Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/08/2009, l'editoriale in prima pagina di Pierluigi Battista dal titolo " Tutti i giochi di Gheddafi ", a pag. 11, gli articoli di Antonio Ferrari e Fabio Cavalera titolati " Lo 007 scaricato e poi «ricomprato»" e " Il terrorista in trionfo. Disgusto di Londra e Usa ". Ecco gli articoli:
Pierluigi Battista : " Tutti i giochi di Gheddafi "
Gheddafi
Abdel Basset al-Megrahi non è un «ostaggio politico», come sostiene il presidente Gheddafi. È un terrorista che ha ucciso 270 passeggeri esplosi in volo su un Boeing 747 della Pan Am, sui cieli di Lockerbie. Le autorità scozzesi lo hanno liberato per ragioni umanitarie. Lui tuttavia non ebbe nessun senso dell’umanità quando decise di compiere una strage. E anche i libici che lo festeggiano senza pudore per il suo ritorno in patria non stanno dimostrando nessuna sensibilità umanitaria nei confronti delle vittime e di chi ancora oggi ne piange l’assurda scomparsa. La storia non si cancella con un provvedimento di clemenza.
C’è qualcosa di offensivo nelle celebrazioni di Tripoli. Un sovrappiù simbolico che infligge un colpo umiliante a un elementare senso di giustizia. È la «triplice beffa» di cui ha giustamente scritto Antonio Ferrari sul Corriere di ieri a rispecchiarsi nell’accoglienza solenne che la famiglia Gheddafi sta tributando a un assassino, nelle bandiere che sventolano trionfali, nelle fanfare, nelle urla di giubilo della folla che saluta il corresponsabile di uno dei massacri meglio riusciti nella storia del terrorismo internazionale. E anche un senso di impunità maturato sulla necessità economica e geo-politica di un buon rapporto che l’Occidente deve intrattenere con il regime libico. La percezione, che galvanizza la Jamahiriya, di avere il mondo in pugno, di poter giocare con disinvoltura spettacolare la carta della resa dei conti, conoscendo in anticipo l’identità di chi dovrà inchinarsi (le democrazie occidentali) e di chi riceverà omaggi, aperture diplomatiche, clamorosi gesti di riconciliazione (la Libia del colonnello Gheddafi). Dal terreno più tradizionale del realismo politico, strada obbligata per l’Occidente, la Libia esige il passaggio nei territori più ambigui ed evanescenti, ma non per questo meno decisivi, della resa simbolica. Per questo il terrorista appena liberato diventa un così potente simbolo di identificazione: è il prezzo che bisogna pagare, il biglietto d’ingresso per poter avere con la Libia un rapporto non conflittuale.
Con la Libia di Gheddafi il realismo politico deve diventare rappresentazione, cerimonia. È questa la sfida imprevista che le democrazie devono affrontare come un unicum nell’attuale geometria dei rapporti internazionali. Se la Cina chiede silenzio sui diritti umani in cambio della collaborazione economica, se Teheran chiede la non interferenza internazionale sul suo armamento nucleare come contropartita per gli interessi economici da intrecciare con l’Iran, la Libia chiede qualcosa in più: la riscrittura della storia e un risarcimento simbolico sul passato. È questa la porta stretta che l’America di Obama e l’Europa dovranno attraversare nel prossimo futuro. Sinora l’atteggiamento prevalente, come si è plasticamente visto nella visita romana di Gheddafi, ha coinciso con la benevola accondiscendenza nei confronti dei libici. Le feste di Tripoli per la liberazione del terrorista della strage di Lockerbie dicono però che il prezzo potrebbe essere sempre più elevato e che la sopportazione occidentale sarà messa a dura prova. Lo scenario peggiore prevede che ciascuno, come spesso accade, vada per conto suo: i veri ostaggi politici (ed economici) decisamente non stanno a Tripoli.
Antonio Ferrari : " Lo 007 scaricato e poi «ricomprato» "
Abdel Basset al-Megrahi
Ma chi è in realtà Abdel Basset al-Megrahi, il libico condannato all’ergastolo per la strage di Lockerbie, scarcerato giovedì in Scozia «per ragioni umanitarie», e accolto a Tripoli come un eroe? Questo cinquantasettenne non ha certo l’aria di una sofisticata mente terroristica, ma si sa che le apparenze possono ingannare. O è forse un Carneade, capitato in una storia più grande di lui: comprato, venduto, ricomprato, scaricato, e ora ricompensato dal colonnello Gheddafi con una spettacolare e sospetta riabilitazione nazionale, al rientro in patria.
Storia misteriosa e ambigua quella di al-Megrahi, direttore dell’ufficio della Libian Airlines presso l’aeroporto di La Valletta, nell’isola di Malta. Crocevia importante per i commerci di Tripoli, ma non certo un luogo dove collocare un agente segreto operativo di altissimo rango. E non era di sicuro più importante di lui il suo principale collaboratore al-Amih Khalifa Fahima, che invece fu assolto dalla stessa imputazione, dopo aver partecipato a tutte le fasi (vere o presunte) dell’organizzazione dell’attentato. Che avvenne il 21 dicembre 1988, in uno dei momenti più delicati della storia del Medio Oriente.
Attentato quasi prevedibile e sicuramente temuto, soprattutto dai palestinesi moderati, dopo quanto era accaduto una settimana prima a Ginevra. Nel palazzo dell’Onu, infatti, era stata convocata un’assemblea generale per ascoltare quanto aveva da dire l’ospite più atteso, il leader dell’Olp Yasser Arafat, che non aveva ottenuto il visto per andare a New York.
Un appello solenne al nemico Israele: «Venite, diamoci la mano, facciamo la pace», quindi un esplicito riconoscimento. E un annuncio al mondo, soprattutto agli americani: «Condanno il terrorismo, in tutte le sue forme». Annuncio che, reiterato in una conferenza- stampa notturna, convinse gli Usa ad avviare «colloqui sostanziali» con l’Olp a Tunisi.
L’entusiasmo dei palestinesi moderati si scontrava con la rabbia degli estremisti, che parlavano apertamente di «tradimento». Mentre Arafat partiva per la Germania est per incontrare il presidente Honecker, nei corridoi di Ginevra si ascoltavano frasi allarmate. Come se qualcuno sentisse che la risposta alle aperture del leader dell’Olp sarebbe stata tempestiva e sanguinosa.
La notizia della strage di Lockerbie fu accolta quindi come una tragedia annunciata. Il discorso di Arafat aveva fatto infuriare gli ayatollah di Teheran, che volevano vendicare le vittime di un loro aereo civile colpito per errore, nell’estate precedente, da un missile della nave da guerra americana «Vincennes », nel golfo. E, via Siria, pare avessero preso contatti con i capi di due gruppi palestinesi, nemici giurati di Arafat: in particolare con Ahmed Jibril, ostile a qualsiasi apertura con Israele. Sarebbe stato proprio un terrorista palestinese, arrestato in Svezia, a venir riconosciuto come l’uomo che comprò, in una valigeria di La Valletta, la borsa che, poco dopo, riempita di esplosivo Semtex, sarebbe stata imbarcata, con tanto di targhetta rubata, sul volo per Francoforte; e poi, giunta a Londra, trasferita sul Pan Am 103 per New York. Con tanto di collegamento a un timer nascosto tra i circuiti stampati di una radiolina. Eppure la pista degli investigatori seguì presto altre strade, che si concentrarono su al-Megrahi e su al-Amin Khalifa. Sarebbero stati loro, o forse dovevano essere loro gli organizzatori ed esecutori della strage.
I sospetti di allora, cresciuti durante il processo a Camp Zeist, in Olanda, celebrato da giudici scozzesi, furono alimentati dalla vaghezza delle prove, dai dubbi degli stessi familiari delle vittime, e dalla sorprendente sentenza che separava il destino dei due libici: uno colpevole, l’altro assolto. Si disse che accusare l’Iran o la Siria avrebbe potuto indebolire la coalizione internazionale che fu formata nel ’90 contro il dittatore iracheno Saddam Hussein, che aveva aggredito e invaso il Kuwait. In fondo, era più facile concentrare i sospetti su Gheddafi, allora ritenuto un paria, e riabilitato quando accettò di risarcire le vittime di Lockerbie. L’accoglienza in Libia ad al-Megrahi potrebbe essere il prezzo che anche Gheddafi paga per seppellire altri imbarazzanti segreti
Fabio Cavalera : " Il terrorista in trionfo. Disgusto di Londra e Usa "

LONDRA — Poche ore prima che l’attentatore di Lockerbie, ammalato di tumore alla prostata, venisse liberato dal governo scozzese e imbarcato su un volo per Tripoli, il premier Gordon Brown aveva scritto una lettera al colonnello Gheddafi.
Consapevole che l’atto umanitario avrebbe scatenato vivaci reazioni nell’opinione pubblica e allertato della dura presa di posizione che la Casa Bianca avrebbe assunto, il numero uno del governo britannico si era raccomandato alla «sensibilità» della Libia affinché all’ex ufficiale dei servizi segreti condannato all’ergastolo da un tribunale di Edimburgo non fosse riservata un’accoglienza da eroe. Un appello che si è rivelato inutile, poco più che carta straccia. Il cinquantasettenne al-Megrahi, che al momento di lasciare Glasgow era apparso sofferente, una volta rientrato in patria è disceso dalle scalette dell’Airbus rasato, sorridente, in giacca e cravatta, sorretto da un paio di persone ma raggiante. Davanti a lui una folla entusiasta lo ha acclamato e osannato.
Le immagini di questa festa popolare hanno raggelato Londra determinando una seria crisi diplomatica e la prospettiva che il programmato viaggio del principe Andrea a Tripoli possa essere cancellato in segno di protesta. Se, infatti, Downing Street e il Foreign Office erano stati bene attenti a non trasformare in un caso politico la scarcerazione dell’uomo che nel 1988 aveva contribuito a confezionare la bomba e a nasconderla nella stiva del volo Pan-Am decollato da Heathrow (270 morti), Tripoli ha risposto caricando l’evento di tutt’altro significato. Lo si è capito non soltanto dagli onori riservati ad al-Megrahi ma anche da un editoriale dell’agenzia ufficiale di stampa che ha definito l’ex ufficiale dei servizi segreti un «ostaggio politico». Parole che hanno irritato ancora di più il governo britannico.
A decidere la liberazione è stata formalmente la Scozia con il suo ministro della giustizia che ha addotto ragioni di natura umanitaria: ad al-Megrahi resterebbero tre mesi di vita. Londra aveva taciuto sin dalle prime indiscrezioni dei giorni scorsi sulla possibile scarcerazione, optando per una posizione distaccata nella speranza che ciò contribuisse a tenerla lontana da una pesante ricaduta polemica a livello internazionale. La lettera di Gordon Brown al colonnello Gheddafi e ancora di più gli eventi successivi hanno modificato il quadro.
Il ministro degli esteri, David Miliband, ieri si è visto costretto a giudicare «profondamente penose» le «celebrazioni » di Tripoli. E lo stesso Foreign Office, quasi a calcare la mano, ha definito «improbabile » la visita del Duca di York, il principe Andrea, che ha in agenda un viaggio di promozione commerciale proprio in Libia. David Miliband ha respinto i sospetti secondo cui l’esecutivo avrebbe segretamente appoggiato, per razionale calcolo economico, «l’atto umanitario» e ha bollato simili congetture come «un insulto a me e all’intero governo». Ma ha dovuto chiarire che dal modo in cui Tripoli si comporterà nelle prossime ore dipenderà una «significativa valutazione » sul ritorno di Tripoli nella «comunità delle nazioni civilizzate ». Poi è stata la volta del presidente americano Obama, che ha definito l’accoglienza ad al-Megrahi «altamente contestabile». Prima il suo portavoce Gibbs aveva parlato di accoglienza «scandalosa e disgustosa».
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