Ahmadinejad e Chavez sempre più alleati. Sul CORRIERE della SERA di oggi, 06/09/2009, a pag. 13, con il titolo " Chavez in Iran, impegno comune per il nucleare", il servizio da Gerusalemme di Franceso Battistini. Chavez si farà poi un giro in Medio Oriente, ci auguriamo che le democrazie si accorgano che la cosa non interessa solo Israele.
Brigate Rosse ? no, per ora solo Hugo Chavez
GERUSALEMME — Il Venezuela che punta al nucleare, nono produttore mondiale di petrolio, è come l’Alaska che importa frigoriferi. «O l’Iran — osserva malizioso Alex Ben-Zvi, grande esperto israeliano di questioni sudamericane — che finge di non avere tutti quei barili di greggio e si costruisce centrali per l’energia pulita». Eppure, forse inebriato dai bagni di folla in Siria e a Teheran, sicuramente disinteressato alle migliaia di oppositori che nel frattempo marciano tra New York e Bogotà al motto «No mas Chávez!», proprio questo annuncia il presidente venezuelano in visita all’amico Ahmadinejad: «Con l’aiuto dell’Iran — dice — stiamo lavorando alla creazione di una cittadella nucleare, affinché il mio popolo possa contare in futuro su questa straordinaria risorsa, utilizzata a scopi pacifici». E giurando sulle buone intenzioni degli ayatollah, «non c’è una sola prova che stiano preparando la bomba atomica», immaginando le critiche in arrivo, il líder di Caracas mette già le mani avanti: «Così adesso accuseranno anche me di volerne fabbricare una!». Hugo Chávez è in tournée. Undici giorni fra Medio Oriente, Russia e Spagna. Con una puntatina magari alla Mostra del cinema di Venezia, domani, dov’è ad aspettarlo il suo regista preferito Oliver Stone, munito d’apposito documentario su «uno statista troppo demonizzato dai media americani ». La tappa iraniana, «in sostegno alle nazioni rivoluzionarie e al fronte antimperialista », è quella che più preoccupa gli avversari di Chávez: la settima in pochi anni, in quella che chiama «la mia seconda patria», dov’è ogni volta omaggiato con statue e medaglie islamiche, dove ha siglato piani decennali di collaborazione e con la quale — sostiene Israele — scambia uranio e investimenti. «Avrà anche vietato le armi giocattolo ai bambini — scrivono i siti di Gerusalemme, riferendosi alla nuova legge venezuelana che ne proibisce la diffusione — ma gli piacciono da matti quelle dei grandi». Un mese fa, il ministro russo- israeliano Avigdor Lieberman che l’accusava d’ospitare cellule Hezbollah in Sudamerica, Chavez l’ha liquidato con due parole: «Boss mafioso». Salutato l’amico Gheddafi lunedì scorso, il giorno del discorso del Colonnello contro «l’espansionismo sionista» in Africa, El presidente non poteva esimersi pure lui dal comizio contro «lo Stato assassino al servizio dell’imperialismo». Lo fa in Siria, a Sweida, zona drusa a un centinaio di chilometri da Damasco, in cui abitano 200 mila venezuelani discendenti degli emigrati d’un secolo fa e da cui viene pure la famiglia del suo ministro dell’Interno, Tarek El Aissami: «Saluto il popolo israeliano, ma lo invito a boicottare il suo governo genocida!». C’è un milione di siriani che vive in Venezuela e per Chavez è facile esaltare Sultan Pasha El Atrache, «il Simon Bolivar della Siria» che negli anni 20 combatté i francesi, oppure accusare l’odiato governo della Colombia d’essere «l’Israele sudamericano al servizio degli interessi di Washington». Ama la retorica, Hugo, e non risparmia neppure un «mi sento siriano, mi sento arabo». Alza una bottiglia del vino che fanno a Sweida, mentre stringe la mano del presidente Assad, e dice che «bisogna alzare nuovamente la bandiera del socialismo arabo di Nasser ». Promette: «Offrirò questo vino anche a Fidel Castro ». Un altro amico suo e di Stone.
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