Ci stupisce il tono del pezzo di Antonio Ferrari sul CORRIERE della SERA di oggi, 07/09/2009. a pag.6, dal titolo, per lo meno stravagante, " Cristiani,ebrei,buddisti. Ramadan ad Auschwitz in omaggio all'Islam ".
Ferrari, abitualmente così preciso nelle analisi, ci rifila oggi un'insalata mista, condita con buonismo, alterazioni storiche, il tutto spruzzato con abbondante dose di pacifismo. Che facciano parte della comunità di S.Egidio, non è una novità, ma che le debba sposare il CORRIERE della SERA è un altro conto. Il significato di Auschwitz è uno solo, lì avvenne un genocidio, che si sarebbe ripetuto anche in Palestina, se Hitler, con l'aiuto del volenteroso Gran Muftì di Gerusalemme, non fosse stato sconfitto ad El Alamein. Se avesse vinto, avrebbe sterminato tutti gli ebrei, tale era anche l'obiettivo del Muftì. Prima di fare un Ramadan ad Auschwitz, cancellando la storia precedente, un mea culpa è indispensabile. Il pezzo di Ferrari si chiude con la citazione di un film in preparazione, dal titolo "Dio torna ad Auschwitz", che, scrive Ferrari, sarebbe piaciuto a Primo Levi. E' cosa decente lasciare in pace i defunti, men che mai citarli a sproposito. Il Dio cristiano ci aveva provato sì a tornare ad Auschwitz, con il processo di cristianizzazione del campo (già dimenticata quella enorme croce che la chiesa voleva costruire ?), ma l'opposizione degli ebrei lo impedì. Questi viaggi-melassa, tutti insieme appassionatamente, hanno un solo significato, quello di riscrivere la storia. Grave l'imprimatur del CORRIERE della SERA. Ecco il pezzo:
DAL NOSTRO INVIATO
AUSCHWITZ-BIRKENAU (Polonia) — I musulmani sono in pieno Ramadan, il mese del digiuno che si rispetta per convinzione, per tradizione, o anche per rivendicare la propria appartenenza. Domani, nei campi di sterminio di Auschwitz e della confinante Birkenau, non saranno soli. In tanti ne seguiranno l’esempio. Saranno, tutti assieme, i capi religiosi, cristiani, ebrei, buddisti e di altre fedi, ed anche i laici che partecipano all’incontro di Cracovia organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, a rispettare il precetto dell’Islam, concedendosi al cibo e alle bevande soltanto la sera, per l’Iftar.
È quasi un inno alla convivenza e alla globalizzazione del rispetto reciproco questo silenzioso e struggente pellegrinaggio, per comprendere che «un’umanità smemorata produce politiche effimere, prigioniere dei fuochi d’artificio del mondo mediatico», e dimenticando che è «lo spirito a cambiare la storia», ha detto ieri il fondatore della Comunità Andrea Riccardi, aprendo un vertice che pare lontano anni-luce dalle polemiche e dai veleni di casa nostra. Non soltanto perché Cracovia è la città di Giovanni Paolo II, che ha sempre sostenuto con passione Sant’Egidio, incoraggiando il dialogo anche quando era assai difficile; non soltanto perché la Polonia, 70 anni fa, è stata la prima vittima di una guerra mondiale di ferocia inaudita. Ma perché l’unico modo di costruire davvero la pace, evitando la retorica e i proclami roboanti, è il saper ascoltare le idee dell’altro. Senza rinunciare alle proprie, ma soprattutto senza crociate, anatemi e aggressioni.
La trasferta nelle vicine Auschwitz e Birkenau, avvolte in un clima che sembra già annunciare le intemperie dell’inverno, dona a questo incontro il prezioso sapore della riconciliazione.
È la nobile conclusione di un vertice che, per tre giorni, affronterà, proprio a partire dalla notte dell’umanità imposta dalla follia nazista, i temi e le ferite del mondo di oggi: dalla povertà alla crisi finanziaria, dall’emigrazione alle seduzioni di un mercato in difetto di ossigeno, dal bisogno di etica ai bisogni di chi ha fame. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che guida i destini del mondo, ha inviato a Cracovia un suo consigliere per gli affari religiosi, Joshua Dubois.
Tuttavia, le notizie più significative verranno con il silenzioso e raccolto ingresso nei campi di sterminio, accanto ad ebrei e cristiani, dei rappresentanti di due mondi: quello musulmano e quello buddista. Per opposte ragioni. I leader religiosi dell’Islam, un mondo che non ha colpe nella campagna di sterminio voluta da Hitler, intendono dimostrare che i negazionisti sono una pur rumorosa minoranza e che altri confondono, forse per ignoranza, la Shoah con le ingiustizie subite dai palestinesi, concentrando tutte le responsabilità su Israele. I leader religiosi giapponesi, invece, sanno bene che il loro Paese, alleato di Adolf Hitler, ebbe la colpa di non vedere, di non ascoltare, di non voler sapere quanto tutte le cancellerie del mondo sospettavano sulla campagna di annientamento degli ebrei.
In loro, oggi convivono stupore e orrore. Ieri mattina, una comitiva di visitatori venuti dall’Estremo Oriente ascoltava sbigottita il terribile racconto della guida. Non si può non provare orrore entrando nell’annerito crematorio di Auschwitz, l’unico che è stato conservato praticamente intatto, e che fu fornito ai nazisti dalle stesse ditte che producevano forni per panetterie. Non si può non sussultare davanti alla villetta, dove abitava il custode del campo, assieme alla moglie e ai cinque figli, cresciuti nel recinto spinato in compagnia della sofferenza, del dolore e della morte. Non si può restare insensibili di fronte alla fotografia del medico nazista che, con precisione maniacale ma anche con noncuranza (un cenno della mano), decideva se uno aveva diritto di vivere oppure di entrare subito sotto le «docce» della camera a gas. Da quest’incontro di Cracovia affiora un clima di volontà rinnovata. Teologi, politici (ieri ha parlato il presidente della commissione europea Barroso), intellettuali, artisti, stanno portando il loro contributo ad un dibattito che vuol costruire e non distruggere. Ma il senso profondo del pellegrinaggio nei campi di sterminio si può riassumere nel titolo di un film-documentario al quale lavora Mario Marazziti, uno dei leader storici di Sant’Egidio: «Dio torna ad Auschwitz ». Sarebbe piaciuto a Primo Levi.
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