Approfittando del vuoto dei quotidiani, vi mando oggi ancora qualche piccola notizia della serie 'follow the money' 16/08/2009
Jeff HalperZapatero
Approfittando del vuoto dei quotidiani, vi mando oggi ancora qualche piccola notizia della serie "follow the money - segui i soldi". Sui giornali israeliani è apparsa nei giorni scorsi la notizia che il governo spagnolo ha pagato il biglietto a 42 giovani spagnoli per partecipare al settimo "campo di ricostruzione" organizzato dalla Ong ICAHD di Jeff Halper. Per capire di cosa si tratta bisogna ricordare che il signor Halper è stato arrestato qualche mese fa dalla polizia israeliana per essere entrato illegalmente a Gaza con una di quelle crociere organizzate dall'associazione Free Gaza per "rompere il blocco israeliano"; che la sigla ICAHD dell'associazione da lui presieduta significa Israeli Commetteee Against Hauses Demolitions (Comitato israeliano contro la demolizioni delle case); che le case da (non) demolire sono quelle costruite abusivamente da palestinesi e arabi israeliani senza permesso o in luoghi non edificabili; e infine che il governo socialista di Zapatero ha già dato quest'anno altri 80 mila euro all'ICAHD (oltre a 80 mila all'associazione "Breaking the silence", specializzata nel diffamare l'esercito israeliano, 100 mila all'Associazione per i diritti civili in Israele e 70 mila ai "Rabbis for Human Right"). Il nobile scopo della spedizione dei 42 giovanotti spagnoli finanziati dal loro governo, oltre che di un certo numero altri volontari provenienti dal resto del mondo, è di ricostruire due case abusive ad Anata, a Nord Est di Gerusalemme, fatte abbattere da un tribunale. Jeff Halper non è affatto pentito del suo appoggio all'abusivismo edilizio e dell'aiuto di una potenza straniera al suo comportamento illegale, tanto che l'ha rivendicato con una lettera al Jerusalem Post: L'intervento straniero a fini umanitari è un'ottima cosa, ha sentenziato. Più si fa meglio è. E ci credo, visto che la sua associazione e magari anche lui personalmente vive di questo. Vorrei aggiungere ancora due cose a questo proposito: la prima è ricordarvi che la Spagna, da mezzo millennio quasi deserta di ebrei è secondo le ricerche di opinione pubblica solidamente in testa alla classifica dei paesi più antisemiti d'Eurabia. La seconda è chiedervi un'informazione: vi risulta che Halper abbia intenzione di approfittare della sua conoscenza di Gaza per cercare di ricostruire la casa del signor Abdel-Latif Moussa, il cui nome di battaglia è Abu al-Nour al-Maqdessi (non si è nessuna persona seria da quelle parti senza "un nome di battaglia" e un Kalashnikov in mano), leader del gruppo Jund Ansar Allah, che ispira ad Al Qaeda? La residenza del signor Abdel (o Abu che sia) è stata infatti abbattuta l'altro giorno dalle milizie di Hamas, in seguito alla grottesca proclamazione che il nostro Abdel/Abu ha fatto in una moschea locale di un "Emirato Islamico di Rafah", che dev'essere un po' come un "sacro romano impero di Gallarate" o un "Reich millenario di Carmagnola"... Invece di farsi una risata o ricoverarlo in un ospedale psichiatrico per fargli passare la sbronza o quel che era, gli eroici miliziani di Hamas, sentendosi slealmente scavalcati a destra, hanno ceduto al loro istinto più profondo mettendo le mani alla pistola e si sono messi a sparare, facendo una dozzina di morti. Subito dopo, non contenti, hanno anche abbattuto la casa del candidato emiro. E' vero che in questo caso i distruttori di case non sono israeliani ma palestinesi di Hamas, dunque buoni; ma anche la vittima in questo caso è palestinese e perfino più estremista di Hamas, quindi dovrebbe essere ancora più simpatica agli occhi di Halper e dei suoi amichetti campeggiatori erarabi. Come la mettiamo? Si trovano intorno al fuoco del campeggio, smettono di cantare "Bella ciao" e "Quel mazzolin di fiori" e si interrogano pensosi: La ricostruiamo o no? Abbandoniamo Anata per Rafah, o lasciamo Rafah al suo destino e restiamo ad Anata? Ah, i dilemmi del volontariato! Me li immagino come l'asino di Buridano, sapete, quell'esperimento mentale di un filosofo scolastico per cui povero animale, messo a ugual distanza da due mucchi di cibo uguali, uno a destra e uno a sinistra, sarebbe morto di fame per non sapere quale scegliere. Così mi figuro il signor Helper e i suoi boy scout diviso fra Hamas e Jund Ansar Allah: vado o non vado? ricostruisco o abbatto? chiedo i soldi agli spagnoli o agli svedesi? Se io vado, chi resta, se io resto, chi va? Alla fine non ci andrà, credete a me. Gli israeliani per le sue iniziative di opposizione creativa al massimo lo arrestano, gli danno una multa e una ramanzina e poi lo lasciano andare a ricominciare il gioco (e il business). Quelli di Hamas sparano...
Un caso parzialmente diverso è quello di "J Street" un'associazione americana che sostiene ufficialmente di essere "pro-Israel, pro-peace", ma di fatto a gennaio ha fatto molta agitazione contro l'operazione "Cast Lead" e ha più volte sollecitato Obama a prendere posizione contro la politica di Israele e il suo governo. In cambio Obama li ha invitati con molti onori ai suoi incontri con i più rappresentativi leader ebraici degli Usa, pur non essendo J Street fra i gruppi più grossi né fra quelli tradizionalmente significativi. Di fatto si tratta di una specie di lobby pro-Obama e anti-Netanyahu, che in quanto tale ha attirato grande attenzione e simpatia dalla stampa americana antisraeliana e incomincia a essere popolare anche in Eurabia. Ora incominciano a venir fuori dei particolari interessanti sulle sue fonti di finanziamento. In primo luogo vi è una cospicua quantità di ricchi arabi e filo-islamici fra i donatori che la finanziano. Fra i membri del "comitato finanziario", che devono contribuire con almeno 10 mila dollari l'anno, figurano per esempio il businessman libanese Richard Abdoo, membro anche di "Amideast" e già nel consiglio di amministrazione dell'Arab American Institute; e anche Genevieve Lynch, che a sua volta faceva parte del "board" del National Iranian American Council. Negli elenchi di J Street ci sono molti donatori minori con origini palestinesi, saudite, egiziane ecc. Bella compagnia per un'associazione "pro-Israel", no? Garanzia sicura di una linea politica coerente. Un altro gruppo di aderenti interessanti sono diplomatici americani su cui J Street dovrebbe fare pressioni, per esempio Nicole Shampaine, direttore dell'Ufficio del Dipartimento di Stato per l'Egitto, è in lista con una donazione di mille dollari. Il Dipartimento di Stato, che sarebbe il ministero degli esteri americano ha dichiarato che non c'è contraddizione fra essere funzionari responsabili di una politica e finanziare lobbies che si propongono di influenzare quella stessa politica. Sarà. Come se il funzionario che al ministro dell'indusrtia deve decidere dei finanziamenti all'automobile fosse un socio della Fiat. E poi qualcuno dice che in America non ci sono conflitti di interesse. Non c'è niente di male, sostiene anche il "direttore esecutivo" di J Street, Jeremy Ben-Ami: "Our views are not a reflection of our donors. Our donors are supporting our views." Cioè "i nostri punti di vista dipendono dai nostri donatori, sono i nostri donatori ad appoggiare il nostro punto di vista." Va bene, ci crediamo, non pensiamo che gente come Ben Ami o Halper o quelli di Human Right Watch si vendano semplicemente al migliore offrente sull'angolo di una strada. E' più complicato. E infatti, guarda un po', i loro punti di vista suscitano la tangibile approvazione di gente che certamente non ama Israele. Quanto più agitano questi loro punti di vista e li applicano nel concreto, tanto più sono finanziati: follow the money, amici. Di più, i governi che si oppongono alla politica israeliana per motivi ideologici, com'è certamente il caso di Zapatero e Gordon Brown, o anche perché ritengono conveniente schierarsi con gli arabi, com'è di nuovo certamente il caso di Zapatero e Brown, e che non possono per ragioni di etichetta internazionale intervenire più che tanto dentro i confini di uno stato indipendente, usano queste organizzazioni come strumenti per i loro fini. O un governo, come quello americano, che non può mettersi a reclutare gli ebrei americani per sostenere la sua politica su Israele (che solo il 6 per cento degli Israeliani trova amichevole) decide di dare spazio e aiuto a un'associazione che "spontaneamente" lo sostiene in questa linea. Tutti sinceri, naturalmente, tutti onesti; ma alcuni si danno da fare più degli altri nella guerra soft dell'informazione che è in corso fra Israele e quasi tutto il resto del mondo. E vengono giustamente premiati.