Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/08/2009, a pag. 11, l'articolo di Gabriela Jacomella dal titolo " Quando l’Europa si scoprirà musulmana " e la sua intervista a Tariq Ali dal titolo " Ci sono anche i laici. Ma contano poco". Ecco gli articoli:
L'analisi di Gabriela Jacomella ci sembra troppo ottimistica.
Noi concordiamo con l'analisi di Walter Laqueur (vedere sezione 'Libri Raccomandati' di IC). La portata dell'immigrazione e della demografia musulmana in Europa non va sottovalutata. Nell'intervista di Jacomella a Tariq Ali, si legge " Il fondamentalismo islamico, però, è un pericolo da non sottovalutare, non crede?
«Questi gruppi ci sono, nessuno lo nega. È un fenomeno correlato al vuoto che la società globale ha lasciato nelle vite di molti. E, per quanto riguarda il mondo islamico, intensificato dallo scontro tra Oriente e Occidente, l’occupazione dell’Iraq, il numero crescente di morti in Afghanistan. Non è uno scontro tra due culture, alla radice c’è altro. In primo luogo, la priorità data dall’Occidente alla guerra ». ". Il terrorismo islamico esiste. Non va sottovalutato. Ed è legato allo scontro di civiltà, contrariamente a quanto sostiene Tariq Ali, con le sue deboli argomentazioni circa le guerre intraprese dall'Occidente. L'11 settembre, gli attentati a Londra e a Madrid, la proliferazione di moschee illegali utilizzate come centri di reclutamento per terroristi, ne sono una dimostrazione. La mancanza di accettazione dei valori culturali occidentali, anche.
Ecco i due articoli:
" Quando l’Europa si scoprirà musulmana "
Eurabia
BERLINO — Domenica d’agosto al Görlitzer Park, quartiere «alternativo» di Kreuzberg: giovani coppie con pargoli in carrozzina, gruppi di ragazzi tra musica tecno e birre, famiglie intorno ai barbecue. Würstel e bistecche sfrigolano sulla brace; qualcuno fa le cose decisamente in grande, sullo spiedo gira un animale intero. Non un maialino, ma una pecora. Donne con il velo, bambini dai capelli scurissimi, sonorità mediorientali.
Che Berlino sia tra le città tedesche con la presenza più consistente di musulmani non è una novità: chiunque sia passato dalle parti di Checkpoint Charlie sa che da lì in poi si spalancano le porte di Kreuzberg, culla storica del punk rock teutonico e ufficiosa (ma non troppo) capitale della comunità turca. Che, a sua volta, costituisce la fetta più consistente dell’islam nel Paese. Quello che nemmeno i tedeschi sapevano, però, è che i conti potrebbero non tornare. Fino a giugno le stime ufficiali calcolavano una presenza musulmana variabile dai 3,1 ai 3,4 milioni. Poi il ministero degli Interni ha diffuso un’indagine in base alla quale in Germania vivrebbero tra i 3,8 e i 4,3 milioni di fedeli islamici; oltre il 5% della popolazione. Nel 1945 erano 6.000, nel 1971 250.000, nell’81 un milione e 700 mila.
Una tendenza, quella confermata dai dati tedeschi, che è ormai condivisa da buona parte dell’Europa, e alla quale il Daily Telegraph ha di recente dedicato un approfondimento dal titolo allarmistico: «Europa musulmana, la bomba demografica a orologeria che sta trasformando il nostro continente » .
Qualche cifra: la popolazione musulmana nell’Unione è più che raddoppiata nell’ultimo trentennio e raddoppierà di nuovo entro il 2015. Secondo l’Istituto per le politiche migratorie degli Stati Uniti, nel 2050 sarà di fede islamica un cittadino europeo ogni cinque. E per l’economista Karoly Loran, autore di uno studio commissionato dal Parlamento europeo, è già musulmano il 25% degli abitanti di Marsiglia e Rotterdam, il 20% di quelli di Malmö, il 10% dei parigini e dei londinesi. Il sociologo Marzio Barbagli, da anni impegnato nello studio dei fenomeni migratori, conferma: «Nel suo ultimo libro, Reflections on the devolution in Europe , Christopher Caldwell calcola che nella Ue ci siano complessivamente 15 milioni di musulmani: soprattutto in Francia, Germania e Gran Bretagna. In maniera documentata, abbraccia la tesi allarmata fatta propria da altri studiosi e giornalisti, tra cui Oriana Fallaci».
Una tesi simile a quella sostenuta qualche anno fa dallo storico e orientalista Bernard Lewis, per il quale nell’arco di 50-80 anni l’Europa sarebbe diventata un Paese arabo. «Alla base — spiega Barbagli — c’è il concetto per cui la religione islamica finirà per prevalere su quella cristiana, perché gli europei sono ormai secolarizzati, tolleranti, relativisti, sempre più incerti dal punto di vista dei valori». Una lettura da cui il sociologo dissente: «Ci sono, al contrario, esperienze storiche che fanno pensare come, pur avendo caratteristiche particolari, i valori di questa religione finiranno per subire le stesse trasformazioni vissute dal cristianesimo » .
I musulmani, a contatto con la cultura europea, andrebbero a loro volta incontro a un mutamento. «Ad esempio sulla fecondità: mettono al mondo più figli, è vero, ma la forbice si sta fortemente riducendo». Barbagli ricorda un’indagine da lui svolta in Emilia Romagna, «sui bambini nati in Italia da famiglie musulmane: ebbene, quanto più tempo avevano passato nel nostro Paese, tanto meno era probabile che frequentassero i luoghi di culto dell’islam. Il processo è lento, a volte impercettibile, ma avviene».
E i dati tedeschi lo dimostrano: se solo il 4% dei musulmani interpellati nel corso dell’inchiesta si dichiara «per nulla religioso», il velo (tra i punti più spinosi del dibattito sull’integrazione) non viene mai indossato dal 69% delle musulmane di prima generazione e dal 70,7% di quelle di seconda; la quasi totalità degli studenti frequenta sia le classi miste di educazione fisica che le ore di educazione sessuale.
Il quadro, insomma, sembra decisamente più roseo di quanto farebbero intendere le invocazioni alla jihad risuonate nei giorni scorsi al processo contro il «gruppo della Sauerland», la presunta cellula terrorista islamica guidata dal tedesco convertito — in Germania, già nel 2006 erano 14.300 — Fritz Gelowicz. Buone notizie arrivano anche (nonostante alcune polemiche interne) dalla Conferenza sull’islam creata nel 2006 per facilitare il dialogo tra governo e comunità musulmana: «L’islam — così il ministro degli Interni Wolfgang Schäuble (Cdu) — è ormai da tempo parte integrante del nostro Paese». Una dichiarazione che, per la portavoce del Consiglio centrale dei musulmani in Germania (e membro della Conferenza) Nurhan Sokyan, «ha smosso la coscienza di molti, anche tra i musulmani. Io stessa sono diventata più consapevole del fatto che, come parte della Germania, abbiamo il dovere di impegnarci».
E così, i 30 delegati — metà di nomina governativa, metà scelti tra le varie associazioni presenti sul territorio o tra i «liberi battitori» dell’islam tedesco, sia laico che religioso — proseguono nel loro faticoso cammino verso l’integrazione: la formazione di imam e insegnanti entro i confini tedeschi, la costruzione (e il controllo) delle moschee, gli spazi per le sepolture… «Perché il problema vero — conclude Barbagli — non è l’islam, ma appunto il modello di integrazione. Il rischio è che si ripeta quanto accaduto a Parigi nel 2005, con la rivolta delle banlieue s: giovani con la nazionalità francese, stessi diritti (sulla carta) dei loro coetanei, in realtà bloccati dal punto di vista della mobilità sociale. Ecco, questo potrebbe accadere ancora, anche nella stessa Germania. Ma le differenze religiose, qui, non c’entrano più».
" Ci sono anche i laici. Ma contano poco "
Tariq Ali
BERLINO – L’imminente deflagrazione di una «bomba demografica musulmana » non sembra preoccupare Tariq Ali. «Molti libri sono stati pubblicati su questo tema, soprattutto dopo l’11 settembre. Il concetto base, per quanto mi riguarda, è: so what?, e allora?». Nato a Lahore nel 1943, «musulmano-non musulmano » per sua stessa definizione, una laurea a Oxford e una carriera divisa tra saggistica e giornalismo, Ali è tra le voci più ascoltate della sinistra intellettuale britannica; le sue opere, tra cui Lo scontro dei fondamentalismi (Rizzoli), sono ormai dei classici.
Quindi, quel 20% di europei musulmani previsto per il 2050 non la preoccupa.
«Tanto per cominciare, che cosa intendiamo per musulmani? Il 90% dei miei amici, nel mondo musulmano, non è credente, ma 'culturalmente islamico'. Certo, le seconde generazioni in Europa stanno riscoprendo le proprie tradizioni, anche in senso religioso. Ma questo meccanismo storicamente si applica a molti tipi di migrazione; negli Stati Uniti la questione dell’identità è sempre stata molto importante. In Europa stiamo osservando lo stesso sviluppo. Tra l’altro, l’immigrazione primaria si è virtualmente fermata: ora prevalgono gli spostamenti dai Paesi dell’Est, il fenomeno è radicalmente cambiato rispetto agli Anni 50-60».
In Germania, in effetti, la presenza di una forte comunità turca data ormai al secondo dopoguerra.
«Appunto, e allora nessuno parlava di scontro di civiltà, perché il nemico condiviso era un altro: il comunismo. Questo è un continente sul quale le comunità religiose hanno sempre convissuto: in Spagna prima del 15˚ secolo, in Sicilia… La differenza è che oggi l’islam è un obiettivo facile. C’è stato, appunto, l’11 settembre. Ma pensare che tutti i musulmani siano terroristi è un po’ come sostenere che tutti gli ebrei fossero bolscevichi (ride). Le similitudini sono molte: i vestiti buffi, la dieta, il rifiuto di integrarsi… Una minoranza, di cui si paventa il diventare maggioranza. Porre l’accento sullo scontro di civiltà serve solo a creare panico, incoraggiare l’odio, far credere che sia molto strano, oggi, essere musulmani».
Il fondamentalismo islamico, però, è un pericolo da non sottovalutare, non crede?
«Questi gruppi ci sono, nessuno lo nega. È un fenomeno correlato al vuoto che la società globale ha lasciato nelle vite di molti. E, per quanto riguarda il mondo islamico, intensificato dallo scontro tra Oriente e Occidente, l’occupazione dell’Iraq, il numero crescente di morti in Afghanistan. Non è uno scontro tra due culture, alla radice c’è altro. In primo luogo, la priorità data dall’Occidente alla guerra ».
In molti Paesi europei si cerca il dialogo con il cosiddetto «islam ufficiale». Può essere una via d’uscita?
«Sono contrario alle cosiddette conferenze islamiche: i governi offrono sostegno ai gruppi religiosi ufficiali, perché li aiutino nella lotta al fondamentalismo. Ma così i laici sono tagliati fuori dal dialogo. Inoltre, credo che debba esserci una separazione netta tra Stato e comunità religiose. La via d’uscita è una legge comune per ogni cittadino europeo, a prescindere da Paese di origine, cultura, credo. Ma per arrivare a questo, anche la Chiesa deve fare un passo indietro. Dalla gestione della scuola, della vita pubblica. Altrimenti, come possiamo pretendere dai musulmani che non avanzino rivendicazioni analoghe?».
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