Prima di partire per Londra e Berlino, Bibi Netanyahu aveva detto chiaramente che Gerusalemme era la capitale indivisibile dello Stato d’Israele, per cui non avrebbe mai accettato di discutere qualsivoglia congelamento che la riguardasse. Era invece disponibile a discutere con l’inviato di Obama, George Mitchell, sul periodo nel quale far durare i congelamenti nei settlements, pur garantendo le esigenze dovute alla normale crescita delle popolazioni. Di fatto un alt a qualunque condizionamento su Gerusalemme, e una posizione di compromesso per favorire la ripresa dei negoziati con Abu Mazen, che fino ad oggi si è rifiutato di incontrare Netanyahu a meno che Israele non congelasse tutti gli insediamenti, Gerusalemme est compresa. La posizione del Premier israeliano, priva di ambiguità, ha ottenuto il risultato che si proponeva. Mitchell, pur dichiarando che gli Usa non appoggiano nuove costruzioni a Gerusalemme est, ha detto che l’amministrazione americana non si pronuncerà pubblicamente, come dire fate pure, a noi sta bene, ma non lo diciamo. Malgrado si sia convenuto il congelamento nei settlements per nove mesi, Netanyahu ha dichiarato che continueranno le costruzioni di edifici pubblici, in particolare scuole e asili nido. Dal canto suo, Abu Mazen ha fatto sapere che è disponibile ad incontrare Netanyahu alla prossima sessione Onu in settembre, modificando quindi in modo sostanziale il rifiuto precedente. Bibi ha accolto la sua disponibilità come un buon segnale per la ripresa dei negoziati. In più, i colloqui continueranno a Washington la prossima settimana, tra Mitchell e alcuni inviati dal governo israeliano. A conlusione, Bibi ha aggiunto, anche qui fuori da ogni politichese, che la pace si farà solo quando ci sarà il riconoscimento palestinese di Israele quale Stato ebraico, mentre finora le questioni aperte per arrivarci erano Gerusalemme, gli insediamenti ed il ritorno dei rifugiati. Il conflitto si chiuderà solo con quel riconoscimento, sul quale, prima o poi, i palestinesi si dovranno pronunciare. A livello internazionale, sia a Londra che a Berlino, Israele ha rilanciato il pericolo rappresentato dall’Iran, chiedendo esplicitamente quali passi si intendono fare, una domanda che Bibi rivolgerà oggi ad Angela Merkel a Berlino. Qualcuno si chiederà come è stato possibile arrivare a un risultato che, se non proprio entusiasmante, ha però riaperto la strada per arrivare ad una ripresa degli incontri, creando un discreto movimento tra i personaggi sulla scena. Mitchell, che era dipinto come come l’uomo di Obama, arrivato per mettere in riga Bibi, alla fine si allinea in gran parte cone le posizioni del discolo che era andato per sgridare. Abu Mazen, dopo aver vinto i risultati di quel niente che è stato il congresso di Betlemme, aveva ricominciato a far la voce grossa, ebbene, lui pure è venuto a più miti consigli, anche se la posizione israeliana è più o meno quella di prima. Ed è pronto ad incontrare Bibi, anzi, sembra l’abbia persino sollecitato. Ebbene, lo avevamo previsto nell’articolo di ieri, Israele comincia ad essere più attenta alla realtà che la circonda, capisce meglio quali sono gli strumenti da usare e le parole da dire. Mette sul tavolo della discussione il suo diritto ad esigere ciò che le spetta, e, dicendolo senza sotterfugi, riesce a farsi capire dalle altre diplomazie. Qualcosa sta cambiando al Ministero degli Esteri, che questo qualcosa sia positivo, lo dimostrano i commenti di stamane sulla maggior parte dei quotidiani, non solo israeliani.
Angelo Pezzana |