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Informazione Corretta Rassegna Stampa
30.08.2009 Lo sapevate che...
L'analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 30 agosto 2009
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Lo sapevate che...»

Lo sapevate che nello Yemen da due settimane è in corso una guerra fra l’esercito yemenita e ribelli pagati ed armati dall’Iran? Che questa guerra ha già provocato oltre 2.000 (DUEMILA!) morti e 150.000 profughi? Che l’aviazione dell’Arabia Saudita appoggia le azioni yemenite colpendo i rifugi dei ribelli nelle montagne della provincia settentrionale di Saada? No? E come avreste potuto saperlo, dato che i nostri giornali non ne scrivono? Eppure, si tratta di una zona nevralgica – la Penisola Arabica – di vitale significato strategico per il predominio nella regione.

Ha ragione l’intellettuale palestinese Ahmad Abu Matar, che vive in Svezia, quando scrive che “la logica e l’obiettività di giudizio richiedono che fatti identici siano giudicati in modo identico, senza tener conto di chi ne è responsabile...ma arabi e musulmani, nella loro mentalità e nelle loro azioni, ignorano e violano questa massima...Quando un musulmano uccide un musulmano, un arabo uccide un arabo, o un palestinese uccide un palestinese, da parte dei musulmani, arabi, palestinesi ciò non provoca reazioni radicali. Ma quando un musulmano, arabo o palestinese viene ucciso da un israeliano o da un europeo, essi scatenano l’inferno...”. Ha ragione, certamente, ma la sua analisi è restrittiva rispetto alla realtà. Anche noi occidentali ci comportiamo esattamente come questi musulmani, arabi, palestinesi, e giudichiamo le uccisioni distinguendo chi viene ucciso e chi uccide: se un israeliano uccide un arabo gridiamo al cielo la nostra rabbia, se invece un musulmano uccide cento suoi confratelli ignoriamo il crimine.

Abu Matar trasferisce la sua veritiera tesi anche in politica, elencando le occupazioni territoriali che vengono tollerate in silenzio dal mondo islamico (le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, la provincia siriana di Iskendroun o Alessandretta occupata dalla Turchia 70 anni fa, la provincia araba di Ahvaz occupata nel 1925 dall’Iran, le tre isolette degli Emirati Arabi occupate dall’Iran nel 1971, ed infine, tralasciando altri esempi, l’occupazione del Kuwait da parte di Saddam nel 1991). Ma è solo l’occupazione israeliana della Cisgiordania che unisce nella guerra santa tutto l’Islam.

A proposito delle lacune dei nostri media, vale la pena di analizzare un pò più da vicino due eventi che in agosto sono stati riportati in maniera inadeguata dalla maggior parte dei giornali. 

 A metà mese lo sceicco Abd Al-Latif Musa ha tenuto un discorso infiammato nella moschea di Ibn Taymiyya a Rafah, nella striscia di Gaza. La sua chiamata alla ribellione ha scatenato la violenta reazione di Hamas, che ha ucciso lui ed una ventina dei suoi fedeli (jihadisti salafici ). La cosa ci è stata presentata frettolosamente come una fase della lotta politica fra Hamas ed Al Qaeda, senza altre spiegazioni, che invece sarebbero state utilissime per capire la complessità di questo scontro.

Sia Al Qaeda che Hamas hanno una parte delle loro radici ideologiche e religiose nella visione dei Fratelli Musulmani, ma Al Qaeda si è allontanato dalla visione religiosa ecumenica mitigata da un significativo pragmatismo nella scelta dei mezzi, di cui i Fratelli Musulmani sono i depositari. Al Qaeda ha accentuato la propria rigidità in materia di fede, avvicinandosi ai Wahabiti: democrazia ed elezioni sono per loro una forma di apostasia, e l’applicazione della shari’a deve avvenire ovunque subito ed in forma integrale.

A questo punto è chiaro che Hamas, che ha partecipato alle elezioni palestinesi (vincendole), che ha fatto parte del governo dell’Autorità Palestinese, che non ha instaurato un regime giuridico basato sulla shari’a a Gaza, sia considerata dai “duri e puri” un movimento di apostati, e come tale vada trattato. La rivolta guidata da Abd Al-Latif Musa ha avuto una causa scatenante in questa disputa più religiosa che politica, ed un pretesto immediato nell’ordine di Hamas di consegnare la “sua” moschea al Ministero degli Affari Religiosi di Gaza. Ma a più lungo termine questo scontro avrà anche conseguenze politiche, perché Al Qaeda dovrà decidere se sostenere attivamente la lotta palestinese (e pertanto Hamas) od opporsi con la forza a questi “apostati”.

L’altro evento è puramente politico, contestuale allo scontro di Rafah quasi a voler simbolicamente segnare la differenza fra Fatah e Hamas, ed è la sesta Conferenza Generale di questo movimento che da decenni rappresenta il punto di forza delle istanze palestinesi.

I nostri media hanno dato risalto agli spiragli possibilisti che potrebbero preludere ad una nuova fase di trattative con Israele, ma non alla contraddizione istituzionale che le potrebbe invece vanificare. Lo statuto (o carta costituzionale) di Fatah non è stato emendato né discusso, e sono rimasti in particolare invariati i testi della sezione 17 “La rivoluzione popolare armata è l’imperativo e l’unico modo di liberare la Palestina” e della sezione 19 “La lotta armata è una strategia, non una tattica. La rivoluzione armata del popolo arabo palestinese è un elemento cruciale nella battaglia per la liberazione e per l’eliminazione della presenza sionista. Questa lotta non si fermerà fino a quando l’entità sionista (ossia Israele) non sarà stata eliminata e la Palestina (tutta, incluso Israele, ndt) sarà stata liberata”.

Se questa è “parte dell’identità ideologica e politica del nostro popolo”, come si concilia con il piano di pace ratificato dalla conferenza come una opzione strategica? Ed i “vari mezzi per conseguire la pace” come verranno scelti? 

 Ma il passaggio più illuminante, che conferma quanto Israele denuncia da 60 anni, è quello in cui , stabilendo le condizioni per negoziare con Israele, la conferenza afferma che “Fatah considera essenziale mantenere intatti i campi profughi fino a quando il problema dei profughi (in base ad altre deliberazioni, si tratta del loro ritorno alle case perdute, cioè al “ritorno” in Israele, ndt) non sarà stato risolto,e ciò affinché essi (i campi profughi) servano come una evidenza politica fondamentale ...”. Insomma, i palestinesi dovranno restare ostaggi dei loro fratelli nei loro osceni campi profughi, in condizioni quanto più possibile disastrate ed avvilenti, per ricordare al mondo quanto è malvagio Israele. Evidentemente, la parola solidarietà non esiste nel vocabolario arabo, e la pietà di cui il Corano si fa vanto ha finalità selettive di natura politica.


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