una delle sigle citate nell'articolo
Israele ha un merito che pochi stati democratici possono vantare, quello di essere riuscito a mantenere intatta la sua natura democratica, malgrado sia, di fatto, uno stato in guerra permanente dalla fondazione nel 1948. Mai una tentazione autoritaria ne ha toccato le strutture sociali e politiche, mai vi sono stati colonnelli con aspirazioni golpiste, l’esercito ha sempre lealmente ubbidito ai vari governi, indipendentemente dal loro colore politico. Le libertà, civili e politiche, sono una delle caratteristiche che fanno dello Stato ebraico un’oasi di democrazia compiuta in mezzo a un mare di stati autoritari nella regione, tutti musulmani, che della parola democrazia non hanno mai applicato, perché non l’hanno mai conosciuto, alcun principio. L’opposizione, di qualsiasi natura sia, è garantita in misura persino maggiore del governo stesso. Ne consegue una libertà di stampa che non ha uguali nel mondo, partiti arabi in parlamento che fanno apertamente politica contro lo Stato del quale sono cittadini, senza che questo provochi sanzioni di tipo penale, l’informazione araba ha più da temere dalla censura delle autorità palestinesi che non da Israele, dove la censura non esiste. In una situazione di totale libertà come è lo Stato ebraico, non potevano non formarsi correnti di pensiero, organizzazioni, in disaccordo persino sulla legittimità della divisione della Palestina, stabilita dall’Onu nel 1947, che avrebbe dovuto dare origine a due stati, uno ebraico e uno arabo musulmano, soluzione che però gli stati arabi rifiutarono. Se il sionismo aveva creato le premesse, politiche e umane, per la rinascita dello Stato, essere sionisti non era obbligatorio.
Un volta che lo Stato fu dichiarato, e, soprattutto, dopo la vittoria strepitosa nella guerra dei sei giorni (1967), nella quale Israele riuscì a sconfiggere tutti gli stati che stavano per distruggerla, nello Stato ebraico ci fu una minoranza che incominciò a chiedersi quale doveva essere il futuro dei territori acquisiti e delle popolazioni che li abitavano. Non è per caso che Israele non annesse mai Gaza e la Cisgiordania, limitandosi alla sola amministrazione. In realtà, quei territori, non li voleva nessuno. L’Egitto respinse l’offerta di Gaza, l’esperienza avuta fino a quel momento gli era bastata, né la Giordania volle mettere in pericolo la stabilità del regno con l’annessione di una popolazione che ne avrebbe stravolto la sicurezza. La patata bollente rimase nelle mani di Israele, con le conseguenze che conosciamo. Soltanto Gerusalemme fu riunificata quale capitale dello Stato, mentre le alture del Golan furono annesse per garantire la sicurezza al confine con la Siria, che da allora non mai più potuto bombardare e attaccare la valli sottostanti. Ma il “fattore umano” palestinese, in una società sensibile ai diritti civili che quella ebraica, non poteva non dare vita ad una serie di organismi, insieme a posizioni individuali, che di fatto avrebbero creato con il passare degli anni, una forza dalla capacità disinformativa di notevole potere, soprattutto con effetti verso l’esterno, sovente più dannosi di una minaccia terroristica. Erano nate, infatti, le prime Ong (organizzazioni non governative), che avremmo imparato a conoscere durante il loro primo raduno mondiale (diretto dalla signora Robinson, insignita lo scorso mese con la Gold Medal americana dal presidente Obama) in Sud Africa,a Durban, sponsorizzato dall’Onu, pochi giorni prima dell’ 11 settembre, nel quale si manifestò in tutta la sua violenza l’odio contro Israele e Stati uniti, di fatto la rinascita legalizzata dell’antisemitismo, che si sarebbe subito dopo diffuso in tutto il mondo. Israele non ne fu immune. Sorsero delle Ong che nulla avevano a che fare con i gruppi pacifisti precedenti, in modo particolare quello storico, Shalom Ahshav-Pace adesso, che rivendica la fine del conflitto con modalità con le quali si può essere d’accordo oppure no, ma sempre nell’ambito di una lealtà di fondo verso gli ideali comuni. No, nascevano Ong finanziate da gruppi stranieri, alcune anche con capitali islamici, dirette da personaggi ambigui, tutte unite da un odio profondo contro lo Stato, attenzione, non contro il governo, pronte a fornire mezzi e propaganda per danneggiare, soprattutto sui media internazionali, l’immagine di Israele. Ecco allora “ Breacking the silence”, rompiamo il silenzio, nella quale, attraverso testimonianze di anonimi militari, neanche una decina, peraltro, veniva messo sotto accusa lo stesso esercito di difesa israeliano per comportamenti disumani durante la guerra a Gaza dello scorso gennaio. Non ne è venuto fuori alcunchè, ma l’accusa è rimbalzata sui giornali di tutto il mondo, mentre che non c’è stato uguale spazio per le smentite.
C’è “B’Tselem “, che ha i suoi uffici a Gerusalemme e in America, che gode fra l’altro dei favori della Fondazione Carter, sempre in prima linea per accusare Tzahal, l’esercito d’Israele, di ogni sorta di ingiustizie, fino al punto che un paio di anni fa ha acquistato centinaia di cineprese, per distribuirle gratuitamente a militanti palestinesi, affinchè riprendessero quelli che dovevano essere comportamenti illegali dei soldati, immagini da trasformare poi in denunce all’autorità giudiziaria. Anche qui, va detto, l’iniziativa si risolse in buco nell’acqua, perchè le famose violenze da documentare altro non erano se non il lavoro svolto dai soldati e dalle soldatesse d’Israele ai posti di blocco lungo la barriera difensiva. Ma intanto, immagini abilmente assemblate, finivano su youtube, trasformandosi in tribunali. L’obiettivo di queste forze, all’interno dello stesso Stato, è la delegittimazione della stessa Israele, e lo si è visto in questi ultimi mesi, nei quali una truppa non numerosa ma vociante di questi “militanti” si è messa in viaggio per diffondere il messaggio che Israele è uno Stato Apartheid, che gli organismi internazionali devono boicottarlo. È vero che sono quattro gatti, ma hanno dalla loro la maggioranza dei media internazionali, nei quali la riprovazione dell’antisemitismo è totale, e il ricordo della Shoà e delle persecuzioni viene onorato come se fosse un rituale. Peccato che questo significhi poi via libera alla critica più faziosa, colma di mala fede, contro lo Stato degli ebrei vivi, Israele, soprattutto potendo esibire, a sostegno delle loro menzogne, degli israeliani, vedete, dicono, se lo affermano loro, allora è vero. Vedremo in un prossimo articolo chi sono questi “loro” e le bufale ci propinano. E perché lo fanno.