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L'Espresso Rassegna Stampa
14.09.2009 Una descrizione troppo entusiastica di John Berger
Lo scrittore odiatore di Israele

Testata: L'Espresso
Data: 14 settembre 2009
Pagina: 110
Autore: Angiola Codacci-Pisanelli
Titolo: «Il poeta contadino»

Riportiamo dall'ESPRESSO n°37 dell'11/09/2009, a pag. 110, l'articolo di Angiola Codacci-Pisanelli dal titolo " Il poeta contadino ".

John Berger viene rappresentato come intellettuale colto e raffinato. Sulla sua raffinatezza non ci esprimiamo. Per quanto riguarda la sua cultura, ricordiamo ai lettori che nel 2006 firmò (insieme a Noam Chomsky, José Saramago e Harold Pinter) un manifesto che falsificava le cause dello scoppio della guerra fra Libano e Israele. A loro avviso le motivazioni non erano da ricercarsi nel terrorismo di Hezbollah e nel rapimento di un soldato israeliano da parte libanese, ma l'esatto contrario, il presunto rapimento da parte israeliana di un dottore e suo fratello a Gaza, l' "occupazione della Cisgiordania" da parte di Israele. Nell'articolo si legge : "E 'Abbi cara ogni cosa', con quel titolo che promette amore a ogni dettaglio della vita quotidiana, è invece una serie di prese di posizione molto nette contro la 'guerra al terrore', contro l'impoverimento di interi popoli che finanzia i ricchi della Terra, contro l'oppressione israeliana verso i palestinesi.". Non è ben chiaro a che cosa si riferisca Berger. La guerra al terrorismo che tanto disprezza è una difesa della democrazia ed è falso che Israele stia occupando la Cisgiordania. Se Berger amasse cultura e democrazia si scaglierebbe contro il terrorismo islamico e non contro l'unica democrazia del Medio Oriente. Nei paesi fondamentalisti che difende non siamo sicuri che gli sarebbe garantita la libertà d'opinione e di stampa. Ecco l'articolo:

 John Berger

Susan Sontag lo ha definito "uno che scrive cose importanti, non solo interessanti". Michael Ondaatje gli ha proposto di accompagnarlo al pianoforte, se in un'altra vita riuscirà a realizzare il sogno di rinascere cantante. Arundhati Roy ha scritto 'Il dio delle piccole cose' alla luce di una sua frase che ha posto 'in limine' al suo libro. Ma forse la definizione più azzeccata di John Berger l'hanno data gli studenti di Ramallah che hanno partecipato a un suo seminario sul raccontare: lo chiamavano 'The Wizard', il mago. E c'è davvero qualcosa di magico nella figura di John Berger, critico d'arte e romanziere, sceneggiatore e polemista, inglese trapiantato in Francia ma nato da radici ebraiche mitteleuropee che toccano anche Trieste, illustre sconosciuto per gran parte dei lettori, ma autore di culto per gli scrittori di più di mezzo mondo. A 83 anni Berger ha alle spalle un romanzo da Booker Prize ('G.'), un film leggendario ('Jonas che avrà vent'anni nel 2000'), un saggio fondamentale per la storia dell'arte ('Modi di vedere'), eppure in Italia divide i suoi scritti tra piccoli editori raffinati (Scheiwiller, Bruno Mondadori, Bollati Boringhieri, Fusi Orari): un onore riservato alle giovani promesse. È un maestro alla cui multiforme opera Torino nel 2004 ha dedicato quattro giorni di incontri, e Londra l'anno seguente quasi tre settimane di conferenze e spettacoli, ma che all'intervistatrice assicura: "Non si preoccupi di citare alla lettera le mie parole: davvero, non c'è niente di sacro in quello che dico".

Il 15 settembre John Berger e Arundhati Roy saranno a Torino per inaugurare la nuova stagione del Circolo dei lettori. "Ammiro molto la Roy: una brava scrittrice e una donna molto coraggiosa", spiega Berger: "Nei suoi ultimi saggi, 'Quando arrivano le cavallette', parla di come il concetto di democrazia è stato deformato fino a somigliare al fascismo, e lo fa richiamandosi ad Antigone: ecco, una visione storica così profonda è l'unica cosa che può salvarci dal bombardamento di informazione e disinformazione e dalla mancanza di prospettiva futura che domina il capitalismo finanziario". E c'è qualcosa di simile nel loro modo di raccontare: "Alcuni scrittori trovano l'ispirazione dentro di sé. Noi invece stiamo lì ad occhi ben aperti e cerchiamo di scegliere, tra le mille storie che ci circondano, quella in cui più risuona ciò che preme nel mondo. E poi ci sforziamo di trasportare questa storia nella narrazione, perché anche i lettori la vedano".

In quest'Italia che affolla con una diligenza commovente anche il più banale dei festival letterari, c'è da chiedersi come i 200 posti del Circolo dei lettori (a ingresso libero su prenotazione) basteranno a contenere il pubblico. L'accoppiata è d'eccezione: la scrittrice più amata dai no global, che dopo il successo mondiale del suo esordio ha rinunciato ai romanzi per concentrarsi su saggi di denuncia, e il grande vecchio che da più di trent'anni distilla saggi, racconti, romanzi che vanno dritti al cuore di temi e problemi del nostro tempo: la povertà e il potere, le migrazioni e l'alienazione, il consumismo e l'ecologia, la passione politica e l'amore.

L'amore, soprattutto: ma non aspettatevi romanzi rosa. Prendendo in prestito il titolo di una raccolta di Raymond Carver - "Ho una grande ammirazione per Carver", assicura Berger, "perché è come Cechov: nei suoi racconti coglie i momenti che rivelano il senso di una vita intera" - si può cercare di indicare 'di cosa parla Berger quando parla d'amore'. In 'Da A a X', tradotto di recente per Scheiwiller da Maria Nadotti, che di Berger è da anni amica ed esegeta, alla passione che lega Aida e un guerrigliero incarcerato fa da sfondo una zona militarizzata che sta tra la Palestina occupata e il Sudamerica delle missioni di guerra americane (a questo testo sarà dedicata una lettura di Licia Maglietta il 14 settembre, sempre al Circolo dei lettori, ma a pagamento). È un puzzle anche la metropoli di 'Lillà e Bandiera', tragedia passionale che chiude una trilogia sull'alienazione degli immigrati, un altro tema costante dell'opera di Berger. E 'Abbi cara ogni cosa', con quel titolo che promette amore a ogni dettaglio della vita quotidiana, è invece una serie di prese di posizione molto nette contro la 'guerra al terrore', contro l'impoverimento di interi popoli che finanzia i ricchi della Terra, contro l'oppressione israeliana verso i palestinesi. Tutto è scritto con uno stile terso, senza una parola di troppo: "Scrivo e riscrivo cinque o sei volte ogni pagina. Cerco la precisione in ogni frase", racconta l'autore. Che nega di essersi ritirato sulle Alpi francesi per trovare una pace da eremita: "Mi sono trasferito qui per vivere a contatto con i contadini: sarei potuto andare anche in Abruzzo, o in Basilicata, tra le comunità descritte così bene da quel vostro grandissimo poeta, Rocco Scotellaro. Perché tutti discendiamo da contadini, e paradossalmente da qui capisco meglio le cose veramente importanti che succedono nel mondo".

Saggista e romanziere, ma cresciuto come pittore e ancora appassionato di disegno e fotografia, Berger appoggia spesso le sue storie a immagini fotografiche. Nel 1975 insieme allo svizzero Jean Mohr ha dedicato un libro a una 'storia dei migranti in Europa' ('Il settimo uomo'). Fa effetto oggi vedere quei volti così italiani che guardano dalle immagini di uomini spaesati scattate in Svizzera o in Germania. "Italia e Spagna, che trent'anni fa erano punti di partenza, oggi sono punti d'arrivo. Ma il motivo che spinge a partire è sempre lo stesso: la povertà, la fame, il desiderio di permettere alla propria famiglia di vivere meglio". Ma le fotografie, con quelle immagini così 'belle' di diseredati, non rischiano di diventare bugie patinate? "Sicuramente sì, ma è un tema troppo vasto per un'intervista. Ho scritto saggi su questo tema - nella raccolta 'Keeping a rendezvous', o in 'Sul guardare' - ho fatto un film con Sebastiao Salgado, 'The Spectre of Hope'...".

Allora proviamo a passare a un tema più 'da intervista', una grande passione di Berger: la motocicletta. L'altra volta che è stato invitato a Torino è venuto in moto, lo farà anche quest'anno? "No, questa volta no", dice ridendo: "Ma solo perché resto per poco tempo: non ho smesso. Anzi, mi piace sempre di più: l'amore per la moto mi sembra sempre più legato alla mia passione per il disegno. Sarà che in tutti e due i casi l'intento è tracciare una linea su un materiale che fa resistenza. E come la mano segue lo sguardo, così fa anche la moto: se ti distrai per guardare un muro, ci finisci contro. Ci vuole una grande precisione nel disegnare, e anche guidare la moto richiede attenzione costante a decine di cose diverse nello stesso tempo. Pensiamo al saluto che si fanno due motociclisti che si incrociano, alzando solo un dito della mano: un gesto quasi impercettibile, fatto da due persone che si incrociano andando ognuno a cento chilometri l'ora. Eppure noi motociclisti lo notiamo".

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