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La Stampa Rassegna Stampa
05.09.2009 Stragi: Bologna e Ustica, la pista libica e palestinese. Dagli archivi americani
Analisi e intervista di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 05 settembre 2009
Pagina: 12
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Bologna-Ustica, quando il sospetto cadde su Gheddafi, Cossiga aveva sottovalutato l'estrema destra»

 Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 05/09/2009, a pag. 12, con il titolo " Bologna-Ustica, quando il sospetto cadde su Gheddafi", analizza i documenti dagli archivi del Dipartimento di Stato americano, dai quali emergono le responsabilità di terroristi libici e palestinesi. Coperte dai governi democristiani, con la complicità di altre forze politiche, Craxi in testa. Per capire i comportamenti dei politici italiani, ma anche americani - il presidente era Carter - basta leggere le dichiarazioni dell'ambasciatore americano dell'epoca, Richard Gardner,nell'intervista di Molinari che segue . Dal titolo sbagliato, quello corretto doveva essere " Cossiga aveva visto giusto ".  Ci sono tutti, americani compresi. Che Gardner fosse un tontolone lo si era sempre saputo, in quell'anno collaborava con Zbignew Brzeninski, nome tornato alla ribalta con Obama. Come Carter, quasi stabile in Medio Oriente a fare danni, come quando era presidente. I due articoli di Molinari aiutano anche a capire il presente.

Maurizio Molinari- " Bologna -Ustica: quandomil sospetto cadde su Gheddafi"

All'indomani della strage di Bologna, il Quirinale di Sandro Pertini non escluse la pista del terrorismo straniero, lamentando la presenza di agenti «libici, palestinesi e cecoslovacchi» in Italia e attribuendo tali infiltrazioni all'«eccesso di tolleranza» dei governi a guida democristiana «nei confronti del terrorismo di destra e di sinistra».
Questo si evince dalla lettura dei documenti sulla strage di Bologna che «La Stampa» ha ottenuto dal Dipartimento di Stato nel rispetto delle norme del «Freedom of Information Act». Il primo accenno a una «pista straniera» per la strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, la si trova il 4 agosto, quando l'ambasciata americana a Roma informa il Dipartimento di Stato a Washington dell’esistenza di una possibile matrice libica: «Le deduzioni ci portano a dire che la matrice è neofascista ma alcuni importanti personaggi italiani ritengono che la regia sia all'estero e il leader del Psdi Pietro Longo fa riferimento a responsabilità africane, presumibilmente libiche».
Passano 72 ore ed è Richard Gardner, titolare dell’ambasciata, a firmare un telegramma all'attenzione del Segretario di Stato Ed Muskie per far sapere che Gerardo Bianco, capogruppo della Dc alla Camera, non solo «sospetta del coinvolgimento libico nell'attacco di Bologna» ma «chiede di avere un maggiore scambio di informazioni fra servizi segreti» al fine di chiarire le minacce che il regime del colonnello Muammar Gheddafi porta all'Italia. E Gardner lo rassicura sulla «stretta cooperazione con i servizi segreti italiani», sottolineando che l'intelligence americana è «costantemente in allerta sui segnali di sostegni stranieri per il terrorismo italiano».
Il 14 agosto è il Dipartimento di Stato che invece scrive a Gardner, facendogli sapere che «le autorità italiane stanno indagando su un possibile legame fra l'attacco di Bologna e la misteriosa caduta di un DC-9 di una compagnia italiana nel Mar Tirreno dello scorso 27 giugno», suggerendo di «seguire da vicino» questa «prima indicazione di un possibile collegamento» contro il disastro di Ustica.
La risposta da Roma arriva il 15 agosto, con un telegramma che cita come fonte «tre dissidenti libici», secondo i quali «Gheddafi garantisce addestramento e sostegno ai terroristi italiani tanto di destra che di sinistra nell'ambito di una strategia tesa a destabilizzare l'area del Mediterraneo».
Sono proprio questi due dissidenti a fare i nomi delle località dove Gheddafi addestra i terroristi: «Iufra, Ghadames e Sinuaen». Gli istruttori sarebbero «di più nazionalità», includendo «palestinesi ma anche europei e americani già impiegati dalla Cia», mentre «sovietici e est europei sono troppo prudenti per farsi coinvolgere direttamente in questi campi». Ma ciò che più conta per Gardner è quanto ascolta dal primo ministro Francesco Cossiga e da Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale, nei colloqui che ha l'8 settembre e di cui scrive il giorno seguente al Dipartimento di Stato, con un lungo telegramma intitolato «Terrorismo - Le opinioni del primo ministro Cossiga e del presidente Pertini» e classificato «Confidential»: «Sul coinvolgimento di stranieri nel terrorismo Cossiga ha osservato che l'Italia sa, da fonti americane, che vi sono campi di addestramento in Libia anche se nessun collegamento fra la strage ed elementi stranieri è stato ancora stabilito».
Quanto a Maccanico, «ha detto che il presidente Sandro Pertini è convinto che non solo elementi libici ma anche palestinesi e cecoslovacchi sono implicati nel terrorismo italiano al comune obiettivo di destabilizzare la nazione». E' questo il punto che Gardner più porta all'attenzione del Segretario di Stato, Ed Muskie: «Maccanico ha detto che l'Italia è per molti versi il Paese europeo più vulnerabile al terrorismo, dandone in gran parte la responsabilità a eccessi di tolleranza da parte del governo italiano nei confronti del terrorismo tanto di destra che di sinistra».
Fino a quel momento tutti i governi italiani erano stati a guida democristiana. «Se il governo italiano avesse agito energicamente quando questo fenomeno era nelle sue fasi finali - sono le parole di Maccanico a Gardner - le dimensioni del terrorismo sarebbero totalmente differenti».

Maurizio Molinari- " Cossigna aveva sottovalutato l'estrema destra ", intervista a Richard Gardner

R.Gardner

Francesco Cossiga era molto agitato, emotivo, in quel periodo e alla guida del governo lo sostituì Arnaldo Forlani, assai più calmo, con le caratteristiche del pacificatore». Così l'allora ambasciatore Usa in Italia Richard Gardner ricorda i turbolenti mesi seguiti alla strage di Bologna, che portarono alla caduta del Cossiga II.
Ambasciatore, dov’era quando avvenne l'attentato alla stazione di Bologna?
«Quel weekend eravamo ospiti di Letizia Boncompagni nella sua villa vicino a Lucca. C'erano i Fanfani, i Rognoni, i Maccanico e il ministro dell'Industria Bisaglia. Stavamo attorno alla piscina quando qualcuno portò a Rognoni, ministro dell'Interno, la notizia. All'inizio si pensò a un incidente, poi divenne chiaro che si era trattato di esplosivo. Poco dopo un elicottero militare atterrò sul prato della villa per portare Rognoni a Bologna».
Dalle carte declassificate del Dipartimento di Stato emerge un presidente del Consiglio italiano molto debole, vulnerabile. Lei che ricordo ne ha?
«Ci vedemmo l'8 settembre. Cossiga mi disse di non preoccuparmi troppo delle tensioni fra Psi e Dc, erano normali al ritorno delle ferie e il governo sarebbe rimasto in piedi. Invece avvenne il contrario: sul super-decreto la maggioranza andò sotto alla Camera 297 a 298 voti, mancarono i voti di due Dc usciti dall'aula al momento del voto».
Che cosa indebolì Cossiga?
«Molti lo accusavano di aver sottovalutato il terrorismo di destra, concentrandosi solo contro quello di sinistra. Non ho mai avuto prove concrete di questo ma era l'atmosfera di quel momento. Per questo Craxi disse che Cossiga sembrava “consumato”, anch’io ebbi questa impressione. Cossiga cadde quando ero a Washington con Bisaglia per una missione energetica che riguardava l'Eni, per ridurre la dipendenza dell'Italia dall'estero».
A sostituire Cossiga arrivò Forlani. In cosa era diverso?
«Forlani era l'opposto di Cossiga. Era calmo, pacato, il riconciliatore che in quel momento serviva all'Italia per garantire continuità e stabilità. Uno dei migliori italianisti del Dipartimento di Stato paragonò Forlani a un giocatore di calcio capace di governare il gioco senza mai esporsi fino a fare gol».
Nelle carte lei fa riferimento alla presa di posizione dell'Amministrazione Carter del 12 gennaio 1978, favorevole a ridurre l'influenza del partito comunista in Italia. Di che cosa si trattava?
«L'11 gennaio andai alla Casa Bianca, incontrai il consiglio per la sicurezza e vidi il presidente Carter. La presa di posizione si era resa necessaria perché “La Repubblica” aveva scritto in più occasioni che l'Amministrazione Carter non si opponeva a un ingresso del Pci nel governo. Il testo fu letto il 12 marzo durante il briefing del portavoce del Dipartimento di Stato. Si esprimeva “preoccupazione”, riferendosi alle recenti e numerose prese di posizione filo-sovietiche del Pci, e si auspicava una “riduzione” dell'influenza del Pci sulla vita politica in Italia, sottolineando comunque che dovevano essere gli italiani e nessun altro a decidere da chi farsi governare. Quest'ultimo concetto riaffermava il “position paper” del marzo precente".
Che cosa c'era in quel «position paper»?
«Ci avevo lavorato con Zbignew Brzezinki, consigliere per la sicurezza, prima di iniziare la mia missione in Italia. Segnava la fine delle politiche precedenti di Nixon e Kissinger. Vi si affermava che l'Italia era uno Stato democratico, che non vi sarebbero più state interferenze o manipolazioni e che non avremmo più finanziato partiti o leader politici italiani. Al tempo stesso si ribadiva che il sostegno dell'America andava a quelle forze politiche che avevano i nostri stessi valori di democrazia e libertà, che non erano quelli del partito comunista».

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