Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/08/2009, a pag. 5, gli articoli di Fabio Cavalera e Paolo Valentino titolati " L’Fbi ai britannici: «Complici dei terroristi» " e " La relazione speciale e i dubbi di Obama ". Ecco gli articoli:
Fabio Cavalera : " L’Fbi ai britannici: «Complici dei terroristi» "

LONDRA — Il rilascio dell’attentatore di Lockerbie rischia di trasformarsi in uno scandalo imbarazzante per il governo britannico. Tutti i tentativi di allontanare i sospetti che la scarcerazione del cinquantasettenne al-Megrahi non sia stata ordinata dalla Scozia per ragioni di carattere umanitario s'infrangono contro la strategia libica di mettere Londra con le spalle al muro.
La tesi di Tripoli è che l'ex ufficiale dei servizi segreti è uscito dalla prigione grazie a un baratto: petrolio e gas in cambio del rilascio di al-Megrahi, condannato all'ergastolo per la bomba sul volo Pan-Am che provocò 270 morti. A spalancargli la porta della prigione sarebbe stata la «diplomazia segreta dell'oro nero». Affermazioni che, ovviamente, provocano smentite sempre più risentite da Downing Street e dal Foreign Office. Che, parallelamente, devono anche fare i conti anche con l'amministrazione americana.
La Casa Bianca aveva già pubblicamente manifestato il suo disappunto giovedì. Ieri il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, ha reso noto di avere inviato il 21 agosto una lettera al ministro scozzese Kenny MacAskill, colui che formalmente si è assunto la responsabilità di rispedire in patria al-Megrahi. «La vostra azione è tanto inspiegabile quanto dannosa alla causa della giustizia. Davvero è una presa in giro... è di conforto ai terroristi in tutto il mondo».
Indirettamente il capo dell’Fbi, con un messaggio durissimo, ha messo sul chi va là Londra. Che, pur continuando a sostenere di non avere avuto parte nella decisione di restituire al-Megrahi a Tripoli, si trova ora in una posizione delicata, fra due fuochi.
Se giovedì Gordon Brown aveva scritto al colonnello Gheddafi invitandolo ad «agire con sensibilità» e dunque a non dare una lettura politica alla improvvisa liberazione di un «uomo malato di tumore alla prostata», nelle ultime quarantotto ore gli eventi sembrano essere andati in direzione opposta, con una escalation preoccupante per la diplomazia britannica. L'attentatore è stato ricevuto con tutti gli onori riservati a un eroe: prima la folla ad aspettarlo all’aeroporto, ieri l'incontro in diretta televisiva con il colonnello Gheddafi. Nel mezzo un editoriale dell'agenzia ufficiale che lo definiva un «ostaggio politico» nelle prigioni del Regno Unito. Come se non bastasse questa propagandistica reazione, a dare una ulteriore coloritura beffarda alla vicenda sono intervenute le parole pronunciate sia da Gheddafi sia da suo figlio, Saif.
Il numero uno del regime libico ha aperto una breccia con una stoccata apparentemente provocatoria: un graz ie «all'amico Gordon Brown», alla regina Elisabetta e al principe Andrea che hanno tutti contribuito alla scarcerazione di al-Megrahi «appoggiando » il governo scozzese. Saif Gheddafi, anche lui in televisione, ha invece ribadito che il caso dell'ex agente dei servizi segreti di Tripoli è «sempre stato sul tavolo delle trattative riguardanti accordi commerciali». Affermazioni offensive, gli ha risposto Lord Mandelson, il vice di Gordon Brown.
Paolo Valentino : " La relazione speciale e i dubbi di Obama "
Robert Mueller, capo dell’Fbi
WASHINGTON — Bisognerebbe andare a ricercare quando sia stata l'ultima volta che un alto funzionario del governo americano abbia avuto parole così dure verso gli alleati britannici. Saremo imprecisi, ma erano anni che gli americani non si arrabbiavano così: forse non succedeva dalla Guerra delle Falkland, nel 1982, quando l'allora segretario di Stato, Alexander Haig, stanco delle mezze verità degli inglesi che avevano solo voglia di riprendersi le isole sbarcandovi in forze, definì un «duplicitous bastard », un bastardo doppiogiochista il suo collega londinese, l'etereo Lord Carrington.
Certo, la lettera infuocata del capo dell’Fbi, Robert Mueller, è indirizzata al governo della Scozia. L'accusa del primo poliziotto d'America di «prendere in giro la legge» e l'aggettivo «oltraggioso» con cui bolla il rilascio di Abdel Basset Ali al-Megrahi sono mirati con attenzione sulle autorità regionali scozzesi. Ma la «devolution» in questo caso non può nascondere il fatto che al fondo l'indignazione e la delusione americana guardino a Londra, all'alleato di sempre, dal quale su un tema sensibile e politicamente radioattivo, Washington si sente un po' tradita. Anche perché, come rivelava il Times sul sito ieri sera, sembra proprio che la sollecitazione sia venuta da un uomo del governo centrale, il sottosegretario agli Esteri, Ivan Lewis, responsabile della Libia.
«Obiettabile», ha detto quasi in un sussurro il presidente Obama venerdì a proposito del rilascio. «Disgustoso», ha aggiunto il suo portavoce, Robert Gibbs, commentando l'accoglienza da stadio ricevuta dall'ex agente segreto libico al suo arrivo a Tripoli.
Non è che sia in discussione la «special relationship», il legame simbiotico che ha sempre legato gli Stati Uniti al Regno Unito. Ma il messaggio negativo dagli Usa è così chiaro, che ieri il governo di Sua Maestà, dal premier Brown al segretario al Foreign Office Miliband, ha fatto a gara nel prendere le distanze dai dirigenti scozzesi e nell'esternare raccapriccio per quanto si era visto nella capitale libica. Anche se poi ovviamente hanno cercato di costituirsi qualche vantaggio dialettico, fingendosi indignati dal sospetto che il rilascio abbia a che vedere con una sorta di strategia dell'attenzione verso Tripoli, in nome dei futuri contratti petroliferi.
Di più, a mettere in cattiva luce Brown, i suoi ministri e perfino la regina Elisabetta e la famiglia reale, è stato il solito colonnello Gheddafi, largo di elogi e di ringraziamenti per il ruolo che questi avrebbero avuto nella liberazione di Megrahi.
E’ come se i dirigenti inglesi, così prossimi e affini alla sensibilità americana, loro che portano le ferite della Storia incastonate nel Dna, abbiano trascurato l'impatto emotivo prima ancora che politico di una simile decisione, mandando avanti un governo regionale, fosse pure uno così geloso e autonomo come quello scozzese, su un tema così delicato e strategico. «Un pessimo esito a un pessimo caso, giustizia non è stata fatta», chiosa il Guardian.
Il rischio ora è che l'episodio faccia riemergere tutte le riserve e i dubbi che Barack Obama ha nutrito sin dall'inizio verso Gordon Brown, col quale il ghiaccio non è mai stato veramente rotto, nonostante tutti i goffi tentativi del leader britannico di ingraziarselo.
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