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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.09.2009 La storia di Lucillo Merci
Raccontata da Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 settembre 2009
Pagina: 29
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Merci, capitano di solidarietà»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, a pag.29, con il titolo " Merci, capitano di solidarietà " un articolo di Antonio Ferrari sui < giusti > che hanno salvato ebrei durante la Shoà. Dopo aver ricordato la figura di Guelfo Zamboni, console a Salonicco, Ferrari racconta la storia di Lucillo Merci, che oggi conosciamo grazie alle ricerche di Gianfranco Moscati. Ecco il pezzo:

 a sin. Lucillo Merci, a destra Guelfo Zamboni

Chi è un Giusto? Per lo Yad Va­shem di Gerusa­lemme, l’onore di Giusto («Chi salva una vita salva il mondo intero») vie­ne riconosciuto ai non ebrei che misero in perico­lo la propria vita per sot­trarre gli israeliti alla de­portazione nei campi di sterminio nazisti.

Giusti sono stati ricono­sciuti Oskar Schindler, Ra­oul Wallenberg, Giorgio Perlasca, Dimitar Peshev e migliaia di altri. La meda­glia di Giusto è stata conse­gnata, con una toccante ce­rimonia all’ambasciata isra­eliana di Roma, nel 1992, al console italiano a Salonic­co Guelfo Zamboni, che riuscì a salvare nel 1943 quasi trecento ebrei, conse­gnando documenti falsi an­che a coloro che non aveva­no alcun legame con il no­stro Paese. Ma nei labirinti delle severe commissioni dello Yad Vashem si sono perdute negli anni altre sto­rie, altri esempi di straordi­naria solidarietà umana. Esemplare, nella sua limpi­dezza, la vicenda di un capi­tano italiano, Lucillo Mer­ci, per due ragioni: non sol­tanto per ciò che fece a Sa­lonicco, collaborando con Zamboni, ma per quanto ha fatto dopo l’8 settem­bre, quando l’armistizio provocò la guerra dei nazi­sti contro gli ex alleati ita­liani.

A far riaffiorare dai sotto­scala della memoria il caso Merci ha indubbiamente contribuito un appassiona­to ricercatore ebreo, Gian­franco Moscati, milanese di nascita, napoletano di adozione, che dalla fine della guerra ha cominciato a raccogliere e a catalogare migliaia di documenti, che ha poi donato all’Imperial Museum of War di Londra. Moscati, che fuggì in Sviz­zera nel settembre ’43, ve­stito da militare per facilita­re l’ingresso nella Confede­razione (la divisa l’aveva ba­rattata con un soldato del regio esercito che riteneva
di essere più protetto con abiti civili), rientrò nella Milano liberata il 26 aprile del 1945, pronto ad organiz­zare convogli di ebrei che cercavano un focolare in Palestina, e cominciando da subito il suo appassiona­to lavoro di ricerca sulla Shoah.

Moscati ha ottenuto da­gli eredi di Merci alcune pa­gine del diario del capita­no, che il 17 settembre 1943 scriveva: «Concluso il ciclo degli ebrei con la loro soppressione, iniziai il lavo­ro a favore della colonia ita­liana, dei fuggiaschi che da ogni dove si rivolgevano al Consolato, degli ufficiali e marinai delle navi Livenza, Aprilia e Monstella». Per al­leviare le sofferenze dei sol­dati, prigionieri dei tede­schi, Merci distribuiva cibo e viveri. A volte, affidando­si alla sua innata solidarie­tà creativa, convinse i so­spettosi tedeschi a rilascia­re alcuni ufficiali, inventan­dosi che avevano insegna­to nelle scuole italiane di Salonicco. Il capitano, mae­stro elementare, aveva mol­ta dimestichezza con il mondo dell’istruzione.

Merci, che per qualche verso somiglia allo svedese Wallenberg, contava sul proprio carattere schietto e su un’umanità straripan­te per ammorbidire gli ex alleati. Esemplari le rispo­ste (molto italiane) che die­de al mastino nazista Wisli­cenj, che lo aveva apostro­fato con rabbia lamentan­do come alcuni nostri con­nazionali fossero stati sor­presi a baciare in pubblico donne ebree.

Eppure su questo eroe sconosciuto, è sceso il si­lenzio. Rotto dalle iniziati­ve della direttrice dell’ar­chivio storico del comune di Bolzano (dove Merci vi­veva) Carla Giacomozzi e, appunto, da Moscati. Bene ha fatto lo studioso e scrit­tore ebreo Gabriele Nissim a sostenere il dovere del ri­conoscimento di Giusto per coloro che lottano con­tro tirannie e discrimina­zioni nei rispettivi Paesi: un albero, sul Montestella di Milano, porta il nome di Anna Politovskaja, la corag­giosa giornalista russa che ha pagato con la vita le de­nunce contro i soprusi de­gli oligarchi. Anche il capi­tano Merci merita almeno un albero: salvando ebrei e non ebrei ha dimostrato che la solidarietà umana non conosce alcuna fron­tiera.


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