“There is some shit I will not eat” – è parte della citazione di una poesia di E.E. Cummings che sta in esergo. Si volta pagina e si trova un titolo che lascia sconcertati. Sotto morfina, e la narrazione si avvia avvertendo che la storia ha inizio due mesi e mezzo dopo l’apertura della Guerra di Corea, anno 1950. Sono i tre elementi di cui si compone il nuovo romanzo breve di Philip Roth: una veemente affermazione di principio, l’indicazione di uno stato di alterazione della coscienza e la presenza costante del conflitto coreano nell’immaginario del protagonista, che teme di venir spedito al fronte. Marcus Messner è un giovanotto ebreo di Newark, serio e compreso di sé, animoso e ateo non belligerante, che per fuggire dalla paranoia da paura del padre se ne va al college di Winesburg, Ohio. La scelta di Roth non è casuale, visto che Winesburg, Ohio, la raccolta di racconti di Sherwood Anderson, è un classico della tradizione americana. Qui il nostro si dedica allo studio, si tiene alla larga dagli sport e dagli studentati, mette gli occhi sulla compagna di corso Olivia Hutton. La porterà a cena , scoprirà la inattesa franchezza e disinvoltura della ragazza, che alla fine della serata gli farà un lavoro memorabile e sublime. Sorpresa, sconcerto, paura. Il viatico all’eros ha su Marcus un triplice effetto: si interroga sull’atto in sé, acuisce la nascente insofferenza verso le bigotte tradizioni del college e gli mostra tutta la sua inadeguatezza. Roth è al suo meglio nel dar figura allo struggimento del giovane maschio alla soglia di un mondo ricco di opportunità, che si scopre frenato dalle pastoie delle convenzioni – e qui inserisce un vaniloquio laico sull’eternità come “eterno rimuginare della memoria su se stessa”, un altro capitolo della inesausta lotta alla parola “morte” dello scrittore, riscattato da un guizzo di humour: “Per la cronaca, ho il forte sospetto che anche qui si possa morire”. Nella sua vita Marcus arriverà allo scontro con l’istituzione e terrà fede al verso in esergo: non la mangerà, quella roba, poi sarà tutto un precipitare, complice la sua sventatezza e il non cogliere la rima nascosta tra “indignazione” e “convenzione”, fino al breve capitolo finale. Non più sotto, dove il lettore scoprirà il perché della morfina. Tutto per un’opera che non è il “capolavoro della maturità” di cui ha scritto John Banville, ma “soltanto” un altro notevole libro di Philip Roth. Non è poco. Tiziano Gianotti La Repubblica delle Donne