Israel Magazine, una rivista di informazioni culturali, politiche, economiche e sociali sul Medio Oriente che esce in Israele in lingua francese, pubblica nel mese di settembre a pagina 10 un’interessante intervista di Nathalie Szerman e André Darmon al filosofo francese Bernard-Henri Lévy su alcuni temi di grande attualità fra i quali la minaccia nucleare iraniana, le prospettive di una rivoluzione anti-islamica in Iran, la complessa situazione in Medio Oriente e il suo rapporto con Israele.
Filosofo e opinion leader, Bernard-Henri Lévy è anche in rete: facendo parte di quegli intellettuali che hanno capito che il web è il luogo degli incontri più improbabili è presente su Facebook, Twitter e analogamente su un sito che gli ha dedicato la scrittrice Liliane Lazar. Attraverso Facebook, Bernard-Henri Lévy si è rivolto alla gioventù iraniana durante il periodo degli scontri post-elettorali per farle capire che, malgrado la non ingerenza verbale delle potenze occidentali, questa gioventù non era sola.
NS: Esistono oggi delle ragioni per essere ottimisti e pessimisti riguardo il Medio Oriente. Secondo lei quale avvenire si profila nella regione?
BHL: Paradossalmente sono più ottimista rispetto a quattro anni fa. La disfatta di Hezbollah in Libano. L’indebolimento di Hamas. La rivolta popolare in Iran. Tutto va nel senso giusto. Vale a dire nella direzione dell’indebolimento delle forze della guerra e dell’odio.
NS: Il presidente Obama si è ultimamente dichiarato “costernato e offeso” di fronte alla repressione dei manifestanti iraniani. Ha fatto sapere tuttavia che si auspicava di non intromettersi nelle questioni interne iraniane poiché l’appoggio dell’America potrebbe “procurare danni” ai manifestanti. Non bisognerebbe invece che i paesi occidentali esprimessero alto e forte il loro appoggio ai manifestanti in nome della difesa della democrazia e dei diritti dell’uomo?
BHL: Certo. E’ quello che penso ed è quello che personalmente non ho mai smesso di dire. Compreso questo “Appello alla gioventù iraniana” che ho registrato su webcam fin dalle prime manifestazioni e che Liliane Lazar ha diffuso sulla pagina Facebook che mi ha dedicato. So che questo video è stato visto in Iran. Molto. E che è questo genere di testimonianza che, seppur modesta, infima ha almeno un merito: mostrare alla gente che non è così sola come crede.
NS: Per la prima volta, non è più solo Ahmadinejad ma anche Ali Khamenei ad essere attaccato. Per la prima volta, analogamente, i Guardiani della rivoluzione sono intervenuti per minacciare i manifestanti. Dunque il regime iraniano è per la prima volta in pericolo?
BHL: Sì. Assolutamente. E oso dire nel “meccanismo”. In quanto è proprio il pilastro che viene colpito. Il regime iraniano poggiava sull’illusione della neutralità di Khamenei. Si diceva: “ci sono delle fazioni; forse si dilaniano vicendevolmente; ma fortunatamente c’è la Guida che mantiene l’equilibrio fra le parti”. Ecco è finita l’illusione. E’ caduta la maschera della neutralità. Khamenei, prendendo le parti di Ahmadinejad e partecipando così scandalosamente al furto del risultato delle elezioni, ha finito per perdere il credito che gli restava e ha scalzato una delle basi essenziali del regime.
NS: Moussavi non è un avversario del regime islamico, come ha ricordato Khamenei stesso. E’ lo stesso Moussavi che si è ritrovato, suo malgrado, l’effigie della ribellione. Potrà esserci una rivoluzione anti-islamica senza leaders degni di questo nome?
BHL: Direi le cose in altro modo. E’ il destino di tutte le rivoluzioni, prima di divorare i loro bambini, cominciare con il produrli e generarli. E lo fanno con chiunque. Con gli uomini del vecchio regime. Lo fanno con uomini venuti dal vecchio mondo, perfino minuscoli, mediocri, addirittura squallidi ma che si elevano al di sopra di loro stessi e ai quali conferiscono, per qualche giorno o per l’eternità, un destino eccezionale. E’ quello che è capitato a Moussavi. Poco importa il suo passato. Poco importa che sia stato, come voi dite, un uomo del vecchio regime. L’essenziale è che si sia trovato là, a questo punto della storia iraniana, ad un tratto più grande di se stesso, forse per non molto tempo, ma ciò non ha alcuna importanza.
NS: Nicolas Sarkozy ha avvertito l’Iran a più riprese che rischiava un attacco iraniano. Netanyahu è venuto in Europa per assicurarsi, sembra, il sostegno degli europei sul dossier iraniano e forse in caso d’offensiva contro l’Iran. Pensa sia normale che Israele possa decidere di attaccare l’Iran?
BHL: Valuto non solo normale ma essenziale che si tenti tutto, e ripeto tutto, per impedire che dei fanatici abbiano accesso all’arma atomica. E allora va bene la diplomazia, va bene il dialogo, l’arma delle sanzioni delle quali si è ben lontano dal vederne gli effetti. Ma immaginiamo che nulla di tutto questo funzioni. Supponiamo che i pazzi che regnano a Teheran facciano loro stessi la scelta del “viva la morte”. A quel punto la comunità internazionale non avrà più molta scelta….
NS: Pensa sia possibile oggi, per via diplomatica o anche militare, impedire all’Iran di accedere alla bomba?
BHL: Non lo so. Non sono un esperto di queste questioni. Ma, mio dio sì, spero con tutta la mia anima che esistano ancora dei mezzi per impedire questa catastrofe…
NS: Il presidente francese ha tentato di isolare l’Iran “facendo uscire la Siria dal suo isolamento” (ci si può forse domandare se in questo modo non abbia rafforzato il campo iraniano, suo malgrado). La Francia ha poi inaugurato la sua base militare a Abu Dhabi. Quale ruolo può giocare nel conflitto mediorientale?
BHL: Un ruolo chiave. Il Presidente Sarkozy è un innegabile amico d’Israele. E ha dimostrato nel contempo che poteva avere sui dossiers del Vicino Oriente delle posizioni equilibrate. Questo è prezioso. E sarà ancor più prezioso con il passare del tempo.
NS: E’ soddisfatto del nuovo approccio americano ai problemi del Medio Oriente? Meno ingerenza, un riconoscimento pubblico della grandezza dell’Islam, l’invio di un ambasciatore a Damasco. Con il suo intento di evitare scontri e di promuovere legami d’amicizia con tutti, non rischia di lasciare campo libero agli estremisti e di indebolire le voci moderate?
BHL: Non lo so. Si vedrà. Penso che su tali questioni occorra lasciare all’amministrazione Obama la sua chance. Nulla, nel “track record” del Presidente mi pare possa generare sospetto. E che si riconosca la grandezza dell’Islam nel momento stesso in cui si esorta il mondo musulmano a rinunciare al terrorismo, ad aprirsi alla democrazia, a riconoscere la legittimità d’Israele, tutto questo non mi scandalizza.
NS: Si evoca una guerra fredda in Medio Oriente fra il campo iraniano e la maggioranza dei paesi arabi sunniti moderati. Questo antagonismo è pericoloso per la pace o permette al contrario di unire le forze moderate dinanzi alla minaccia del terrorismo?
BHL: L’Iran è un pericolo per la pace. Ma che i paesi sunniti moderati si alleino alle democrazie per prendere coscienza del pericolo e tentare di opporvisi mi pare, al contrario, una buona cosa. La politica è l’arte del minor male. Si tratta della gerarchia dei pericoli e, dunque, delle urgenze. C’è un’urgenza oggi: aiutare il popolo iraniano a sbarazzarsi di un tiranno che è anche una minaccia per il mondo.
AD: Lei ha detto quattro anni fa che non si gioca ai dadi il destino d’Israele. Secondo lei chi ha il destino d’Israele nelle sue mani, l’America, l’Iran?
BHL: Nel caso peggiore, l’Iran – poiché sappiamo bene che il suo primo bersaglio in caso di conseguimento della bomba atomica sarebbe il fragile e solitario Israele. Nel migliore dei casi, l’America la cui alleanza con Israele mi sembra, lo ripeto, ancora solida. Detto questo, non inganniamoci: nessuna alleanza è eterna e il migliore amico d’Israele resta ancora Israele stesso, la sua forza militare, la sua supremazia strategica ma anche i valori morali che sono alla base del sionismo e che ne fanno uno Stato, qualunque cosa se ne dica, come gli altri.
AD: Vede una soluzione al conflitto israelo-arabo che tenga conto della sicurezza di Israele e della sua identità ebraica?
BHL: Tutto il mondo la vede, la soluzione. Tutto il mondo, in fondo, è d’accordo. Si tratta della soluzione dei due Stati. Accompagnata da due condizioni: la smilitarizzazione dello Stato palestinese e la fine di non ammettere la richiesta del famoso “diritto al ritorno” dei palestinesi.
AD: Alcuni evocano una islamizzazione delle società occidentali, attraverso la demografia, la cultura, l’abbigliamento. Lei cosa risponde?
BHL: Che è assurdo.
AD: Si dice che occorra una Diaspora eccezionale per adottare un’efficace difesa d’Israele. A suo parere un’Alyah straordinaria potrebbe essere utile in tal senso?
BHL: Occorrono tutte e due, poichè il giudaismo è entrambi. E’ la combinazione del sionismo e dei valori della Diaspora. E’ lo spirito di Scholem e quello di Rosenzweig. Entrambi.
Traduzione di Giorgia Greco