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La Stampa Rassegna Stampa
16.09.2009 Blitz Usa uccide capo di Al Qaeda in Somalia
Cronaca e intervista a Robert Hutchings di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 16 settembre 2009
Pagina: 8
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Colpita l’Al Qaeda africana - Gli eredi di Bin Laden guardano al Sudan»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/09/2009, a pag. 8, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Colpita l’Al Qaeda africana " e la sua intervista a Robert Hutchings, che fra il 2003 ed il 2005 guidò il «National Intelligence Council» affiancando il direttore della Cia dell’epoca, George Tenet,  dal titolo " Gli eredi di Bin Laden guardano al Sudan ". Ecco gli articoli:

" Colpita l’Al Qaeda africana "

Saleh Ali Saleh Nabhan,  il 28enne keniota di origine yemenita che fu il regista degli attentati di Mombasa nel 2002 e che negli ultimi due anni coordinava l’arrivo in Somalia di volontari musulmani americani, soprattutto dalla regione di Minneapolis.

Barack Obama mantiene la promessa fatta all’America l’11 settembre di «braccare ovunque Al Qaeda» e manda i commandos in Somalia per eliminare il capo delle cellule islamiche seguaci di Osama bin Laden.
All’una del pomeriggio di lunedì quattro elicotteri d’attacco delle forze speciali americane sono comparsi all’orizzonte della città di Baraawe, convergendo su un vicino villaggio dove stava transitando un convoglio di mezzi degli Shabaab, le milizie islamiche che controllano gran parte del Sud della Somalia. Gli elicotteri hanno fatto fuoco sui mezzi che avevano a bordo «combattenti stranieri» - come l’intelligence Usa identifica i terroristi di Al Qaeda - eliminando Saleh Ali Saleh Nabhan, il 28enne keniota di origine yemenita che fu il regista degli attentati di Mombasa nel 2002 e che negli ultimi due anni coordinava l’arrivo in Somalia di volontari musulmani americani, soprattutto dalla regione di Minneapolis.
All’attacco degli elicotteri, gli Shabaab hanno risposto scendendo dai mezzi e tentando di abbatterli, sparando con mitragliatrici pesanti e lanciarazzi. Ma poco hanno potuto contro il diluvio di fuoco scaturito dai cannoncini da 50 mm, accompagnati da missili ad alto potenziale. La cruenta battaglia è durata circa 10 minuti. Al termine sul campo sono rimasti i corpi di Nabhan e altri cinque miliziani di Al Qaeda oltre a tre Shabaab somali. A quel punto gli elicotteri sono atterrati, le truppe speciali sono scese in terra, hanno ispezionato il luogo dello scontro e portato via le salme dei terroristi di Al Qaeda eliminati, inclusa quella di Nabhan, al fine di accertarne l’identificazione. Il tutto è avvenuto sotto gli occhi di decine di abitanti del villaggio nei pressi di Baraawe, che hanno poi ricostruito i dettagli del blitz ai capi locali delle milizie che, ieri, hanno reagito con un comunicato da Merka minacciando «vendette feroci» per rifarsi delle «gravi perdite subite».
Fonti militari Usa hanno confermato l’avvenuto, facendo sapere al «New York Times» che Nabhan era «da tempo seguito in maniera molto stretta» e che la scelta di colpire in pieno giorno è stata dettata dalla volontà di «accertarsi dell’identità» dell’obiettivo da colpire. Se è vero che nell’ultimo anno di amministrazione Bush il Pentagono di Robert Gates aveva già colpito le basi di Al Qaeda in Somalia, la differenza rispetto a quel precedente è il mezzo adoperato: non più i missili Tomahawk ma le forze speciali, ovvero l’impiego di truppe di terra sul territorio di uno Stato sovrano non in grado di prevenire le attività di gruppi terroristi. L’altra notizia fatta filtrare da fonti militari è che «le truppe speciali sono decollate da una portaerei a largo della Somalia» ovvero dalla task force impiegata nella lotta ai pirati, considerati dall’intelligence una forma di autofinanziamento dei gruppi islamici.
L’eliminazione di Nabhan significa per Al Qaeda la perdita del colonnello che si fece le ossa nel 1998 partecipando alla preparazione degli attacchi alle ambasciate Usa in Africa Orientale e poi nel 2002 si impose come figura di spicco organizzando l’assalto all’Hotel Paradise di Mombasa in Kenya, affollato di israeliani - vi furono 14 vittime - e il simultaneo lancio di un missile contro un aereo della El Al in partenza dalla città. Il pilota israeliano riuscì a evitare il missile ma quell’attacco segnò un momento di svolta per l’antiterrorismo, obbligando a ripensare i sistemi di sicurezza degli aerei commerciali in transito negli scali ad alto rischio.Intendevano replicare l’11 settembre a Dubai, facendo schiantare un aereo contro il Burj Dubai, il più alto grattacielo del mondo (818 metri) che sarà terminato a fine anno. Secondo le rivelazioni del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, l’attentato è stato sventato dai servizi segreti emiratini: ieri sono state arrestate 45 persone. Si tretterebbe per la maggior parte di palestinesi e libanesi. Il loro obiettivo era distruggere Burj Dubai con un aereo che doveva decollare da un aeroporto iraniano. Il vice-capo della polizia di Dubai, Khamis Mattar ha però smentito il giornale israeliano: «La notizia è falsa».

" Gli eredi di Bin Laden guardano al Sudan "

 Robert Hutchings

«L’Africa ospita le cellule islamiche della nuova Al Qaeda, nata dopo l’11 settembre, ve ne sono in Somalia come anche in Sudan». È questa la spiegazione del blitz americano che viene da Robert Hutchings, che fra il 2003 ed il 2005 guidò il «National Intelligence Council» affiancando il direttore della Cia dell’epoca, George Tenet.
Perché Al Qaeda si annida nel Corno d’Africa?
«Sin dall’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001 fu chiaro che Al Qaeda cercava di insediarsi in Somalia proprio come in altre aree del mondo accomunate dal fatto di essere prive di governo o di avere governi incapaci di controllare il territorio. Non potendo più operare liberamente dall’Afghanistan, la Somalia si presentava ai seguaci di Osama bin Laden come una perfetta piattaforma dove creare delle basi da cui poi tentare di colpire, in Medio Oriente e in Africa».
Che tipo di cellule sono quelle attaccate dalle forze speciali americane?
«Non dispongo di informazioni dettagliate sul blitz, ma è noto che in Somalia operano cellule islamiche di matrice differente che si richiamano all’ideologia di Osama bin Laden pur non essendone una diretta emanazione. Il legame con Al Qaeda non è strutturato, come avveniva con le cellule pre-11 settembre che operavano sulla base di precisi ordini ricevuti dai campi afghani. In questo caso di tratta di gruppi che hanno una propria agenda, composti in gran parte da elementi locali, ma operano sulla base degli orientamenti generali di Al Qaeda. C’è un legame soprattutto ideologico».
Che tipo di minaccia pongono questi gruppi islamici?
«Sono portatori di un’ideologia omicida, determinati aspargere morte e terrore in nome di una deviata interpretazione dell’Islam. Creano focolai di instabilità. Il problema è che l’assenza di governi stabili o efficaci gli consente di organizzarsi per colpire anche in Stati vicini, come avvenuto nel 2002 quando Saleh Ali Saleh Nabhan fu il regista degli attacchi di Mombasa, in Kenya».
È il nuovo «Comando Africa» delle forze armate Usa che conduce questi blitz?
«Le forze armate americane operano in maniera da poter controllare queste cellule e poi colpire quando vi sono le migliori condizioni per farlo. Bisogna tener presente che vi è un grande sforzo per spingere i Paesi africani a moltiplicare le iniziative per braccare queste cellule, che si finanziano con ogni sorta di traffici illeciti. In ultima analisi è proprio la maggiore attività di sorveglianza e prevenzione da parte dei governi locali, dalla regione del Corno d’Africa all’Africa Occidentale, che può impedire alle cellule che si richiamano ad Al Qaeda di mettere radici e moltiplicarsi».
A parte la Somalia qual è l’altro scenario africano che ritiene essere più a rischio di penetrazione da parte di queste cellule?
«Penso al Sudan. Vi sono ampie zone di territorio praticamente senza governo, dove sono in atto gravi violenze e dove la comunità internazionale continua ad avere difficoltà ad agire. I leader di Al Qaeda hanno più volte lanciato appelli ai gruppi islamici affinché sfruttino il Darfur sudanese per lanciare attacchi».

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