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Libero Rassegna Stampa
28.08.2009 La visita di Berlusconi in Libia
Le opinioni di Carlo Panella, Iuri Maria Prado

Testata: Libero
Data: 28 agosto 2009
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella - Iuri Maria Prado
Titolo: «Sì, ci vada pure e di corsa - Niente pacche sulle spalle»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 28/08/2009, a pag. 1-10, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Sì, ci vada pure e di corsa " e quello di Iuri Maria Prado dal titolo " Niente pacche sulle spalle ". Ecco gli articoli:

Carlo Panella : " Sì, ci vada pure e di corsa "

 Carlo Panella

Silvio Berlusconi deve correre, volare a Tripoli, a dorso di cammello o di tappeto volante e portare con sé le Frecce Tricolori e fors’anche le nipotine delle donnine di Macario o delle bellezze dell’Ambra Jovinelli (in loro mancanza, andrebbe bene anche Luca Cordero di Montezemolo). Tanto più lo deve fare, quanto Sarkozy, Medvev e Brown non ci saranno: lo si noterà di più per due ragioni, una di stile, l’altra di merito politico. Lo stile innanzitutto: Gherddafi è un dittatore Pop, un grande del Pop e l’unico in grado di fargli fronte su questo terreno è proprio Berlusconi, che da sempre si fa le beffe dello stile da feluche ingessate della diplomazia “comme il faut”. Ma ben più forti sono le sodissime, ragioni di merito, incredibilmente sfuggite a tutti i critici di questa visita: Gheddafi è uno sconfitto, uno sconfitto totale. Punto. Da qui bisogna partire per valutare se e quali rapporti avere con lui. Gheddafi ha infatti perso tutte la partite che ha giocato sul piano internazionale. Ma, caso quasi unico, ha avuto la capacità - l’uomo ha del geniale- di prendere atto delle proprie sconfitte e di fare una svolta a 180°. Questa sconfitta delle trentennali strategie gheddafiane - in sintesi: seminare tensione e instabilità ovunque, in primis in Africa - ha una data e comprimari precisi ed è il giorno del 2004 in cui Mossad, Cia e Sismi individuarono la nave che trasportava la “pistola fumante”, la prova provata che Gheddafi possedeva un arsenale di armi di distruzione di massa. Con un’operazione da manuale, Usa e Italia, invece di sollevare lo scandalo pubblico, posero a Gheddafi l’aut-aut: o una svolta radicale o una fine alla Saddam. Aut aut tanto materialmente credibile e ravvicinato, che Gheddafi cedette. Dichiarò la chiusura degli arsenali proibiti e permise che Usa e Italia avessero prove provate della eliminazione delle armi micidiali. Un capolavoro, che illustra quanto flessibile e raffinata fosse, in realtà, la strategia di Bush. Se oggi esistesse un pensiero politico marxista, o liberale, o cristiano, se l’elaborazione dottrinaria non si fosse fermata a Karl Popper, si sarebbe compreso che tutto questo si inserisce in una dinamica duale che dal 1975 (morte di Franco) governa le crisi del pianeta: la flessibilità o rigidità delle dittature e dei sistemi totalitari. Flessibile per volontà del dittatore la successione di Franco, per capacità dei Capitani del 25 aprile, quella di Caetano; flessibile per merito di Gorbaciov quella di Mosca; misteriosa, nell’equilibrio tra flessibilità riformista e rigidità maoista quella cinese; rigida quella di Saddam Hussein, quella di Milosevic, di Hafez al Assad, di Kim il Sung e tanti altri dittatori. Gheddafi si iscrive, per ora, nella lista dei dittatori che tentano di riformarsi, e - elemento che sfugge ai critici di questa visita - è stato premiato in questa sua svolta da tutti i paesi africani che l’hanno eletto loro presidente. Questo è il corso riformatore - sempre un po’ Pop - che l’Italia deve sorreggere in Libia, ben sapendo che le sbavature (inclusi i trionfi all’attentatore di Lockerbie), fanno parte di quella zona grigia tra passato e futuro che rende affascinanti i grandi passaggi della storia.

Iuri Maria Prado : " Niente pacche sulle spalle "

È possibile che Silvio Berlusconi non avverta appieno l’inopportunità di certi suoi rapporti con i rappresentanti di alcuni ordinamenti impresentabili per una ragione di tipo puramente caratteriale. Una ragione magari non priva di calcolo, ma assai poco politica, almeno secondo ciò per criterio comune si ritiene appartenere alle cose della politica. Lui probabilmente crede che il miglior modo per ottenere risultati dalle persone sia di essere simpatici e con loro di instaurare rapporti di simpatia. E questa medesima impostazione dei rapporti lui la conserva, e anzi la celebra al culmine dell’impegno, con i plenipotenziari e capi degli Stati esteri. Essere personale amico di “George”, di “Vladimir”, di “Tony”, costituisce per Berlusconi non solo un’ingenua mostrina da gradasso, a mo’ di quello che al bar racconta delle sue amicizie importanti: rappresenta anche quello che lui crede sia lo strumento più adatto nel disbrigo altrimenti un po’ noioso dei suoi affari istituzionali. È per questo motivo, cioè per il fatto che lui non vuole diventare amico personale dei suoi colleghi capi di governo e di Stato per simpatia politica, cioè a causa di comuni convinzioni e prospettive politiche, ma perché prima di tutto è bene darsi del tu e pacche sulle spalle, è per questo motivo che non si affatica a distinguere tra l’uno e l’altro: perché in questo quadro, letteralmente, l’uno vale l’altro. Cioè non importa poi troppo che questo sia stato eletto democraticamente e guidi un paese secondo le regole accettate nel mondo civile e quello, invece, sia un mezzo dittatore. È forse in questo tratto personale di Berlusconi che risiede la spiegazione più appagante di certe sue scelte sbagliate. E la spiegazione è buona anche per comprendere come non avvertisse la stonatura che avrebbe comportato la sua decisione di farsi fotografare durante le celebrazioni dei 40 anni di potere del dittatore libico Muammar Gheddafi. Ieri si curava di far sapere che in Libia Berlusconi ci andrà, ma un paio di giorni prima, dunque non per i festeggiamenti bensì per onorare l’anniversario di un trattato italo-libico. Ma, fosse stato per lui, non sarebbe mancato.Tutto questo, vale a dire la considerazione che certe leggerezze berlusconiane hanno origine in quella sua propensione all’intimità extra-politica, e dunque non alla spregiudicatezza dell’affarismo gaglioffo che in tanti gli attribuiscono, tutto questo non toglie che con certuni “non si tratta” in questo modo. Puoi (devi) discuterci di soldi, banche e petrolio, ma gli fai sapere con i tuoi comportamenti, con la limitazione della gentilezza all’indispensabilità, che un amico così tu non lo vuoi. Chi guida un paese democratico dovrebbe fare anche più che non sbaciucchiarsi con i tiranni: dovrebbe avere come programma intimo, personale, di non concedere ai tiranni ciò che dopotutto essi desiderano massimamente, cioè l’ammirazione personale. Nulla di Gheddafi è ammirevole, e il governante di un paese democratico ha l’obbligo di farglielo sapere. È già qualcosa se non vedremo Berlusconi accanto al “colonnello”, durante la festa di regime. Ma non basta.

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