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Libero Rassegna Stampa
10.09.2009 La Shoah dell’Urss: il destino degli ebrei sovietici dopo l'invasione nazista
Lo studio di Padre Patrick Desbois

Testata: Libero
Data: 10 settembre 2009
Pagina: 35
Autore: Chiara Buoncristiani
Titolo: «La Shoah dell’Urss: un milione di ebrei fucilati»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 10/09/2009, a pag. 35, l'articolo di Chiara Buoncristiani dal titolo " La Shoah dell’Urss: un milione di ebrei fucilati ". Il titolo è ambiguo, al lettore che non sa, può lasciare intendere che siano stati ii sovietici ad averlo fatto. Gli ebrei russi furono in gran parte uccisi dai nazisti dopo l'invasione dell'Urss. Questo non nega la persecuzione sovietica, che si svolse però in altri modi. Ecco la recensione al libro di p.Desbois:

 Patrick Desbois

L’altra faccia della Shoah ha i connotati di un sterminio che comincia all’aperto, nei villaggi dell’Ucraina, della Bielorussia e del Baltico, dove i carnefici inseguono le vittime e poi le seppelliscono in fosse comuni, il tutto con la complicità della popolazione del luogo. Tra il 1941 e il 1944, circa un milione e mezzo di ebrei che vivevano nell’allora Unione Sovietica, in seguito all’invasione tedesca, sono assassinati dai colpi di fucile delle unità mobili delle SS o delle polizie collaborazioniste dell’Est europeo. Nel 1941 all’esercito tedesco di stanza nei territori occupati viene impartito l’ordine esplicito di uccidere sul posto ebrei, slavi zingari e invalidi. Tremila uomini delle SS, divisi in quattro commando speciali che rappresentano altrettante “unità mobili di massacro”. La routine quotidiana del terrore prevede che per ogni “azione delle unità mobili” siano eliminati non meno di mille persone, con una media di 40 omicidi a testa. Crimini che parzialmente precorsero e poi accompagnarono lo sviluppo dei campi di sterminio. Fino a pochissimi anni fa, il fenomeno dello sterminio degli ebrei per fucilazione, pur noto per sommi capi agli storici, non era mai stato ricostruito in modo sistematico ed è rimasto nell’ombra per mezzo secolo. A ripercorrere davanti al pubblico del Festival di Mantova le tracce di questo Olocausto sconosciuto, raccontando le testimonianze dirette raccolte in sette anni di studio e lavoro storico, sia sul campo sia attraverso la lettura degli archivi sovietici e tedeschi, è stato Padre Patrick Desbois, autore di «Fucilateli tutti!». La prima fase della Shoah raccontata dai testimoni (Marsilio, pp. 292, euro 19,50), capo della Commissione per i rapporti con il Giudaismo della Conferenza episcopale francese nonché presidente dell’associazione “Yahad-In Unum”, fondata da un’iniziativa cattolica ed ebraica, il cui nome significa «l’uno e l’altro insieme», in ebraico e in latino, con l’obiettivo di documentare e ricostruire il massacro. Dal giugno del 2002, villaggio dopo villaggio, con i suoi giovani collaboratori, il prete originario della Borgogna ha ritrovato e intervistato a lungo gli ormai anziani testimoni degli eccidi: «Quelli che hanno accettato di raccontarci i particolari delle azioni di sterminio sono tutti contadini poverissimi, erano soltanto bambini all’epoca e ora vogliono parlare prima di morire», ha spiegato Desbois, «ma chiunque faceva parte della classe media non ci ha voluto parlare perché riflette ancora gli indottrinamenti subiti al tempo dell’Urss». Grazie a queste testimonianze, raccolte durante i suoi ripetuti viaggi in Ucraina, il sacerdote francese ha riscoperto centinaia di fosse comuni, nelle quali sono stati portati alla luce bossoli di fucili e di mitragliatrici, ossa di uomini, donne e bambini assassinati, così come molti oggetti personali non corrosi dal tempo. In questo modo, sono state raccolte le prove dell’assassinio selvaggio di centinaia di migliaia di ebrei. «Il nostro scopo è quello di ricostruire il crimine, non di giudicarlo ed è per questo che le testimonianze raccolte non sono e non vogliono essere sentimentali».Intervistato sul palco del Teatro Ariston di Mantova dal saggista Frediano Sessi (autore tra l’altro di Non dimenticare l’Olocausto e Prigionieri della memoria), Desbois ha anche spiegato l’origine del suo lavoro di ricerca: «Mio nonno fu deportato a Rawa Ruska e nel 2002 feci un viaggio in quel villaggio. Chiesi al sindaco se sapesse dove si trovava la fossa comune dei 12mila ebrei fucilati lì, ma lui mi disse che nessuno lo sapeva». A Desbois sono serviti altri tre viaggi a Rawa Ruska prima che il primo cittadino del paese perdesse le elezioni e al suo posto subentrasse un nuovo sindaco. «È stato lui a condurmi in un villaggio ancora più piccolo a pochi chilometri da lì, dove non c’era nemmeno l’acqua corrente. Lì ho incontrato gli anziani del posto, che, per la prima volta, hanno ammesso l’esistenza di una fossa comune indicandomi il luogo dove poi abbiamo scavato. Uno di loro mi ha detto di ricordare la camionetta che portava trenta giovani ebrei costretti a scavare la buca profonda otto metri dove poi sarebbero stati seppelliti. Poi il ricordo si è fatto più nitido e preciso, fino a far riemergere anche il momento in cui i soldati tedeschi, annoiati nell’attesa che scattasse il momento di sparare, chiesero un grammofono per ascoltare della musica». L’attività di censimento finora ha coperto metà dell’Ucraina e tre regioni della Bielorussia, ma da ottobre partirà anche in Russia. Il libro di Desbois, con il rigore di un ricercatore e la pietas di un sacerdote, indaga anche sul fenomeno inquietante del collaborazionismo e fa riemergere dal buio e dal silenzio parole di testimonianza che restituiscono una giusta sepoltura, degna della specie umana, a coloro che furono travolti dalla furia omicida del progetto nazista di conquista dell’Est.

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