Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/08/2009, a pag. 12-14 due articoli di Andrea Nicastro " I nuovi amici di Karzai che non vuole perdere le elezioni " e " Kabul, la nuova legge sulla famiglia. Niente cibo alle mogli disobbedienti " e l'articolo di Marta Dassù dal titolo " Più mezzi e meno illusioni La nuova «guerra giusta» che servirà a Obama ". Eccoli :
Andrea Nicastro : " I nuovi amici di Karzai che non vuole perdere le elezioni "
Talebani
C’è stato un tempo in cui a Washington non si faceva altro che sospirare: «Magari trovassimo uno come lui anche per l’Iraq». Lui era Hamid Karzai, il presidente che, con barba islamicamente corretta e accento vagamente californiano, guidava l’ex Emirato talebano verso quella democrazia da esportazione sognata da George Bush jr. Oggi Karzai sta invece diventando una presenza imbarazzante per l’Occidente che l’ha difeso e alimentato.
La legge sul diritto di famiglia sciita denunciata ieri da Human Right Watch è la ciliegina avvelenata su una torta esplosiva. L’ex modello da clonare si presenta alle elezioni con un ticket insanguinato. Gli aspiranti vice presidenti sono il tajiko Fahim e l’azara Khalili, «signori della guerra» da almeno 20 anni. Lo stesso generale uzbeko Dostum ha, per Karzai, le porte aperte. Non solo. I suoi rapporti con il parlamento si sono fatti tesi. Il rispetto istituzionale si è perso da mesi. In primavera Karzai ha persino tentato di indire elezioni lampo, in modo da non avere concorrenti, ma, almeno quel tiro, gli è stato parato. L’involuzione di Karzai nasce dal suo istinto politico. Adorato dai repubblicani Usa è stato messo in discussione dai democratici. Si parla di un’antipatia personale del vice presidente Joe Biden, ma è un fatto che il pragmatismo obamiano non tollera i risultati scadenti di Karzai: il suo governo è corrotto e inefficiente. È caduto persino il tabù sulle accuse al fratello Wali (e quindi a lui) di narcotraffico. Il problema è che Karzai se n’è accorto e, prima che i vecchi amici lo rottamassero, ne ha cercati di nuovi: russi («disposti a fornirci l’aviazione di cui abbiamo bisogno»), iraniani (Karzai si è subito congratulato con Ahmadinejad per la contestata rielezione), cinesi (la presenza Usa dietro casa non piace a Pechino). Tutti sponsor cui non interessano diritti femminili o democrazia. In questi giri di valzer mancano solo i talebani. Karzai li corteggia da tempo. Ma su questo Washington e Kabul vanno ancora d’accordo.
Marta Dassù : " Più mezzi e meno illusioni La nuova «guerra giusta» che servirà a Obama "
Barak Obama
Da quattro settimane «In the Graveyard of Empires» è uno dei saggi più venduti nelle librerie di Washington. Il libro di Seth Jones, analista della Rand Corporation, non ispira certo ottimismo: l’Afghanistan ha inflitto pesanti batoste agli imperi — mettendo alla prova Alessandro Magno, massacrando i britannici, umiliando i sovietici. La stessa sorte, allude il titolo, potrebbe toccare all’impero americano ereditato da Barack Obama.
L’angoscia per la trappola afghana è palpabile, nell’amministrazione democratica. La politica è concentrata sulla riforma sanitaria e le sue pene. Ma la «guerra giusta» di Obama rende più difficile anche il fronte interno: perché è una guerra che comincia a costare parecchio, proprio quando l’America si trova a fare i conti con un deficit di bilancio in rapida espansione; perché è una guerra con perdite in aumento; e perché, soprattutto, è una guerra che nessuno sa bene come vincere, ammesso che sia ancora possibile. Sono le ragioni che giustificano i primi paragoni fra Barack Obama e Lyndon Johnson, altro presidente democratico alle prese con una guerra quasi persa (il Vietnam) e con una sfida principale di politica interna (la Great Society).
Se la scuola della «tomba degli imperi » torna a farsi sentire, nell’estate di Washington, la scuola del «successo parziale» difende ancora le possibilità di riuscita in Afghanistan. A due condizioni però, giudicate entrambe essenziali: l’aumento temporaneo della presenza militare, come chiede il generale nominato da Obama, McCrystal (secondo cui i 21.000 soldati aggiuntivi già disposti da Washington non basteranno, di fronte a un nemico più aggressivo di un tempo); la riduzione parallela degli obiettivi, abbandonando le ambizioni di nation-building. Più mezzi e meno illusioni.
Obama ha già scelto questa linea, quando ha spiegato che l’interesse nazionale degli Stati Uniti non è di costruire una democrazia jeffersoniana a cavallo dell’Hindukush ma di colpire Al Qaeda e i suoi alleati fra i talebani, in Afghanistan e nelle aree tribali del Pakistan. La condizione è di raggiungere una stabilità minima, con l’aiuto esterno della Russia e l’appoggio tacito dell’Iran. Una condizione che in prospettiva consenta alle forze afghane, addestrate dagli Stati Uniti e dalla Nato, di occuparsi della sicurezza interna; e a Washington di concentrare gli sforzi sulle gerarchie terroriste, bloccando il contagio dal caos afghano al fronte pakistano.
Mentre Obama ridefinisce in questi termini la «guerra giusta», l’opinione pubblica americana dà i primi segni di stanchezza. Per il momento, e a differenza degli europei, la maggioranza degli americani continua a ritenere che valga la pena di combattere, in Afghanistan. Perché i costi di un fallimento (il ritiro) sarebbero superiori. Ma è un appoggio che durerà ancora poco; fino a quando, cioè, quella stessa maggioranza penserà che l’America stia vincendo o possa vincere in fretta.
Andrea Nicastro : " Kabul, la nuova legge sulla famiglia. Niente cibo alle mogli disobbedienti "
Hamid Karzai
KABUL — Il diritto allo stupro coniugale (semplice ed esplicito) è scomparso, ma per i mariti sciiti dell’Afghanistan (e le loro mogli schiave) cambia poco. Con la nuova versione della legge sul diritto di famiglia riservato alla comunità sciita, circa il 20 per cento della popolazione, gli uomini dovranno solo aspettare che il «diritto al ricatto», concesso loro dalla norma, faccia il suo effetto. Sesso in cambio di cibo: prima o poi la fame convincerà anche la moglie più ritrosa.
Uno degli articoli della complessa norma dice infatti così: «È responsabilità della moglie soggiacere al ragionevole piacere sessuale del marito e non lasciare il tetto coniugale senza il suo permesso, eccezion fatta per situazioni di emergenza. Se qualunque dei doveri di qui sopra non è rispettato, la moglie è da considerare disobbediente». E le mogli «disobbedienti» perdono il diritto al mantenimento. Cioè a mangiare. E siccome non possono neppure divorziare o tornare dalla mamma senza il permesso del marito, l’alternativa è «soggiacere» o morire di fame.
Sarebbe questo il misero risultato dell’indignazione internazionale, delle dichiarazioni di fuoco dei governi che da otto anni regalano soldi e soldati al governo Karzai e persino di un raro corteo di femministe afghane. Tre mesi di emendamenti hanno spostato lo «stupro coniugale» dal letto alla tavola. Tra le altre norme contenute nella nuova legge anche l’affidamento dei figli sopra i 9 o 12 anni ai parenti maschi più vicini e una considerazione dello stupro come problema economico e non di diritto umano: il colpevole potrà chiudere il processo versando alla famiglia della vittima (non a lei) un risarcimento commisurato alle disponibilità finanziarie del clan. La violenza sulla figlia di un ricco costerà cara, quella sulla figlia di un povero verrà via per poco.
La denuncia è stata lanciata ieri da Human Rights Watch che ha esaminato il testo sulla Gazzetta Ufficiale. Sotto accusa il presidente Hamid Karzai che ha firmato il provvedimento. Secondo Human Rights Watch, con le elezioni in arrivo giovedì prossimo, Karzai si sarebbe così garantito il pacchetto di voti dei fondamentalisti sciiti rappresentati dall’ayatollah Asif Mohseni, rettore dell’Università sciita di Kabul. Il potere di attrazione dell’ayatollah non deve sorprendere: la sua università è una mastodontica costruzione di marmo, la più appariscente e funzionale opera di interesse pubblico realizzata in Afghanistan dal crollo dei talebani. L’ayatollah e i suoi finanziatori iraniani con i corsi superiori gratuiti, pasti e aria condizionata per decine di migliaia di studenti, hanno fatto meglio di tanti progetti occidentali.
Ieri, venerdì di preghiera, pochi a Kabul avevano il testo sotto mano. Interpellata al telefono, ad esempio, la senatrice sciita Najida Hosseini è caduta dalle nuvole. «Non ho partecipato al riesame, ma so che sono stati introdotti 20 emendamenti. Ora la legge dovrà tornare all’esame del Parlamento. Mi stupirei nel trovarci i principi annunciati da Human Rights Watch. La norma dovrà rispettare la legge coranica, ma in un Paese musulmano e sciita come l’Iran, ad esempio, la moglie perde il diritto agli alimenti solo se abbandona il tetto coniugale. Non per altro».
Insoddisfatto, ma per ragioni opposte, Abdul Latif Sajjadi, uno degli ideatori della legge, vice rettore dell’Università sciita e braccio destro del potente ayatollah Mohseni. «Ero nella commissione del riesame e mi sono opposto agli emendamenti. È una vergogna che, sotto l’influenza straniera, l’età del matrimonio sia stata alzata a 16 anni per le ragazze e 18 per i ragazzi. È contro l’Islam. Quanto al 'ricatto cibo per sesso', non ci vedo niente di strano: i mariti per il Corano hanno l’obbligo di sfamare, vestire e proteggere le mogli. In cambio esse devono obbedire. Il letto non ha alcuna extraterritorialità».
Queste barbarie dovevano restare un retaggio del passato talebano — grida invece Brad Adams, responsabile per l’Asia di Hrw —, non far parte del nuovo Afghanistan». Per Adams la spiegazione è tutta politica: «I diritti delle donne afghane sono violati per i giochi di potere degli uomini. Questo di Karzai è un ignobile baratto, ha venduto le donne in cambio di voti».
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