Il suo primo americano Lore Segal
Traduzione di Francesca Gerla e Marina Nazzaro
Cargo Euro 17,50
Dopo la “Notte dei cristalli”, il pogrom contro gli ebrei attuato dai nazisti nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, il Governo britannico approvò un provvedimento che permise il trasporto oltremanica di quasi 10mila bambini dai territori occupati dal Reich. Il “Kindertransport”, come fu chiamata l’operazione, era sostenuta da associazioni umanitarie e religiose, e la sua storia è stata raccontata una decina di anni fa dalla voce di Judi Dench in un documentario, The Long Way Home, diretto da Mark Jonathan Harris che nel 2001 ha vinto il premio Oscar. Tra gli intervistati e i testimoni del film c’era Lore Segal, una delle bambine portate in Inghilterra nel 1939, che è oggi una scrittrice affermata, nonché sua madre, Franzi Groszmann, che sarebbe poi morta, nel 2005, alla bella età di cento anni. Questo l’antefatto. Ma la storia movimentata della vita di Lore Segal – a partire dalla temporanea separazione dai genitori e poi dal momento in cui, dopo essere cresciuta e avere studiato in Inghilterra, arriva negli Stati Uniti – è contenuta in un suo libro di memorie, Other People’s Houses (1964), e in un romanzo, Il suo primo americano (Her First American, 1985) che l’editore Cargo ha da poco mandato in libreria. Lore Segal è nata a Vienna nel 1928 e l’ultima sua opera è di due anni fa: una raccolta di 13 racconti, alcuni dei quali apparsi su “The New Yorker”, che si intitola Shakesperare’s Kitchen. In tutto, a parte una mezza dozzina di storie per bambini, la Segal ha pubblicato solo quattro libri perché come ha affermato in una recente intervista, è una scrittrice inguaribilmente lenta: “Mi ci sono voluti 18 anni per mettere insieme “Il suo primo americano”. E mi sono fermata a metà per lavorare a un altro libro intitolato Lupinella (1978), che da solo mi ha preso cinque anni. Sono lenta perché torno sempre indietro alla prima frase. A qualsiasi punto sia arrivata, continuo a lavorare su quella prima frase, persino se sto scrivendo l’ultima pagina”. Ma se è vero che “chi ben comincia è a metà dell’opera”, bisogna dire che la Segal, è maestra nell’arte di accalappiare il lettore. Personalmente sono tornato tre o quattro volte sulle prime battute del primo capitolo per capire dove si nascondesse l’incantesimo. Non sono sicuro di esservi riuscito ma la descrizione dell’incontro casuale in un bar del Far West tra una straniera di vent’anni, Ilka Weissnix, e un maturo ed elegante afro-americano, Carter Bayoux, è l’inizio di una storia che si vuole da subito sapere come andrà a finire. In parte perché siamo negli anni 50 e che una donna bianca faccia coppia con un nero è piuttosto inconsueto, persino a New York; e in parte perché il protagonista – un po’ Pigmalione e un po’ Werther (ma con i capelli grigi) – è afflitto da un malessere dello spirito, tipico dell’America e del suo tempo, che il lettore fino all’ultimo spera che riesca a vincere.
Luigi Sampietro
Il Sole 24 Ore