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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.08.2009 Il terrorista di Lockerbie libero per trattative riguardanti accordi commerciali
La scarcerazione non ha niente a che vedere con il cancro

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 agosto 2009
Pagina: 5
Autore: Fabio Cavalera - Paolo Valentino
Titolo: «L’Fbi ai britannici: 'Complici dei terroristi' - La relazione speciale e i dubbi di Obama»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/08/2009, a pag. 5, gli articoli di Fabio Cavalera e Paolo Valentino titolati " L’Fbi ai britannici: «Complici dei terroristi» " e " La relazione speciale e i dubbi di Obama ". Ecco gli articoli:

Fabio Cavalera : " L’Fbi ai britannici: «Complici dei terroristi» "

LONDRA — Il rilascio del­l’attentatore di Lockerbie ri­schia di trasformarsi in uno scandalo imbarazzante per il governo britannico. Tutti i tentativi di allontanare i so­spetti che la scarcerazione del cinquantasettenne al-Me­grahi non sia stata ordinata dalla Scozia per ragioni di ca­rattere umanitario s'infrango­no contro la strategia libica di mettere Londra con le spalle al muro.
La tesi di Tripoli è che l'ex ufficiale dei servizi segreti è uscito dalla prigione grazie a un baratto: petrolio e gas in cambio del rilascio di al-Me­grahi, condannato all'ergasto­lo per la bomba sul volo Pan-Am che provocò 270 morti. A spalancargli la porta della prigione sarebbe stata la «diplomazia segreta dell'oro nero». Affermazioni che, ov­viamente, provocano smenti­te sempre più risentite da Downing Street e dal Foreign Office. Che, parallelamente, devono anche fare i conti an­che con l'amministrazione americana.
La Casa Bianca aveva già pubblicamente manifestato il suo disappunto giovedì. Ieri il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, ha reso noto di avere inviato il 21 agosto una lette­ra al ministro scozzese Kenny MacAskill, colui che formal­mente si è assunto la respon­sabilità di rispedire in patria al-Megrahi. «La vostra azione è tanto inspiegabile quanto dannosa alla causa della giu­stizia. Davvero è una presa in giro... è di conforto ai terrori­sti in tutto il mondo».
Indirettamente il capo del­­l’Fbi, con un messaggio duris­simo, ha messo sul chi va là Londra. Che, pur continuan­do a sostenere di non avere
avuto parte nella decisione di restituire al-Megrahi a Tripo­li, si trova ora in una posizio­ne delicata, fra due fuochi.
Se giovedì Gordon Brown aveva scritto al colonnello Gheddafi invitandolo ad «agi­re con sensibilità» e dunque a non dare una lettura politica alla improvvisa liberazione di un «uomo malato di tumore alla prostata», nelle ultime quarantotto ore gli eventi sembrano essere andati in di­rezione
opposta, con una esca­lation preoccupante per la di­plomazia britannica. L'attenta­tore è stato ricevuto con tutti gli onori riservati a un eroe: prima la folla ad aspettarlo al­l’aeroporto, ieri l'incontro in diretta televisiva con il colon­nello Gheddafi. Nel mezzo un editoriale dell'agenzia ufficia­le che lo definiva un «ostag­gio politico» nelle prigioni del Regno Unito. Come se non bastasse questa propa­gandistica reazione, a dare una ulteriore coloritura beffar­da alla vicenda sono interve­nute le parole pronunciate sia da Gheddafi sia da suo figlio, Saif.
Il numero uno del regime li­bico ha aperto una breccia con una stoccata apparente­mente provocatoria: un gra­z ie «all'amico Gordon Brown», alla regina Elisabetta e al principe Andrea che han­no tutti contribuito alla scar­cerazione di al-Megrahi «ap­poggiando » il governo scozze­se. Saif Gheddafi, anche lui in televisione, ha invece ribadi­to che il caso dell'ex agente dei servizi segreti di Tripoli è «sempre stato sul tavolo delle trattative riguardanti accordi commerciali». Affermazioni offensive, gli ha risposto Lord Mandelson, il vice di Gordon
Brown.

Paolo Valentino : " La relazione speciale e i dubbi di Obama "

 Robert Mueller, ca­po dell’Fbi

WASHINGTON — Bisognerebbe andare a ricercare quando sia stata l'ultima volta che un alto funziona­rio del governo americano abbia avuto parole così dure verso gli al­leati britannici. Saremo imprecisi, ma erano anni che gli americani non si arrabbiavano così: forse non succedeva dalla Guerra delle Falkland, nel 1982, quando l'allora segretario di Stato, Alexander Haig, stanco delle mezze verità de­gli inglesi che avevano solo voglia di riprendersi le isole sbarcandovi in forze, definì un «duplicitous ba­stard », un bastardo doppiogiochi­sta il suo collega londinese, l'ete­reo Lord Carrington.
Certo, la lettera infuocata del ca­po dell’Fbi, Robert Mueller, è indi­rizzata al governo della Scozia. L'ac­cusa del primo poliziotto d'Ameri­ca di «prendere in giro la legge» e l'aggettivo «oltraggioso» con cui bolla il rilascio di Abdel Basset Ali al-Megrahi sono mirati con atten­zione sulle autorità regionali scoz­zesi. Ma la «devolution» in questo caso non può nascondere il fatto che al fondo l'indignazione e la de­lusione americana guardino a Lon­dra, all'alleato di sempre, dal quale su un tema sensibile e politicamen­te radioattivo, Washington si sente un po' tradita. Anche perché, come rivelava il Times sul sito ieri sera, sembra proprio che la sollecitazio­ne sia venuta da un uomo del go­verno centrale, il sottosegretario agli Esteri, Ivan Lewis, responsabi­le della Libia.
«Obiettabile», ha detto quasi in un sussurro il presidente Obama venerdì a proposito del rilascio. «Disgustoso», ha aggiunto il suo portavoce, Robert Gibbs, commen­tando l'accoglienza da stadio rice­vuta dall'ex agente segreto libico al suo arrivo a Tripoli.
Non è che sia in discussione la «special relationship», il legame simbiotico che ha sempre legato gli Stati Uniti al Regno Unito. Ma il messaggio negativo dagli Usa è co­sì chiaro, che ieri il governo di Sua Maestà, dal premier Brown al se­gretario al Foreign Office Mili­band, ha fatto a gara nel prendere le distanze dai dirigenti scozzesi e nell'esternare raccapriccio per quanto si era visto nella capitale li­bica. Anche se poi ovviamente han­no cercato di costituirsi qualche vantaggio dialettico, fingendosi in­dignati dal sospetto che il rilascio abbia a che vedere con una sorta di strategia dell'attenzione verso Tri­poli, in nome dei futuri contratti petroliferi.
Di più, a mettere in cattiva luce Brown, i suoi ministri e perfino la regina Elisabetta e la famiglia rea­le, è stato il solito colonnello Ghed­dafi, largo di elogi e di ringrazia­menti per il ruolo che questi avreb­bero avuto nella liberazione di Me­grahi.
E’ come se i dirigenti inglesi, co­sì prossimi e affini alla sensibilità americana, loro che portano le feri­te della Storia incastonate nel Dna, abbiano trascurato l'impatto emoti­vo prima ancora che politico di una simile decisione, mandando avanti un governo regionale, fosse pure uno così geloso e autonomo come quello scozzese, su un tema così delicato e strategico. «Un pes­simo esito a un pessimo caso, giu­stizia non è stata fatta», chiosa il
Guardian.
Il rischio ora è che l'episodio fac­cia riemergere tutte le riserve e i dubbi che Barack Obama ha nutri­to sin dall'inizio verso Gordon Brown, col quale il ghiaccio non è mai stato veramente rotto, nono­stante tutti i goffi tentativi del lea­der britannico di ingraziarselo.

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