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La Stampa Rassegna Stampa
30.08.2009 Abdul Rashid Dostum è tornato in Afghanistan per sostenere Karzai
Cronaca di Pierangelo Sapegno, intervista di Joanie De Rijke

Testata: La Stampa
Data: 30 agosto 2009
Pagina: 10
Autore: Pierangelo Sapegno - Joanie De Rijke
Titolo: «Qui è pericoloso perfino parlare con i bambini - Lo aiuterò, ma Karzai non può più sbagliare»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/08/2009, a pag. 10, l'articolo di Pierangelo Sapegno dal titolo "  Qui è pericoloso perfino parlare con i bambini" e, a pag. 11, l'intervista di Joanie De Rijke a Abdul Rashid Dostum dal titolo " Lo aiuterò, ma Karzai non può più sbagliare ". Ecco gli articoli:

Pierangelo Sapegno : "  Qui è pericoloso perfino parlare con i bambini" 

 Herat

Prima che Stefano Salvadori tornasse alla base doveva essere un giorno come adesso, uno sguardo di cielo stanco su questo paesaggio lunare, montagne di pietre e di deserto, e un silenzio di pace rotto dall’assordante lievitare degli elicotteri. Era venerdì, l’altro ieri, Afghanistan occidentale, provincia di Badghis, le truppe italiane e una tregua minacciosa dopo le elezioni. Oggi, l’elicottero Mangusta è fermo nel grande spiazzo vuoto della base di Herat. Il foro del proiettile lo vedi se ti avvicini, giusto sotto la cabina. Ci passa appena un dito, un piccolo buco in una macchia bianca, dalla parte del pilota. Dentro, lo schermo è saltato, e le schegge hanno colpito al braccio destro Stefano Salvadori. Maggiore Stefano Salvadori, 41 anni, occhi chiari. Racconta che avevano ricevuto una chiamata da una stazione di polizia. Erano andati sul posto, in un villaggio, «avevamo sorvolato l’abitato, e dopo una ricognizione senza risultato eravamo ripartiti». Solo che erano appena passati pochi minuti ed era arrivato il secondo allarme: «ci stanno sparando», dicevano gli agenti. Così, due elicotteri italiani erano riapparsi in cielo sopra la stazione di polizia assediata dai talebani. Uno era di nuovo quello di Salvadori. Questa volta, da sotto, gli sparavano contro colpi di kalashnikov e forse anche dei razzi, probabilmente RPG, dice il maggiore. Due proiettili hanno centrato la cabina, uno vicino al pilota. «Noi abbiamo valutato l’efficienza del mezzo, e abbiamo deciso che potevamo restare un tempo massimo di mezz’ora per difendere la stazione». Proprio trenta minuti è durato lo scontro. Oggi sembra tutto così lontano, mentre Salvadori racconta senza molta voglia la sua storia, e un altro elicottero sta sorvolando gli aridi dossi che si inseguono uno dietro l’altro verso la base italiana di Bala Morghab, portando il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto e il futuro Capo di Stato Maggiore Generale Giuseppe Valotto. «Vengo qui per abbracciare la faccia buona dell’Italia, quella di cui tutti parlano bene», dice Crosetto. Sono le facce di Salvadori e quelle del fuciliere caporal maggiore Stefano Riga, o del mitragliere di bordo Angelo Serra e del sergente Federico Ghetti, o ancora le facce come quella del colonnello Toscani De Col che adesso ricorda le battaglie nel distretto di Push- t-Rud del 14 luglio del 25 luglio ma ancora di più le visite all’orfanotrofio di Farah, per portare i medicinali e qualche pacco regalo ai 150 bimbi che sfilano con i loro sguardi dolenti davanti ai soldati disarmati, gli stessi sguardi che ritroviamo adesso, al di là del fiume dietro le mura spezzate di Bala Morghab, mentre la colonna di gipponi corazzati con i mitraglieri che spuntano dai tetti aperti definisce bene la pace irreale di questi giorni. Le «Linci» arrancano sul passaggio sconnesso di pietre e terriccio che aggira la piazza del mercato, raccogliendo barbe nere e sguardi duri attorno a sé, ma sempre, e questa è la cosa che colpisce di più, sempre il sorriso dei bambini e le loro mani levate in alto per salutare. Per questo, il sergente Federico Ghetti, col suo giubbotto antiproiettile e il mitra imbracciato, dice che la cosa che porterà via da questi giorni «sono quegli occhi, e sono tutti gli occhi dei bambini che mi hanno guardato, che mi hanno chiesto qualcosa, che mi hanno cercato e che mi hanno chiamato. Mi parlano anche quando non li vedo». Adesso ci sono, davanti a noi, creature scalze, maschi e femmine: le uniche femmine che si vedono in giro. Il fatto è che questa è solo una faccia della realtà. Spiega il tenente colonnello Roberto Trubiani che «la situazione al momento è calma, anche se la minaccia rimane piuttosto elevata ». I comandanti del contingente italiano hanno raggiunto un accordo con i talebani moderati, una sorta di compromesso, fragile ma che nutre una grande speranza. Perché questa è la vera guerra che facciamo, quella di dividere i talebani, di portare dalla nostra parte più afghani che possiamo. E la sappiamo anche fare questa battaglia. E’ che forse non basta. Poi meno male che c’era Angelo Serra, 25 anni da Lecce, «mitragliere di bordo fra i più bravi che ci sono» come dice il sergente Ghetti, meno male che c’era lui, in un’altra battaglia del 25 luglio a Marchaluk, tre ore di fuoco, a un chilometro da qui. Alla fine è con questo che dobbiamo fare i conti, prima o poi? E quest’altra guerra, di morti e feriti, di agguati e scontri, la realtà che ci aspetta? Quello che ci conforta, ha ragione Guido Crosetto, «è l’eccellenza del nostro esercito», cresciuto in questi anni forse più del Paese che rappresenta, nei suoi mezzi e negli uomini. Alla fine fà un certo effetto sentire il caporalmaggiore Salvatore Romeo, 32 anni, da Roma, sesta missione all’estero, dall’Iraq all’Afghanistan, che spiega con quale tristezza abbia visto costruire un pozzo 15 giorni fa dagli afghani, con macchine rudimentali e un piccolo trattore che andava avanti e indietro senza nemmeno una trivella. «Capisci di quanto aiuto abbiano bisogno», dice. Solo che forse non potranno mai darglielo. Il fatto è che il clima è cambiato tantissimo. «Prima quando passavi era un piacere, e ti saltavano addosso per prenderti l’acqua». Adesso anche questo è diventato pericoloso. Dei bambini puoi portar via solo il loro sguardo, come diceva Ghetti, e tenersi insieme la stessa dolorosa sconfitta.

Joanie De Rijke : " Lo aiuterò,ma Karzai non può più sbagliare "

 Abdul Rashid Dostum

Proprio alla vigilia delle elezioni Hamid Karzai ha richiamato il generale Abdul Rashid Dostum dal suo esilio in Turchia, per aiutarlo a vincere. Karzai sperava nei voti delle province del Nord dove Dostum, 55 anni, domina, soprattutto tra i suoi connazionali uzbeki. Durante la guerra contro l’Urss negli Anni 80 Dostum si batteva insieme ai russi contro i mujaheddin appoggiati dall’Occidente. Alla fine del 2001 si alleò con gli Usa contro i taleban. È ritenuto responsabile per la morte di migliaia di loro guerriglieri. Durante l’infame massacro di Sheberghan, nella settentrionale Jowzjan, vennero uccisi più di 2 mila talebani. Le truppe di Dostum hanno chiuso i guerriglieri che si erano arresi in container da trasporto, e lasciati senza aria, cibo e acqua. L’Onu ha scoperto fosse comuni con centinaia di corpi, ma non si fece mai un’inchiesta per non imbarazzare il governo afghano dell’epoca, del quale Dostum, per coincidenza, faceva parte. Dostum venne rimosso dalla sua carica di capo dello Stato maggiore dell’esercito ed esiliato in Turchia nel 2008, dopo aver rapito e abusato del suo rivale Akbar Bai. Ora è stato accolto da una folla di migliaia di sostenitori. Ma sta già per tornare in Turchia, non si sa per quanto. Dostum insiste di avere milioni di seguaci tra gli uzbeki, circa il 9% della popolazione afghana. Parte di questi seguaci si vedono intorno alla sua casa a Kabul, maestosa e blindata dalle guardie. I suoi detrattori dicono che lei non fosse in grado di garantire più di 50 mila voti. «La mia gente nel Nord voleva che tornassi per le elezioni, mi creda. Ricevevo telefonate tutto il giorno, mi dicevano che avrebbero votato solo se fossi tornato in Afghanistan. Sono stato accolto molto bene, dovunque, anche a Kabul, ho visto solo facce felici. Ho spiegato che avrei lavorato con Karzai e che il governo mi aveva garantito l’amnistia contro le indagini sui presunti miei crimini. Non ci sarà un’inchiesta e quindi posso tornare a partecipare al governo. Penso che Karzai vincerà e che ciò sarà possibile grazie ai 2-3 milioni di voti del Nord, degli uzbeki e dei turkmeni. L’Onu e la Nato mi dovrebbero ringraziare già solo per questo. Sto aiutando a incoraggiare il processo democratico». L’Onu la accusa di crimini di guerra. «Capisco che gli Usa sono contrari al mio ritorno. È dovuto alle relazioni negative del 2001, quando non solo venni accusato di crimini di guerra, ma ci fu un’attiva campagna di propaganda contro di me. Si disse che io volevo staccare il Nord dal resto del Paese, lanciare una guerra civile. Tutte bugie. Voglio lasciare il passato alle spalle, oggi dobbiamo pensare al futuro degli afghani. Che siano pashtun, hazara, uzbeki o tagiki, voglio lavorare per un Afghanistan unito». Come può la presenza sua e di altri signori della guerra come Marshal Fahim influenzare l’immagine dell’Afghanistan nel mondo? «Se ci sarà l’opportunità di contribuire a costruirne il futuro non vedo alcun problema. Se Karzai verrà rieletto resterò qui e spero in un buon posto nel governo. Non è un segreto che vorrei essere il ministro della Difesa». Ha detto che potrebbe sconfiggere i taleban e gli altri ribelli in cinque mesi. Come? «Ci vorrà tempo, probabilmente più di cinque mesi, ma posso battere i taleban, non ho nessun dubbio. Molti di loro hanno aderito al movimento per paura, perché non avevano altra scelta. Non sono guerrieri resi forti dalla convinzione, ma uomini insicuri e spaventati. Ho esperienza di 36 anni di guerra in questo Paese e sono certo che gli afghani che si sono schierati con i taleban presto passeranno a un’alleanza con il governo. Avevano smesso di credergli perché non vedevano cambiamenti. Ma stavolta Karzai dovrà essere all’altezza delle aspettative. Io sono per un negoziato con i taleban, ma con quelli che resisteranno ci vorrà un trattamento duro da parte dell’esercito afghano e, per un certo periodo, delle truppe straniere, fino a che non saremo abbastanza forti per fare da soli».

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