Sulla STAMPA di oggi, 12/09/2009, a pag.17, con il titolo " Non temo l'arresto, l'Iran saprà reagire ", Claudio Gallo intervista Mehdi Karroubi, leader dell'opposizione ad Ahmadinejad.
Mehdi Karroubi
La voce esce lievemente roca dall’altoparlante del vivavoce mentre lo scrittore Hamid Ziarati traduce dal persiano in italiano. Al telefono c'è Mehdi Karroubi. Insieme con Mir Hossein Mousavi, è il principale leader della protesta iraniana contro i brogli e il nuovo governo «illegittimo» di Ahmadinejad. Settantadue anni, chierico, intimo di Khomeini, due volte presidente del parlamento, fondatore dell’associazione dei Chierici Combattenti, è stato candidato alle ultime contestate presidenziali. Con l’ex presidente Khatami è la figura di spicco del movimento riformista. La polizia ha chiuso i suoi uffici, i suoi aiutanti sono in prigione.
Lei ha denunciato, anche con una lettera aperta al capo della magistratura Sadegh Larijani, che molti giovani arrestati sono stati violentati in prigione: che prove ha di quei crimini?
«Non ho ancora presentato una denuncia giudiziaria, ho solo riportato quanto mi è stato riferito da diverse persone che si sono rivolte a me. È nostro dovere indagare su questi fatti per individuare i responsabili di queste atrocità e consegnarli alla giustizia. Non posseggo documenti o filmati al riguardo, come è ovvio, ma solo le deposizioni delle vittime».
Cominciamo dall’inizio, dal voto presidenziale: nella sua provincia nativa del Lorestan, Ahmadinejad è passato da 69.710 voti nel 2005 agli attuali 677.829.
«Tra gli innumerevoli motivi che dimostrano evidenti brogli elettorali questo è solo uno dei tanti. In Iran, a tutt’oggi nelle zone rurali e nelle piccole città è fortemente presente il sentimento dell’appartenenza etnica. Questo sorprendente spostamento di voti non costituisce una prova risolutiva, ma di certo è sorprendente. Inoltre nel Lorestan, secondo gli stessi dati forniti dal ministro degli Interni, nel 90% dei seggi c'è stato il 100% dei voti, e questo è praticamente impossibile».
È vero, come gridano i dimostranti, che in Iran siamo di fronte a un colpo di Stato?
«Il fatto che il giorno dopo il voto il popolo autonomamente si sia riversato per le strade a protestare e che le vie fossero già assediate dai militari non è forse un evidente segno? In un primo tempo abbiamo usato il termine golpe elettorale o di velluto e non militare nel senso stretto, in quanto i militari hanno avuto un ruolo secondario. Ma quanto è accaduto immediatamente dopo le elezioni, cioè l'arresto di migliaia di oppositori, l'uccisione di decine di persone, la violenza inaudita contro i manifestanti, gli assalti notturni nelle abitazioni private e l’imprigionamento di centinaia tra i più noti attivisti dell’opposizione, tutto ciò l'ha trasformato in un golpe militare nel vero senso della parola».
I riformisti vogliono rovesciare la Repubblica Islamica, come dicono i loro nemici?
«I riformisti non solo non cercano di distruggere la Repubblica Islamica ma anzi la considerano il risultato dei loro sforzi, e sono in milioni a credere in essa. Siccome sono convinti che alcuni elementi anti-repubblicani e sospetti si sono lentamente infiltrati nel sistema e l’hanno occupato, utilizzando il nome dell’Islam per giustificare le loro atrocità, i riformisti si sono impegnati a contrastare una visione assolutista e totalitaria della Repubblica Islamica».
I conservatori vi accusano di essere al soldo delle potenze straniere.
«Non sono i conservatori tradizionalisti a sostenerlo, perché lavoriamo con loro da anni e ci confrontiamo democraticamente. Sono gli ultraconservatori fondamentalisti ad accusarci di filooccidentalismo, mentre noi abbiamo la stessa visione dell’imam Khomeini il quale non considerava l’Occidente un nemico che cerca di farci la guerra. Lui voleva solo l'indipendenza, l'autonomia e l'assenza di interferenze negli affari interni del Paese da parte delle superpotenze, occidentali o orientali che fossero. I neo-conservatori, in nome dell’anti-occidentalismo, si sono alleati con i russi e i cinesi, i quali hanno aumentato la loro influenza nel Paese, e per questo restano in silenzio di fronte ai continui genocidi che avvengono in Cecenia e nello Xinjiang. Tutto questo va contro i principi di libertà e di indipendenza su cui è fondata la Repubblica Islamica».
Lei conosceva bene Khomeini. Che cosa pensa che direbbe dell’attuale situazione?
«Se l’imam Khomeini fosse vivo, annullerebbe queste elezioni, manderebbe in giudizio tutti i suoi fautori e condannerebbe le violenze e gli omicidi».
Che cosa pensa dell’alleanza tra Ahmadinejad e la Guardia Rivoluzionaria?
«Ahmadinejad non è all’altezza di sostenere un’alleanza organica con i Pasdaran, è solo una pedina per portare avanti una sceneggiatura preconfezionata».
Non crede che i Pasdaran, con la loro influenza militare ed economica, stiano diventando uno Stato nello Stato?
«Quando ero presidente dell’ottavo parlamento, ho ammonito sul grande pericolo che correvamo con la presenza sempre più assidua dei Pasdaran negli apparati economici del Paese. Le varie guide spirituali, io, il nipote dell’imam Khomeini e tutti i riformisti abbiamo più volte denunciato l'interferenza dei Pasdaran nella politica, ma purtroppo le ultime vicende hanno dimostrato che ormai i giochi sono fatti e proseguire su questa via costituisce un grande pericolo per il Paese».
La Costituzione nata dalla rivoluzione garantisce un certo grado di democrazia all'interno di un orizzonte islamico: che cosa rimane della Costituzione?
«La nostra Costituzione, malgrado i suoi difetti ancora da sanare, in termini di diritti civili è all’avanguardia. Grazie al rispetto che l’imam Khomeini aveva per il voto popolare e la sua avversione verso qualsiasi irregolarità nelle elezioni, rappresentava un buon inizio per raggiungere la democrazia. Però ora la terza parte della Costituzione, quella dei diritti dei cittadini, è completamente ignorata. Calpestare le leggi sulle procedure penali, le violenze, le torture, l'assenza di un avvocato difensore e gli arresti senza un mandato da una parte, e il divieto della libertà d'espressione e di manifestare pacificamente dall’altra, dimostrano l'annullamento di tutti i diritti del popolo e della Costituzione».
Non teme di essere arrestato, insieme con Mousavi e Khatami?
«In questo momento sembra improbabile che possano compiere un atto così imprudente, folle e fuorilegge, comunque noi non abbiamo paura, e se dovesse accadere è la dimostrazione che tutto ciò che noi abbiamo sostenuto riguardo al golpe era vero, e tutto il popolo comprenderà appieno cosa dovrà fare per salvare la Repubblica Islamica e la libertà».
Come considera l’offerta di dialogo del presidente Obama?
«Durante la mia campagna elettorale ho sempre sostenuto che noi dobbiamo parlare con tutti i governi del mondo. Con il rispetto reciproco e per il bene comune accettiamo anche di instaurare un dialogo con gli americani e apprezziamo l'invito al dialogo del presidente Obama. Però dubito che il mondo voglia ora parlare con un governo che non ha il sostegno del suo popolo, e se ciò dovesse accadere il prezzo che il popolo iraniano pagherà di conseguenza sarà molto elevato».
Se il nucleare iraniano è per usi civili, come sostiene Teheran, perché non tutti gli impianti sono aperti agli ispettori internazionali?
«La Repubblica Islamica non ha certo cominciato il progetto nucleare con questo governo. Il programma è partito ai tempi della presidenza Rafsanjani ed è stato continuato da Khatami: ha sempre avuto obiettivi pacifici e una prospettiva esclusivamente civile. Nulla a che vedere con l'immagine che ne è stata data al popolo iraniano da questo governo, come se fosse stata una loro prerogativa. All'inizio si cercò di avere la collaborazione internazionale, ma poi il governo, per acquisire consensi, l'ha trasformato in un gioco di forza e di ricatto. Noi eravamo convinti sin dall’inizio che servisse una collaborazione stretta con l’agenzia nucleare per eliminare ogni sorta di preoccupazione».
Traduzione di Hamid Ziarati
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