Alla testa di Human Rights Watch vi è un gruppo di militanti anti israeliani 17/08/2009
Sarah Leah Whitson, John Stork
Cari amici, i soldi non sono tutto nella vita, lo so anch'io. Ci sono anche le persone, le loro passioni, la loro storia. Questo vale anche per il Medio Oriente, e in particolare per le organizzazioni non governative che coi loro giudizi sono all'origine di molte campagne di stampa. Prendete per esempio Human Rights Watch (HRW), la Ong americana che un giorno sì e l'altro no se ne esce con rapporti e accuse sulle "atrocità" dell'esercito israeliano a Gaza, che finiscono poi regolarmente non solo sulle pagine del "Manifesto" e di "Repubblica", ma anche sul "Corriere" e sugli altri giornali di informazione. Ha un nome così accattivante e così eticamente neutrale rispetto al conflitto politico: custodisce i diritti umani della gente, e vi pare poco... Be', dei soldi che la fanno funzionare vi ho già parlato, dato che evidentemente quelli dell'Unione Europea e dei vari governi di Eurabia non bastavano più e che la raccolta anche nell'America di Obama era in ribasso, HRW è andata il mese scorso a farsi un giretto di finaziamento in quel paese liberissimo e neutrale che si chiama Arabia Saudita, così, come si vendono detersivi o multiproprietà nei luoghi turistici. Inutile dire che fra le motivazioni all'acquisto per i benefattori sauditi il giudizio su Israele aveva un peso cospicuo... Veniamo alle persone. Ho ricevuto delle segnalazioni e ho fatto una breve ricerca sul web per capire di più sui dirigenti di questa associazione che hanno la responsabilità delle posizioni su Israele. Sapete chi guidava la delegazione in Arabia? Una certa Sarah Leah Whitson, col titolo di Director of the Middle East and North Africa Division. Prima di HRW, Whitson faceva parte di "MADRE" una Ong finanziata da quel luogo assai poco neutrale nei confronti del popolo ebraico che è stata, almeno fino a poco tempo fa, la Ford Foundation, e poi del Center for Economic and Social Rights (CESR). Sono entrambe organizzazioni marcatamente e dichiaratamente anti-israeliane, protagoniste della conferenza di Durban (quella presieduta dalla Robinson appena premiata da Obama) che hanno emesso rapporti su temi come i danni educativi inflitti da Israele durante la seconda intifada e la politica delle "colonie". Anche se Madre dovrebbe essere un'organizzazione femminista, non ho trovato segni di particolare interesse per le spose bambine e i delitti d'onore. Insomma il tema è l'odio per Israele e basta. Nel 2007 Whitson pubblica un articolo sul giornale Al-Akbar, in cui si riferisce ad Hamas come "la resistenza islamica" e naturalmente dà per scontato che Israele sia l'aggressore. Il suo vice è John Stork, già membro del MERIP, the Middle East research and information project, un'associazione che fra l'altro distribuisce autentico materiale palestinese, come bandiere, manifesti ecc.. Sulla sua rivista, Middle East Report. Stork ha scritto lunghi articoli sulla "guerra di Israele con i popoli del Medio Oriente" e sul suo carattere "imperialista". Dopo la strage degli atleti israeliani Olimpiadi di Monaco, in un articolo MERIP reports n. 12, invitava a "comprendere le realizzazioni" della "resistenza palestinese". Capite, ammazzare degli atleti alle olimpiadi è una "realizzazione", per questo signore così progressista. Poco dopo scrive che "tutti i coloni israeliani sono obiettivi potenziali della resistenza" (MERIP Reports, 29). Naturalmente non è un avviso agli israeliani di stare attenti, ma un'esaltazione del potenziale "rivoluzionario" della "resistenza". Nel '76 Stork partecipa a una conferenza organizzata da Saddam Hussein per celebrare la mozione dell'Onu che equiparava sionismo e razzismo. Bella compagnia, no? Saddam era noto per essere uno dei massimi custodi dei diritti umani nel Medio Oriente... Vi risparmio il seguito della sua biografia, ma devo farvi presente che Stork è l'autore del recente rapporto in cui si dice che l'esercito israeliano durante l'operazione di gennaio sparava sui civili palestinesi che si presentavano con bandiera bianca per arrendersi. La loro principale collaboratrice è Nadia Barhoum, palestinese-americana, fino a due anni fa funzionaria dell'associazione Students for Justice in Palestine (SJP) all'università di Burkeley, che sponsorizza il "diritto al ritorno" dei "profughi" palestinesi e chiama Israele "stato dell'apartheid". Un paio d'anni fa, nella ridente cittadina californiana di Burkeley, Barhoum è stata protagonista di atti di "teatro-guerriglia". Pur avendo fatto per molti anni il critico teatrale, vi confesso che non so cosa voglia dire quest'espressione. Conosco però l'oggetto di questa guerriglia testrale: l'entità sionista, naturalmente. Molte delle cose che hanno scritto e fatto gente come Stork, Whitson e Barhoum sono assai odiose, ma tutte più o meno legali. Non si tratta un gruppo di terroristi, o aspiranti tali e nessuno mette in discussione il loro diritto di parlare come gli pare e di fare propaganda "antimperialista" come credono. Il punto è un'altro. Alla testa di un'organizzazione che si pretende osservatore neutrale e difensore dei diritti umani, per definizione universali, vi è un gruppo di militanti marcatamente segnati in senso anti-israeliano, marxista, rivoluzionario, filo-palestinese. Il che rende i loro rapporti più vicini alla propaganda politica che alle sentenze giudiziarie. Lo stesso vale più o meno per tutte queste organizzazioni: sono modi di fare politica contro Israele sotto mentite spoglie. Peccato che i governi di Eurabia considerino assai comoda questa propaganda e la finanzino largamente, che l'Onu la appoggi e che i giornali europei, americani (e in Israele anche Haaretz) la prendano per oro colato.