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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.08.2009 La nuova legge sulla famiglia in Afghanistan: niente cibo alle mogli disobbedienti
Kar­zai vuole garantirsi il pacchetto di voti dei fonda­mentalisti sciiti

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 agosto 2009
Pagina: 12
Autore: Andrea Nicastro - Marta Dassù
Titolo: «I nuovi amici di Karzai che non vuole perdere le elezioni - Kabul, la nuova legge sulla famiglia. Niente cibo alle mogli disobbedienti»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/08/2009, a pag. 12-14 due articoli di Andrea Nicastro "  I nuovi amici di Karzai che non vuole perdere le elezioni  " e " Kabul, la nuova legge sulla famiglia. Niente cibo alle mogli disobbedienti " e l'articolo di Marta Dassù dal titolo " Più mezzi e meno illusioni La nuova «guerra giusta» che servirà a Obama ". Eccoli :

Andrea Nicastro : " I nuovi amici di Karzai che non vuole perdere le elezioni "

 Talebani

C’è stato un tempo in cui a Washington non si faceva altro che sospirare: «Magari trovassimo uno co­me lui anche per l’Iraq». Lui era Hamid Kar­zai, il presidente che, con barba islamica­mente corretta e accento vagamente califor­niano, guidava l’ex Emirato talebano verso quella democrazia da esportazione sognata da George Bush jr. Oggi Karzai sta invece diventando una presenza imbarazzante per l’Occidente che l’ha difeso e alimentato.
La legge sul diritto di famiglia sciita de­nunciata ieri da Human Right Watch è la ciliegina avvelenata su una torta esplosiva. L’ex modello da clonare si presenta alle ele­zioni con un ticket insanguinato. Gli aspi­ranti vice presidenti sono il tajiko Fahim e l’azara Khalili, «signori della guerra» da al­meno 20 anni. Lo stesso generale uzbeko Dostum ha, per Karzai, le porte aperte. Non solo. I suoi rapporti con il parlamento si sono fatti tesi. Il rispetto istituzionale si è perso da mesi. In primavera Karzai ha per­sino tentato di indire elezioni lampo, in modo da non avere concorrenti, ma, alme­no quel tiro, gli è stato parato. L’involuzio­ne di Karzai nasce dal suo istinto politico. Adorato dai repubblicani Usa è stato mes­so in discussione dai democratici. Si parla di un’antipatia personale del vice presiden­te Joe Biden, ma è un fatto che il pragmati­smo obamiano non tollera i risultati sca­denti di Karzai: il suo governo è corrotto e inefficiente. È caduto persino il tabù sulle accuse al fratello Wali (e quindi a lui) di narcotraffico. Il problema è che Karzai se n’è accorto e, prima che i vecchi amici lo rottamassero, ne ha cercati di nuovi: russi («disposti a fornirci l’aviazione di cui abbia­mo bisogno»), iraniani (Karzai si è subito congratulato con Ahmadinejad per la con­testata rielezione), cinesi (la presenza Usa dietro casa non piace a Pechino). Tutti sponsor cui non interessano diritti femmi­nili o democrazia. In questi giri di valzer mancano solo i talebani. Karzai li corteggia da tempo. Ma su questo Washington e Ka­bul vanno ancora d’accordo.

Marta Dassù : " Più mezzi e meno illusioni La nuova «guerra giusta» che servirà a Obama "

 Barak Obama

Da quattro settimane «In the Gra­veyard of Empires» è uno dei saggi più venduti nelle librerie di Washin­gton. Il libro di Seth Jones, analista della Rand Corporation, non ispira certo ottimismo: l’Afghanistan ha in­flitto pesanti batoste agli imperi — mettendo alla prova Alessandro Ma­gno, massacrando i britannici, umi­liando i sovietici. La stessa sorte, al­lude il titolo, potrebbe toccare all’im­pero americano ereditato da Barack Obama.
L’angoscia per la trappola afgha­na è palpabile, nell’amministrazione democratica. La politica è concentra­ta sulla riforma sanitaria e le sue pe­ne. Ma la «guerra giusta» di Obama rende più difficile anche il fronte in­terno: perché è una guerra che co­mincia a costare parecchio, proprio quando l’America si trova a fare i conti con un deficit di bilancio in ra­pida espansione; perché è una guer­ra con perdite in aumento; e perché, soprattutto, è una guerra che nessu­no sa bene come vincere, ammesso che sia ancora possibile. Sono le ra­gioni che giustificano i primi parago­ni fra Barack Obama e Lyndon John­son, altro presidente democratico al­le prese con una guerra quasi persa (il Vietnam) e con una sfida principa­le di politica interna (la Great So­ciety).
Se la scuola della «tomba degli im­peri » torna a farsi sentire, nell’estate di Washington, la scuola del «succes­so parziale» difende ancora le possi­bilità di riuscita in Afghanistan. A due condizioni però, giudicate en­trambe essenziali: l’aumento tempo­raneo della presenza militare, come chiede il generale nominato da Oba­ma, McCrystal (secondo cui i 21.000 soldati aggiuntivi già disposti da Washington non basteranno, di fronte a un nemico più aggressivo di un tempo); la riduzione parallela degli obiettivi, abbandonando le am­bizioni di nation-building. Più mezzi e meno illusioni.
Obama ha già scelto que­sta linea, quando ha spiegato che l’interesse nazionale degli Stati Uniti non è di costruire una democrazia jeffersoniana a cavallo dell’Hindukush ma di colpire Al Qaeda e i suoi alleati fra i talebani, in Afghanistan e nelle aree tribali del Pakistan. La condizione è di raggiungere una stabilità minima, con l’aiuto esterno della Russia e l’appoggio tacito del­l’Iran. Una condizione che in pro­spettiva consenta alle forze afghane, addestrate dagli Stati Uniti e dalla Nato, di occuparsi della sicurezza in­terna; e a Washington di concentra­re gli sforzi sulle gerarchie terrori­ste, bloccando il contagio dal caos af­ghano al fronte pakistano.
Mentre Obama ridefinisce in que­sti termini la «guerra giusta», l’opi­nione pubblica americana dà i primi segni di stanchezza. Per il momento, e a differenza degli europei, la mag­gioranza degli americani continua a ritenere che valga la pena di combat­tere, in Afghanistan. Perché i costi di un fallimento (il ritiro) sarebbero superiori. Ma è un appoggio che du­rerà ancora poco; fino a quando, cioè, quella stessa maggioranza pen­serà che l’America stia vincendo o possa vincere in fretta.

Andrea Nicastro : " Kabul, la nuova legge sulla famiglia. Niente cibo alle mogli disobbedienti "

 Hamid Karzai

KABUL — Il diritto allo stu­pro coniugale (semplice ed esplicito) è scomparso, ma per i mariti sciiti dell’Afghani­stan (e le loro mogli schiave) cambia poco. Con la nuova versione della legge sul dirit­to di famiglia riservato alla co­munità sciita, circa il 20 per cento della popolazione, gli uomini dovranno solo aspet­tare che il «diritto al ricatto», concesso loro dalla norma, faccia il suo effetto. Sesso in cambio di cibo: prima o poi la fame convincerà anche la mo­glie più ritrosa.
Uno degli articoli della com­plessa norma dice infatti così: «È responsabilità della mo­glie soggiacere al ragionevole piacere sessuale del marito e non lasciare il tetto coniugale senza il suo permesso, ecce­zion fatta per situazioni di emergenza. Se qualunque dei doveri di qui sopra non è ri­spettato, la moglie è da consi­derare disobbediente». E le mogli «disobbedienti» perdo­no il diritto al mantenimento. Cioè a mangiare. E siccome non possono neppure divor­ziare o tornare dalla mamma senza il permesso del marito, l’alternativa è «soggiacere» o morire di fame.
Sarebbe questo il misero ri­sultato dell’indignazione in­ternazionale, delle dichiara­zioni di fuoco dei governi che da otto anni regalano soldi e soldati al governo Karzai e persino di un raro corteo di femministe afghane. Tre mesi di emendamenti hanno spo­stato lo «stupro coniugale»
dal letto alla tavola. Tra le al­tre norme contenute nella nuova legge anche l’affida­mento dei figli sopra i 9 o 12 anni ai parenti maschi più vi­cini e una considerazione del­lo stupro come problema eco­nomico e non di diritto uma­no: il colpevole potrà chiude­re il processo versando alla fa­miglia della vittima (non a lei) un risarcimento commisu­rato alle disponibilità finan­ziarie del clan. La violenza sul­la figlia di un ricco costerà ca­ra, quella sulla figlia di un po­vero verrà via per poco.
La denuncia è stata lanciata ieri da Human Rights Watch che ha esaminato il testo sulla Gazzetta Ufficiale. Sotto accu­sa il presidente Hamid Karzai che ha firmato il provvedi­mento. Secondo Human Ri­ghts Watch, con le elezioni in arrivo giovedì prossimo, Kar­zai si sarebbe così garantito il pacchetto di voti dei fonda­mentalisti
sciiti rappresentati dall’ayatollah Asif Mohseni, rettore dell’Università sciita di Kabul. Il potere di attrazio­ne dell’ayatollah non deve sor­prendere: la sua università è una mastodontica costruzio­ne di marmo, la più appari­scente e funzionale opera di interesse pubblico realizzata in Afghanistan dal crollo dei talebani. L’ayatollah e i suoi fi­nanziatori iraniani con i corsi superiori gratuiti, pasti e aria condizionata per decine di mi­gliaia di studenti, hanno fatto meglio di tanti progetti occi­dentali.
Ieri, venerdì di preghiera, pochi a Kabul avevano il testo sotto mano. Interpellata al te­lefono, ad esempio, la senatri­ce sciita Najida Hosseini è ca­duta dalle nuvole. «Non ho partecipato al riesame, ma so che sono stati introdotti 20 emendamenti. Ora la legge do­vrà tornare all’esame del Par­lamento. Mi stupirei nel tro­varci i principi annunciati da Human Rights Watch. La nor­ma dovrà rispettare la legge coranica, ma in un Paese mu­sulmano e sciita come l’Iran, ad esempio, la moglie perde il
diritto agli alimenti solo se ab­bandona il tetto coniugale. Non per altro».
Insoddisfatto, ma per ragio­ni opposte, Abdul Latif Sajja­di, uno degli ideatori della leg­ge, vice rettore dell’Università sciita e braccio destro del po­tente ayatollah Mohseni. «Ero nella commissione del riesa­me e mi sono opposto agli emendamenti. È una vergo­gna che, sotto l’influenza stra­niera, l’età del matrimonio sia stata alzata a 16 anni per le ragazze e 18 per i ragazzi. È contro l’Islam. Quanto al 'ri­catto cibo per sesso', non ci vedo niente di strano: i mariti per il Corano hanno l’obbligo
di sfamare, vestire e protegge­re le mogli. In cambio esse de­vono obbedire. Il letto non ha alcuna extraterritorialità».
Queste barbarie dovevano restare un retaggio del passa­to talebano — grida invece Brad Adams, responsabile per l’Asia di Hrw —, non far parte del nuovo Afghanistan». Per Adams la spiegazione è tutta politica: «I diritti delle donne afghane sono violati per i gio­chi di potere degli uomini. Questo di Karzai è un ignobi­le baratto, ha venduto le don­ne in cambio di voti».

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