Tre ' esempi ' di narrativa palestinese 28/08/2009
Cari amici, non so se l'avate notato, ma fra le parole di moda nel gergo politico di quest'ultimo periodo oltre all'onnipotente to engage di Obama - che significa "impegnare in una trattativa" (ma anche "ingaggiare", "affittare" e perfino "fidanzarsi"), è venuta fuori un'altra parola magica. Si tratta di "narrative", in italiano la "narrativa", che non si riferisce a Biancaneve o a Madame Bovary, non in genere alle storie, ma alla Storia con la maiuscola, quella che conta. Ci sarebbe per esempio in Israele una "narrativa sionista" secondo cui nel 1948 fu finalmente fondato uno Stato degli ebrei su mandato dell'Onu, nonostante una guerra d'aggressione araba, e una "narrativa palestinese" che racconta come in quell'anno ci fu "la disgrazia" (Nabka) della cacciata degli arabi. Entrambe naturalmente sullo stesso piano, salvo il fatto che la narrativa degli sconfitti per l'ideologia corrente è sempre più interessante di quella dei vincitori. Ecco dunque tre esempi di "narrativa" palestinese o filo. La prima viene dal sito ufficiale "Paltoday", "a Palestinian local news network, based in Gaza city, Palestine. Goal: to introduce Palestine to Arab & Islamic nation and to the world and provide information, knowledge and focus on the Israeli terrorism against Palestinian people ", ["un network palestinese di notizie locali, con base a Gaza, Palestina, il cui scopo è presentare la Palestina alla nazione araba e islamica e al mondo, dando informazioni, conoscenza e attenzione al terrorismo israeliano contro ilo popolo palestinese"]
Bene, Paltoday riporta oggi che "the Palestinian Authority's chief Islamic judge, Sheikh Tayseer Rajab Tamimi, said on Wednesday that there was no evidence to back up claims that Jews had ever lived in Jerusalem or that the Temple ever existed. Tamimi said that Israeli archeologists had "admitted" that Jerusalem was never inhabited by Jews [and] failed to prove that Jews had a history or presence in Jerusalem or that their ostensible temple had ever existed.". [Il giudice islamico capo dell'autorità palestinese Sheikh Tayseer Rajab Tamimi ha affermato mercoledì che non vi è nessuna evidenza per sostenere la pretesa che gli ebrei abbiano mai vissuto a Gerusalemme o che il Tempio sia mai esistito. Tamimi ha detto che gli archeologi israeliani hanno "ammesso" che Gerusalemme non è mai stata abitata da ebrei e non sono riusciti a dimostrare che gli ebrei abbiano avuto una storia o una presenza a Gerusalemme o che il loro preteso tempio sia mai esistito.] Con tanti saluti a tutta la "narrativa" ebraica, ma anche a quella cristiana, romana e a un bel po' di pezzi di pietra e di metallo evidentemente insignificanti che gli archeologi hanno trovato da quelle parti. Ma una narrativa, per Diana, è una narrativa.
Secondo esempio. Se frequentate questo sito avete letto dello scandalo Aftenbladet. Non so se lo sapete, ma l'altro ieri sono emerse le prove che il "giornalista" svedese autore dello "scoop" sul furto di organi dell'esercito israeliano non aveva neppure intervistato i parenti della pretesa vittima, che sarebbero la sua fonte: "Famigliari e parenti di Bilal Ahmed Ghanem, il palestinese al centro dell’articolo del tabloid svedese Aftonbladet sull’immaginario furto di organi da parte delle Forze di Difesa israeliane, affermano di non sapere affatto se le accuse siano vere o false e smentiscono d’aver mai detto nulla del genere ai giornalisti svedesi. Lunedì scorso il fratello Jalal ha dichiarato di non poter confermare le accuse mosse dal giornale svedese secondo cui gli organi di Ghanem sarebbero stati rubati dagli israeliani. “Non so se sia vero – ha detto – Noi non abbiamo nessuna prova che lo dimostri”. Jalal dice che il corpo di suo fratello venne portato via da un elicottero israeliano e restituito alla famiglia alcuni giorni più tardi. La madre, Sadeeka, nega d’aver mai detto a un giornalista straniero che gli organi di suo figlio siano stati rubati, ma aggiunge di “non poter escludere” che gli israeliani trafugassero organi di palestinesi. Jalal e due cugini che affermano d’aver visto il corpo sostengono d’aver solo constatato che gli mancavano dei denti. Dicono anche d’aver visto suture lunghe dal torace fino al ventre. “Evidentemente praticarono sul corpo qualcosa come un’autopsia – dice il fratello – Quando l’esercito ci consegnò la salma, ci ordinarono di seppellirla in fretta e di notte”. All’epoca, i funerali dei morti durante l’intifada divenivano spesso occasione di manifestazioni e ulteriori scontri violenti. Jalal dice che lui e alcuni suoi compaesani ricordano d’aver visto nel villaggio, durante il funerale, un fotografo svedese che riuscì a scattare un certo numero di foto del corpo, prima della sepoltura. “Quella è stata l’unica volta che è visto quel fotografo”, aggiunge. (Da: Jerusalem Post, 26.08.09 - traduzione www.israele.net) Be' per Paltoday le cose sono diverse: Former Palestinian detainee, researcher Abdul-Nasser Farwana, stated that all facts on the ground, since decades, prove that the Israeli occupation executed Palestinian detainees after they surrendered and refused to hand their bodies to their families. Hundreds of bodies were transferred to the families days, months or even years after the fact, and when the bodies were sent back, they were missing vital internal organs. [L'ex prigioniero e ricercatore Abdul-Nasser Farwana ha affermato che tutti i fatti sul terreno da decenni provano che l'occupazione israeliana ha ucciso detenuti palestinesi che si erano arresi e ha rifiutato di di consegnare i corpi alle famiglie. Centinaia di corpi sono stati resi alle famiglie giorni, mesi e anche anni dopo, privi di vitali organi interni] Come titola Paltoday,"All facts on the ground prove Swedish report correct" "tutti i fatti sul terreno mostrano che il rapporto svedese è corretto." Be', anche questa, come quella dei parenti, è una narrativa. Così potente da aver trasformato un discutibile "articolo" in un ufficiale "rapporto".
La terza "narrativa" è ancora più interessante, perché riguarda Eurabia. A Utrecht in Olanda c'è un "Geldmuseum", museo della moneta, che ha in corso una mostra interessante in cui una cinquantina di sagome di cartone di diversa provenienza geografica, che raccontano com'è la loro moneta e cosa significa per loro. Be', fra i primi si trova "a kaffiyeh-wearing Sami Issa from Israel, or Palestine, standing near a mock Arabic shop [... who] describes old paper notes, which he calls "real Palestinian money," which "prove that Palestine existed." He then argues the money was replaced with notes with Hebrew text, constituting "the theft of Palestinian identity." (Haaretz) [un Sami Issa con la keffiah in testa, proveniente da Israele o dalla Palestina che descrive vecchie banconote che egli chiama "veri soldi palestinesi" i quali "provano che la Palestina è esistita" sennonché esse sono state sostituite con banconote scritte in ebraico, che costituiscono "il furto dell'identità palestinese"]. Voi credete di sapere che non c'è mai stato nessuno stato Palestinese, che il territorio fra il fiume e il mare è stato ebraico, persiano, babilonese, romano, appartenente all'impero arabo di Bagdad, mammelucco, turco, inglese, ma mai è stato un territorio autonomo e mai uno stato palestinese? Be', è questione di narrative, loro la vedono così, voi colà, una narrativa vale l'altra, anzi la loro è migliore perché voi siete occidentali ex colonialisti, amici del Grande Satana eccetera eccetera. Il Geldmuseum ha capito che doveva emendarsi da questa colpa e ha dato voce agli oppressi, com'è giusto e profondamente eurarabo. I dettagli non contano. Anche credere nell'esistenza della verità storica è infatti un'ideologia oppressiva, uno strumento della congiura sionistica internazionale. Svegliatevi, cari amici, diventati bravi eurarabi anche voi. Imparate che se per caso i palestinesi hanno torto, come diceva Sartre del partito comunista, "hanno ragione di aver torto". E se voi (o Israele, non ne parliamo) per caso avete ragione, "avete torto ad aver ragione".