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La Stampa Rassegna Stampa
02.09.2009 Normalizzazione dei rapporti fra Turchia e Armenia
Cronaca di Marta Ottaviani, meno ottimista di Antonio Ferrari

Testata: La Stampa
Data: 02 settembre 2009
Pagina: 16
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «Ankara: 'Presto per aprire la frontiera con l’Armenia'»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/09/2009, a pag. 16, l'articolo di Marta Ottaviani dal titolo " Ankara: 'Presto per aprire la frontiera con l’Armenia' ".


Vakifli Köy è l’unico villaggio interamente armeno rimasto sul territorio turco

Non ci vivono più di 150 anime. In Turchia molti ignorano la sua esistenza, ma per chi lo conosce è un simbolo di forza e volontà. Vakifli Köy è l’unico villaggio interamente armeno rimasto sul territorio nazionale. Si trova in Hatay, nell’estremo sud del Paese, dove l’aria odora già di Medio Oriente e dove, nel 1915, carovane piene di armeni passavano per raggiungere la Siria, soprattutto Aleppo, da cui spesso non facevano più ritorno. Un trasloco in massa che l’Impero Ottomano prima e la Turchia moderna poi ha sempre sostenuto dettato da motivi di sicurezza. Una deportazione invece secondo l’Armenia e gran parte della comunità internazionale, costata un milione di morti e che dovrebbe essere definita «genocidio». Parola che Ankara si è sempre rifiutata di utilizzare, contrapponendo la sua versione dei fatti: i morti non furono un milione, ma «solo» 300 mila, periti per varie cause, dalle epidemie alle iniziative personali di alcune bande locali e frange dell’esercito ottomano fuori controllo.
Non un genocidio ma una «tragica fatalità», quindi, a cui però sei villaggi armeni trovarono il modo di opporsi, rifugiandosi sul monte Musa e combattendo per 53 giorni contro le armate del sultano, finché furono tratti in salvo dai francesi. Quando l’orrore fu passato e nel 1939 l’Hatay tornò alla Turchia, quasi tutti preferirono rimanere all’estero. Gli abitanti di Vakifli Köy fecero rientro a casa e da lì non li ha più allontanati nessuno.
Se si pensa alla loro storia, oggi l’abitato sembra il frutto di un miracolo. Posto in una delle aree più suggestive del Paese, restaurato nel 1994 grazie a fondi stanziati dal governo turco, recentemente sono stati aperti due agriturismi perché la zona sta lentamente diventando meta dell’ecoturismo. Gli abitanti conservano gelosamente le tradizioni dei loro antenati, a partire dalla lingua, una variante dell’armeno che non viene compresa totalmente né da chi abita a Istanbul e neppure da chi vive a Erevan. La comunità oggi è lontana dal tempo del genocidio, ma fiera della sua resistenza. Vive in pace e il sabato sera si ritrova tutta nel giardino del villaggio. Alle politiche del 2007 il partito del premier islamico-moderato Recep Tayyip Erdogan è risultato la formazione più votata.
Un raggio di speranza in fondo al tunnel, come il protocollo per la normalizzazione dei rapporti che Turchia e Armenia firmeranno fra sei settimane. Concluso anche grazie alla mediazione della Svizzera, dovrebbe portare alla riattivazione delle relazioni diplomatiche, interrotte ufficialmente nel 1993, con la chiusura del confine, ma già lacerate da precedenti decenni di odio. Un passo avanti dopo la road map dello scorso aprile, sul cui stato di salute molti, fra cui gli stessi Stati Uniti, cominciavano a nutrire dei dubbi. Il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha fatto capire che, per quanto la riattivazione delle attività diplomatiche sia importante, ci vorrà tempo prima che il confine venga riaperto, anche perché i rispettivi parlamenti dovranno ratificare i documenti. «Ci vorrà qualche mese», ha detto anche Erdogan. Ha anche ribadito che la Turchia continuerà a tutelare gli interessi dell’Azerbaigian. Di mezzo, infatti, oltre alla questione del genocidio, c’è anche la più recente disputa sul Nagorno-Karabakh, regione contesa fra Erevan e Baku ed oggetto di una guerra sanguinosa negli anni Novanta, dove Ankara è storicamente schierata al fianco della seconda. Ma il presidente armeno Serge Sarkissian ha detto che la normalizzazione dei rapporti tra Erevan e Ankara «non è subordinata né alla questione del genocidio, né alla disputa sul Nagorno-Karabakh». Da Baku però è già arrivato il monito: non aprire le frontiere fino alla soluzione della regione contesa.
Il protocollo dovrebbe essere firmato il prossimo 12 o 14 ottobre, quando Sarkissian si recherà in Turchia per assistere a una partita di calcio fra le due nazionali insieme con il collega turco Abdullah Gul. L’occasione è imperdibile per entrambi. Rinnovato prestigio internazionale e punti acquistati davanti all’Unione Europea per il Paese della Mezzaluna e la possibilità di entrare nelle rotte energetiche e dei trasporti del Caucaso per l’Armenia, che significherebbe la fine dell’isolamento a cui è sottoposta a causa dei suoi rapporti con Mosca. Per i rispettivi popoli, forse, finalmente, un po’ di pace.

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