E' comprensibile che il MANIFESTO abbia mal digerito la missione diplomatica di Avigdor Lieberman in Africa. E' stata un successo, che nemmeno il quotidiano trinariciuto può negare, anche se definisce Lieberman "xenofobo ", difficile da conciliare con la simpatia con la quale l'hanno accolto i suoi ospiti. Lo riprendiamo, malgrado gli strafalcioni del tipo " la diplomazia di Tel Aviv", se l'autore ci va e la trova gli diamo un milione di $, se invece però la trova a Gerusalemme, li dà lui a noi, d'accordo Liberti ? L'unica riga che non trasuda ostilità è quella del titolo " Il ritorno di Israele in Africa ".
Ecco il pezzo:
Avigdor Lieberman
Cinque paesi in nove giorni. Il viaggio in Africa del ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, conclusosi giovedì, segna il grande ritorno dello stato ebraico a sud del Sahara, dopo più di trent’anni di reciproche incomprensioni, tiepidi incontri, o occasionali rapporti bilaterali. Il capo della diplomazia di Tel Aviv, che è anche leader del partito xenofobo di estrema destra Israel Beitenu, ha visitato l’Etiopia, il Kenya, il Ghana, la Nigeria e l’Uganda. Molteplici gli obiettivi di questa tournée: non solo il rilancio delle relazioni economiche con i paesi subsahariani, ma anche un’offensiva diplomatica per contrastare l’Iran (il cui presidente Mahmoud Ahmadi Nejad a febbraio è andato in Kenya, Gibuti e Isole Comore) e tentare di (ri) conquistare appoggio da parte degli stati africani in ambito Nazioni unite, soprattutto per contrastare le ambizioni nucleari di Tehran. Tra gli interessi commerciali perseguiti da Lieberman prioritario quello della vendita di armi. Un nutrito gruppo di rappresentanti di industrie di armamenti israeliani - tra cui Elbit Systems, Soltam, Israel Military Industries, Silver Shadow advanced security systems Ltd - ha accompagnato ilministro nel suo viaggio. Se, comescrive il quotidiano israeliano Ha’aretz, nessun accordo è stato firmato, sono state stabilite relazioni che possono essere assai fruttuose ndel ministero degli esteri, sempre citati da Ha’aretz, l’Africa rappresenta in questo campo un potenziale commerciale pari a circa un miliardo di dollari. Oltre al settore degli armamenti, si sono attivate collaborazioni nel campo della telefonia, dello sfruttamento dei minerali, dell’agricoltura, delle alte tecnologie; della delegazione di Lieberman facevano parte una ventina di uomini d’affari, venuti apposta per vendere il loro know how. Il viaggio di Lieberman è in realtà il punto d’arrivo di una progressiva crescita degli interessi israeliani nel continente: dal 1990 al 2008, gli scambi commerciali tra Israele e l’Africa sono passati da 430 milioni a più di 2 miliardi di dollari.Una crescita che fino a oggi non era stata accompagnata da una vera e propria strategia politica. All’epoca delle indipendenze africane, l’allora primoministro israeliano GoldaMeir si era rivolta decisamente verso il continente, sostenendo una sorta di parallelismo tra il popolo ebraico e quelli africani, entrambi sofferenti e costretti a sbarazzarsi della tutela coloniale. Alla metà degli anni ’60, Israele intratteneva rapporti eccellenti con più di 30 paesi subsahariani. Nel 1966, più di dieci stati africani ricevevano un aiuto militare diretto da Israele. Una corrispondenza di amori sensi che è andata rompendosi a partire dalla guerra dei sei giorni, nel 1967, quando lo Stato ebraico si è imposto come potenza coloniale. Sarà poi con la guerra dello Yom Kippur e l’invasione del Sinai, chemolti stati africani si allontaneranno definitivamente da Tel Aviv. A eccezione di paesiminuscoli come il Lesotho, lo Swaziland e il Malawi, tutti hanno di fatto rotto con Israele, che in compenso si è avvicinato al Sudafrica dell’apartheid. Lo stato ebraico si è quindi rivolto verso Occidente, pur mantenendo discreti programmi di assistenza militare con alcuni paesi africani e e sostituendo le relazioni diplomatiche interrotte con i servizi di agenti del Mossad, emissari militari e uomini d’affari. Come scrive il settimanale Jeune Afrique, «alla fine degli anni ’70 il 35% delle vendite d’armi di Israele si effettuava in Africa». Nel luglio 1976, Israele conduceva lo spettacolare blitz all’aeroporto di Entebbe, in Uganda, con cui liberava 200 persone tenute in ostaggio su un aereo da un commando del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) - un’operazione in cui sarebbe morto il capo delle teste di cuoio di Tel Aviv, il colonnello Jonathan Netanyahu, fratello dell’attuale premier. Negli ultimi anni, le relazioni diplomatiche sono state pian piano ristabilite. Questo viaggio di Lieberman vuole segnare proprio un ritorno ufficiale di Tel Aviv nel continente. Anche se la strada non appare priva di ostacoli: solo la settimana scorsa il leader libico e presidente di turno dell’Unione africana Muammar Gheddafi ha affermato che «le ambasciate israeliane in Africa andrebbero chiuse perché portano avanti una politica tesa a perturbare il nostro continente».
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