteso da Abu Mazen una spiegazione logica del rifiuto a considerare Israele uno stato ebraico, e pure perchè nell’ultimo congresso dell’Anp ha riservato accoglienze trionfanti agli autori degli orrendi massacri di civili israeliani, applauditi addirittura con ovazioni da dei rappresentanti palestinesi che il giorno dopo ci sono stati descritti quali ardenti desiderosi di pace. Obama vuole costruire ponti, ma non si chiede chi li attraverserà. Non si capisce perchè Israele debba partecipare, addirittura consenziente, alla creazione di uno stato che, a queste condizioni, potrebbe realizzare quello che è stato finora il sogno palestinese. Non la costruzione di un loro stato, ma la distruzione di un altro. Obama può anche essere in buona fede quando si augura la pace, ma è ora che si svegli, dica chiaramente quale progetto ha in mente, e Israele giudicherà se è accettabile. Prima, nulla che metta in pericolo la sua sicurezza.


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui