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Il Giornale Rassegna Stampa
14.09.2009 Iran: sul nucleare niente margini di manovra. Obama che cosa fa?
L'analisi di R. A. Segre

Testata: Il Giornale
Data: 14 settembre 2009
Pagina: 16
Autore: R. A. Segre
Titolo: «Nucleare e Iran, Israele spaventa Mosca»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/09/2009, a pag. 16, l'articolo di R. A. Segre dal titolo " Nucleare e Iran, Israele spaventa Mosca ".

Dopo che lo stesso ministro Dan Meridor, per le questioni di intelligence e nucleari, ha dichiarato ieri che «non c'è più tempo da perdere» per fermare la corsa iraniana alla bomba nucleare e ammesso che Netanyahu, nonostante le smentite israeliane e russe, si sia recato in visita segreta in Russia, non è difficile ipotizzare di cosa il premier israeliano abbia parlato. Se le pressioni diplomatiche su Teheran - potrebbe aver detto - non porteranno ad un cambiamento nella politica nucleare iraniana, il governo russo non potrà sottrarsi alla responsabilità di eventuali danni causati da una azione israeliana ai tecnici russi che lavorano alle centrali atomiche iraniane. Per cui non è difficile escludere connessioni fra questo "misterioso" viaggio e la pioggia di dichiarazioni che lo hanno seguito.
Dopo che il presidente iraniano aveva solennemente dichiarato giorni fa di essere disposto a trattare in base a proposte presentate da Teheran all'Occidente, però considerava "chiusa" la questione nucleare, sono successi i seguenti fatti:
1.Putin ha escluso che l'Iran possa sviluppare il nucleare per scopi altri che quelli civili.
2.Il ministro della Difesa iraniano Vahidi ha affermato che l'Iran «non vuole dotarsi di una arma atomica che è contro i principi religiosi nazionali e umani».
3.Il ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki, a proposito del piano sottoposto da Teheran al “Gruppo di Contatto dei 5 +1”, si dice pronto ad aprire un «dialogo comprensivo». Se «le condizioni saranno mature sarà possibile affrontare il nodo nucleare».
Nessuno si fa illusioni sull’abilità iraniana di dissimulazione (taqiyya) che ha assunto valore religioso nella tradizione shiita, tanto che anche ieri Ahmadinejad ha ribadito che sul nucleare «non ci sono margini di manovra». Tuttavia all'Onu circola una bozza di risoluzione contro l'Iran da discutersi alla riunione del Consiglio di Sicurezza del 24 settembre che sarà presieduta per la prima volta da Obama. Prevede il disarmo nucleare completo sotto «rigidi controlli internazionali». Se per la fine di settembre non verranno sospese le attività nucleari verranno imposte nuove gravi sanzioni all'Iran. A condizione, beninteso, che Russia e Cina non pongano, come hanno sempre fatto, il loro veto. Veto che per Obama rappresenterebbe uno scacco pericoloso, mentre l'astensione di Mosca, a cui quasi certamente seguirebbe quella di Pechino, sarebbe per il presidente americano una triplice vittoria: confermerebbe la validità della sua strategia di negoziazione a tutto campo; metterebbe Israele nella impossibilità di agire militarmente, almeno per la durata dei negoziati; sarebbe per Obama un successo di prestigio in politica estera, tanto più a lui necessario nel momento in cui viene contestato apertamente in una mega manifestazione a Washington sul tema della riforma sanitaria e sorgono in Usa i primi mugugni sulla guerra in Afghanistan.
In questi delicati e complessi frangenti, Israele, sotto la guida abile e spregiudicata di un Netanyahu contestato all'interno e all'estero per la sua politica verso i palestinesi, si rivela come l'elemento chiave, anche se temporaneo, della situazione tanto come «bastone» quanto come garante dell'uso delle «carote» che l'Occidente è disposto ad offrire a Teheran. È una posizione di potenza e di rischio al tempo stesso. Potenza in quanto lo Stato ebraico si rivela una volta di più come la sola «spada» che l'Occidente può maneggiare in questo momento. Rischio nella misura in cui Gerusalemme sarà capace di ottenere qualcosa di concreto in cambio di un ruolo che nessuno è disposto a riconoscergli ma di cui tutti hanno in questo momento bisogno. Netanyahu è cosciente di essere impegnato in una partita in cui è in gioco non solo la costruzione (numericamente ridicola e simbolicamente esplosiva) di 2500 alloggi negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, ma l'avvenire stesso dello Stato ebraico, unitamente a occasioni o tensioni nuove nel conflitto coi palestinesi.

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