Sul CORRIERE della SERA di oggi, a pag.29, con il titolo " Merci, capitano di solidarietà " un articolo di Antonio Ferrari sui < giusti > che hanno salvato ebrei durante la Shoà. Dopo aver ricordato la figura di Guelfo Zamboni, console a Salonicco, Ferrari racconta la storia di Lucillo Merci, che oggi conosciamo grazie alle ricerche di Gianfranco Moscati. Ecco il pezzo:

a sin. Lucillo Merci, a destra Guelfo Zamboni
Chi è un Giusto? Per lo Yad Vashem di Gerusalemme, l’onore di Giusto («Chi salva una vita salva il mondo intero») viene riconosciuto ai non ebrei che misero in pericolo la propria vita per sottrarre gli israeliti alla deportazione nei campi di sterminio nazisti.
Giusti sono stati riconosciuti Oskar Schindler, Raoul Wallenberg, Giorgio Perlasca, Dimitar Peshev e migliaia di altri. La medaglia di Giusto è stata consegnata, con una toccante cerimonia all’ambasciata israeliana di Roma, nel 1992, al console italiano a Salonicco Guelfo Zamboni, che riuscì a salvare nel 1943 quasi trecento ebrei, consegnando documenti falsi anche a coloro che non avevano alcun legame con il nostro Paese. Ma nei labirinti delle severe commissioni dello Yad Vashem si sono perdute negli anni altre storie, altri esempi di straordinaria solidarietà umana. Esemplare, nella sua limpidezza, la vicenda di un capitano italiano, Lucillo Merci, per due ragioni: non soltanto per ciò che fece a Salonicco, collaborando con Zamboni, ma per quanto ha fatto dopo l’8 settembre, quando l’armistizio provocò la guerra dei nazisti contro gli ex alleati italiani.
A far riaffiorare dai sottoscala della memoria il caso Merci ha indubbiamente contribuito un appassionato ricercatore ebreo, Gianfranco Moscati, milanese di nascita, napoletano di adozione, che dalla fine della guerra ha cominciato a raccogliere e a catalogare migliaia di documenti, che ha poi donato all’Imperial Museum of War di Londra. Moscati, che fuggì in Svizzera nel settembre ’43, vestito da militare per facilitare l’ingresso nella Confederazione (la divisa l’aveva barattata con un soldato del regio esercito che riteneva di essere più protetto con abiti civili), rientrò nella Milano liberata il 26 aprile del 1945, pronto ad organizzare convogli di ebrei che cercavano un focolare in Palestina, e cominciando da subito il suo appassionato lavoro di ricerca sulla Shoah.
Moscati ha ottenuto dagli eredi di Merci alcune pagine del diario del capitano, che il 17 settembre 1943 scriveva: «Concluso il ciclo degli ebrei con la loro soppressione, iniziai il lavoro a favore della colonia italiana, dei fuggiaschi che da ogni dove si rivolgevano al Consolato, degli ufficiali e marinai delle navi Livenza, Aprilia e Monstella». Per alleviare le sofferenze dei soldati, prigionieri dei tedeschi, Merci distribuiva cibo e viveri. A volte, affidandosi alla sua innata solidarietà creativa, convinse i sospettosi tedeschi a rilasciare alcuni ufficiali, inventandosi che avevano insegnato nelle scuole italiane di Salonicco. Il capitano, maestro elementare, aveva molta dimestichezza con il mondo dell’istruzione.
Merci, che per qualche verso somiglia allo svedese Wallenberg, contava sul proprio carattere schietto e su un’umanità straripante per ammorbidire gli ex alleati. Esemplari le risposte (molto italiane) che diede al mastino nazista Wislicenj, che lo aveva apostrofato con rabbia lamentando come alcuni nostri connazionali fossero stati sorpresi a baciare in pubblico donne ebree.
Eppure su questo eroe sconosciuto, è sceso il silenzio. Rotto dalle iniziative della direttrice dell’archivio storico del comune di Bolzano (dove Merci viveva) Carla Giacomozzi e, appunto, da Moscati. Bene ha fatto lo studioso e scrittore ebreo Gabriele Nissim a sostenere il dovere del riconoscimento di Giusto per coloro che lottano contro tirannie e discriminazioni nei rispettivi Paesi: un albero, sul Montestella di Milano, porta il nome di Anna Politovskaja, la coraggiosa giornalista russa che ha pagato con la vita le denunce contro i soprusi degli oligarchi. Anche il capitano Merci merita almeno un albero: salvando ebrei e non ebrei ha dimostrato che la solidarietà umana non conosce alcuna frontiera.
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