I misteri di un ebreo cosmopolita sepolto in una tomba islamica a Positano Lev Nussimbaum alias Essad Bey alias Kurban Said. L'orientalista ignoto
Testata: Il Foglio Data: 15 agosto 2009 Pagina: 6 Autore: Luigi De Biase Titolo: «L'orientalista ignoto»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/08/2009, a pag. II, l'articolo di Luigi De Biase dal titolo " L'orientalista ignoto ".
Era il figlio di un nobile persiano partito per l’Europa all’inizio del Novecento in cerca di fortuna, oppure l’orfano di una famiglia russa scampato per miracolo alla Rivoluzione d’Ottobre. O, ancora, un giovane ebreo che ha scelto di cambiare identità pur di salvare la pelle nell’epoca del nazifascismo. Le poche notizie certe sulla vita di Lev Nussimbaum – ammesso che sia questa la sua vera identità – sono scritte su una lapide di marmo che guarda verso la Mecca. Un’incisione pulita dice “Positano, 1942”. E’ qui che riposa il suo corpo. Nussimbaum è stato un narratore talentuoso e prolifico, seppure non esista un solo libro con quel nome. Nei salotti di Berlino e di Vienna si fa chiamare Kurbain Said, erede di una ricca famiglia azera; in Italia passa per Essad Bey e ottiene il permesso di scrivere la biografia di Benito Mussolini. La sua esistenza è un intrigo da Novecento che odora di carovane e di petrolio, ma è anche il romanzo di una civiltà elegante distrutta in pochi lustri di progresso. Nussimbaum nasce nel 1905 su un treno che attraversa le valli del Caucaso. Il padre è un ebreo ashkenazi diventato milionario grazie all’industria del greggio, la madre una giovane russa vicina agli ambienti del Partito socialista che morirà suicida con una dose di acido. Lev cresce a Baku, sulle coste del Mar Caspio, quando la città è una specie di Vienna d’oriente: c’è un Parlamento, le donne hanno il diritto di votare e i notabili del petrolio costruiscono scuole, ospedali e palazzi in stile neoclassico. Le notizie in arrivo da Roma e da Parigi si fondono in questa terra con le tradizioni dell’oriente: “Sarà vostro compito decidere se faremo parte dell’Europa progressista o dell’Asia rivoluzionaria”, dice il professor Sanin nel romanzo più famoso che Nussimbaum abbia mai scritto, “Alì e Nino”, un monumento della cultura azera. La quiete dura poco, perché l’Armata rossa prende la città nel 1920. Le moschee diventano depositi di armi, le strade cambiano nome e i petrolieri sono costretti a lasciare le terre e i palazzi. Tutti tranne uno, il vecchio Murtuza Mukhtarov, che vive in una reggia barocca fuori dalla città antica. Mukhtarov aspetta i fanti russi con il moschetto fra le mani, caccia i servi e spara quando sfondano la porta. “Nessun barbaro entrerà nel mio palazzo con gli stivali sinché sarò vivo”, grida ai militari che prendono le scale. Terrà l’ultimo colpo per sé. L’invasione costringe i Nussimbaum alla fuga. Scappano nel Turkestan con una carovana, poi raggiungono Istanbul attraverso la Persia. I pensieri del giovane Lev restano a Baku, alle rovine del Palazzo imperiale e ai modi placidi dei nobili azeri. Il trasporto per quella civiltà moderna e musulmana è incontenibile, al punto che, nel 1920, mentre frequenta l’Università di Berlino, decide di convertiti all’islam e cambia nome in Kurban Said. In Germania è considerato un esperto di cose islamiche: conosce il farsi, passeggia con il fez, conquista i suoi ospiti con i racconti di un mondo lontano e fascinoso. Scrive romanzi a un ritmo impressionante, uno ogni dieci mesi, e trova presto editori disposti a finanziare i suoi progetti. “Petrolio e sangue in oriente”, “Dodici misteri nel Caucaso” e “La congiura contro il mondo” sono i titoli delle sue storie più popolari. Ma non si tratta di semplici libri: con quei romanzi Nussimbaum costruisce la sua nuova identità, mette insieme i particolari di una vita che, probabilmente, ha soltanto immaginato. Diventa “l’orientalista”, come lo chiama un reporter americano, Tom Reiss, nella grandiosa biografia pubblicata in Italia da Garzanti, e incarna i sogni esotici della borghesia europea novecentesca. Negli anni Venti deve fuggire di nuovo, questa volta dall’ascesa dei nazisti. Trova rifugio in Italia, dove le sue opere sono ben conosciute. Nussimbaum scorge nell’estetica del fascismo il medesimo potere creativo e rigeneratore dell’islam. Si presenta con un visto americano e un passaporto intestato a Essad Bey: i suoi iscritti, ironici e anticomunisti, attirano presto le simpatie del regime. Nel ’37 ottiene un appuntamento con il Duce grazie ai buoni uffici di Giovanni Gentile e Mussolini gli concede il permesso di scrivere la sua biografia. Il progetto non sarà mai portato a termine: pochi giorni dopo l’incontro, il Duce ricevere una lettera delatoria che denuncia la vera identità – e le vere origini – di Lev Nussimbaum-Essad Bey. Alla fine degli anni Trenta comincia una corrispondenza fitta con una donna italotedesca, Pima Andreae, che mantiene rapporti amichevoli con molti autori del tempo e intrattiene gerarchi e scrittori in una bella casa di Rapallo. Andreae è incantata dai romanzi di Essad Bey e gli propone i libri di un giovane collega, Kurban Said, senza sapere che si tratta della stessa persona. I due si scambiano trecento lettere: è una storia d’amore che rimane sulla carta, perché l’orientalista e la dama non avranno mai occasione di incontrarsi. Nussimbaum trova una sistemazione stabile a Positano. Non è una scelta casuale. Gli esuli in fuga dall’Europa orientale considerano questa costa un rifugio abbastanza sicuro già prima della guerra. Nell’agosto del 1908, lo scrittore Maksim Gorkij finanzia la Scuola rivoluzionaria di propaganda, una specie di think tank del pensiero socialista fondato da due dissidenti, Aleksandr Bogdanov e Anatolij Lunaciarskij. Le lezioni si tengono in una casa elegante di Capri, Villa Spinola, che diventerà Villa Behring. “E’ un fabbricato dipinto di rosso a un solo piano, dalle persiane verdi, quasi incastonate nella roccia coronata di selve”, racconta un inviato del Corriere, Francesco Dell’Erba, nelle cronache del tempo. La maggior parte dei russi è sull’isola dal 1905, sono arrivati dopo il fallimento della prima Rivoluzione bolscevica per evitare le attenzioni della polizia zarista. Gorkij aspetta l’alba con i suoi sul Monte Solaro fra canti e brindisi, non si separa mai dalla bella Marija Andreeva e da un cantante lirico, Feodor Saljapin, la cui voce arriva persino alle navi di pescatori impegnati intorno all’isola. Il poeta si muove per le strade di Capri come un anfitrione: riceve anche Lenin, che gli chiede un incontro pacificatore con il rivale Bogdanov. Vladimir Uljanov pensa che la Scuola rivoluzionaria sia un pericolo per tutto il movimento: lui vuole che i bolscevichi entrino alla Duma mentre Bogdanov chiede la lotta armata. Una foto dell’epoca mostra i due che giocano a scacchi nel giardino di Villa Monacone – negli anni Cinquanta, la stessa dimora sarà di Heinrich Mann. Lenin usa le buone e ingaggia i dissidenti in una sfida retorica, ma il suo viaggio non ha fortuna. Qualche mese più tardi, un emissario misterioso arrivato da Mosca otterrà risultati migliori. L’obiettivo della sua missione è chiudere con ogni mezzo il pensatoio ribelle, bisogna spiegare a Gorkij e agli altri compagni che non esiste un’altra soluzione. La scuola sparisce nel giro di poco tempo e Bogdanov sceglie di cambiare aria con l’amico Lunaciarskij: partiranno senza cerimonia alla volta di Parigi. L’identità dell’ambasciatore rimane segreta per anni. Secondo Nussimbaum si tratta di Joseph Stalin e la notizia potrebbe essere vera, dato che i due si conoscono personalmente. Stalin è nato a Gori, a trenta chilometri da Tbilisi, ma ha trascorso una parte della propria gioventù in Azerbaigian. Un quadro del pittore Karimov conservato al Museo nazionale di Baku mostra un sindacalista chiamato Koba che parla agli operai riuniti in sciopero. Koba è il nomignolo scelto dalla polizia azera per Joseph Stalin. I suoi anni in città sono una sequenza di scioperi, risse e notti in carcere. Quando è fuori passa il tempo in una tipografia nascosta nelle cantine di un bagno turco, dove si stampa il bollettino del Partito socialista. La madre di Nussimbaum, che simpatizza per i bolscevichi, lo ospita più volte nella propria casa e probabilmente offre sostegno economico alle attività del giovane compagno. L’orientalista racconta il viaggio a Capri del grande dittatore senza risparmio di particolari: secondo i biografi quel viaggio non è mai esistito, ma la storia intriga i lettori del tempo e riscuote successo nella comunità di stranieri che vive sulla Costiera amalfitana. Ancora negli anni Trenta, Positano ospita scrittori, poeti e pacifisti di tutto il continente. Ci sono membri del movimento Bauhaus, ballerini e registi teatrali. Molti di loro sono ebrei. Si ritrovano alla Caverna di Bacco, una cantina che adotta il tedesco e il russo come lingue franche, e proseguono i lavori interrotti altrove dall’avvento del nazismo. Le cose cambieranno in peggio con le leggi razziali. A quel punto, il romanzo di Nussimbaum è già alle pagine finali. Le sue origini sono note alla polizia fascista, ma nessuno a Roma si sogna di ordinare che finisca in galera. E’ tenuto sotto stretto controllo nella città di Positano, dove vive una sorta di confino e prosegue la corrispondenza con madama Andreae. Nel 1940, senza un soldo e piegato da un virus che gli infetta il sangue, scrive l’ultimo capitolo della propria avventura. La malattia è terrificante e gli distrugge il corpo in pochi mesi. All’ospedale di Napoli gli amputano le dita del piede sinistro per fermare una cancrena. Nussimbaum è un ebreo, ha avuto rapporti con i comunisti e molti pensano che abbia passato informazioni segrete ai nemici del regime, eppure l’operazione è pagata dalle autorità di Napoli e di Salerno, che muovono le loro conoscenze al ministero della Cultura e quello degli Esteri. L’orientalista passa due anni in una casa bianca con le finestre aperte sul mare. Lì comincia un manoscritto mai terminato, “L’uomo che non sapeva nulla dell’amore”. Riempie ossessivamente quaderni e taccuini con la sua grafia quasi indecifrabile, rimane sveglio notti intere per finire il lavoro. Le sue microscopiche lettere azzurre parlano di paracadutisti, milionari in tuxedo, guru del deserto e ragazze biondissime. Completa diversi capitoli sotto l’effetto della morfina, altri con l’ebbrezza dell’hashish, ma le prose più surreali sono quelle in cui non assume altro che il dolore procurato dal virus che lo sta uccidendo. La Domitilla lo vede allo scrittoio quando prepara la sua stanza da letto e lo trova nella stessa posizione la mattina dopo, quando torna con la colazione e le medicine. Negli ultimi giorni lo assiste un amico fedele, Ahmed Giamil Vacca Mazzara, che parla arabo ed è noto in città come “l’algerino”. Anche la vita di quest’uomo sembra la pagina di un romanzo. Dice di essere un fascista musulmano, ha avuto per moglie la figlia di un senatore ma la storia è durata poco ed è finita male, come dimostra lo scambio di lettere fra i due. Guida auto di lusso ed è ospite nelle ville più eleganti della costa; ufficialmente è un semplice giornalista, ma partecipa a missioni militari in Libia e nelle colonie francesi. Giamil Vacca Mazzara, in realtà, si chiama Bello Vacca. Più tardi, il suo nome finirà persino su alcuni documenti custoditi negli archivi delle Nazioni Unite. Bello è un cittadino italiano nato a Tripoli, ha vissuto per anni al Cairo prima che le autorità egiziane lo espellessero per traffico di droga e di esplosivi. Sarebbe una spia pagata dai Servizi segreti di Roma per tenere sotto controllo il fronte dell’Africa settentrionale, un agitatore politico che ha cercato di complicare i piani di Londra e di Parigi nella regione. Forse questo personaggio enigmatico conosce i segreti dell’amico scrittore, ma lo considera una persona troppo affascinante per essere abbandonata al destino. Rimane al suo fianco sino all’ultimo giorno come un compagno d’armi, come se fossero i reduci di una guerra segreta che nessun altro ha mai compreso. Posano anche per una fotografia pubblicata sull’Herald Tribune: in quell’immagine, Nussimbaum appare molto più vecchio e molto più stanco della spia fascista, seppure i due abbiano la stessa età. La morte è questione di settimane. Sarà Bello Vacca a scegliere la lapide che guarda ancora la Mecca dalla collina di Positano.
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