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La Stampa Rassegna Stampa
12.08.2009 Circa trecento nazisti vivono alla luce del sole negli Stati Uniti
La denuncia del Simon Wiesenthal Center

Testata: La Stampa
Data: 12 agosto 2009
Pagina: 9
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Trecento aguzzini nascosti negli Usa»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/08/2009, a pag. 9, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Trecento aguzzini nascosti negli Usa " e, a pag. 8, l'articolo di Fulvio Milone dal titolo " Il boia di Falzano paga 65 anni dopo ". Ecco gli articoli:

Francesco Semprini : " Trecento aguzzini nascosti negli Usa "

 Efraim Zuroff, Simon Wiesenthal Center

Circa trecento nazisti vivono alla luce del sole negli Stati Uniti. La denuncia arriva dal Simon Wiesenthal Center, la principale organizzazione al mondo che si occupa della caccia agli ex gerarchi e appartenenti alle formazioni del regime di Adolf Hitler. «Non abbiamo tempo da perdere - spiega Efraim Zuroff - Dobbiamo portarli dinanzi alla Giustizia prima che siano troppo vecchi o troppo malati per affrontare un processo». Secondo Zuroff, infatti, ci sono ancora molti nazisti che vivono e lavorano negli Stati Uniti come persone normali e hanno vicini o amici che sono del tutto all’oscuro del loro passato. Tra questi il centro Wiesenthal ne cita alcuni in un articolo pubblicato dal New York Post.
Johann Leprich, operaio in pensione del Michigan considerato una guardia del campo di concentramento di Mauthausen, «dove i detenuti venivano usati come schiavi in una cava per poi essere torturati e uccisi con il gas o le scariche elettriche», scrive il quotidiano newyorkese. C’è poi Mykola Wasylyk di Ellenville, nello Stato di New York, che gestisce un piccolo centro turistico nella località di Catskill. «Era una guardia nel campo di lavoro di Trawniki, in Polonia: in una lettera del 2002 al ministro della Giustizia americano aveva dichiarato di essere stato costretto a prestare servizio per il regime nazista e che dopo quell’esperienza ha dimostrato di essere un cittadino modello per gli ultimi 54 anni». Nel Queens, uno dei cinque quartieri della City vive invece Jakiw Palij, anche lui guardia di Trawniki: «Sembra che aiutò alcuni prigionieri a fuggire prima che 6 mila di loro fossero fucilati nel più grande singolo massacro dell’Olocausto».
In molti casi gli ex affiliati del regime hitleriano si sono creati una nuova vita nascondendo anche alle persone più care il loro passato. E’ il caso di Elfriede Rinkel, da anni residente a San Francisco. In Germania era una guardia del campo di concentramento di Ravensbrück dove erano recluse solo donne costrette a lavorare forzatamente e spesso torturate con i cani.
Il numero di nazisti scappati negli Stati Uniti non è noto con precisione: le stime vanno da alcune centinaia ad alcune migliaia. Dal 1979 ne sono stati denunciati 107 e circa 60 sono stati deportati. In corso ci sono undici procedimenti aperti dalle autorità americane nei confronti di presunti nazisti mentre altre trenta persone sono sotto indagine. Ma i procedimenti possono durare anche molti anni e per questo secondo il centro Wiesenthal il rischio è che sia troppo tardi per processarli a causa dell’età avanzata di quasi tutti i ricercati.
Nel caso di Demjanjuk, ad esempio, ci sono voluti quasi due decenni per ottenerne l’estradizione e l’incriminazione. Nel 1981 fu privato della cittadinanza americana dopo che gli investigatori lo avevano identificato come l’«Ivan il terribile» del campo di Treblinka. Fu condannato a morte in Israele ma la Corte Suprema archiviò il caso spiegando che era la persona sbagliata. Nel 1999 è stato aperto un nuovo procedimento nel quale è stato accusato di essere la guardia di un altro campo, e solo a maggio è stato deportato in Germania. «Questi sono gli ultimi casi importanti», dice Eli Rosenbaum, direttore dell’Office of Special Investigations, del dipartimento di Giustizia americano, quello che si occupa della caccia ai nazisti e ai responsabili di crimini contro i diritti umani. Il ministero riesce nella gran parte dei casi a incastrarli incriminandoli per violazioni delle leggi sull’immigrazione, ovvero per aver dichiarato il falso al loro ingresso nel Paese.

Fulvio Milone : "  Il boia di Falzano paga 65 anni dopo "

 Josef Scheungraber

Distrussero tutto ciò che trovarono lungo la loro marcia. Bruciarono case, uccisero i contadini: quattordici in tutto, undici dei quali rinchiusi in una stalla fatta saltare con l’esplosivo. Era il 26 giugno del ‘44 quando le truppe tedesche in rotta si abbandonarono all’ennesima rappresaglia dopo un attacco dei partigiani in Toscana: alla morte di due soldati risposero con il massacro di Falzano di Cortona, un paesino in provincia di Arezzo. Ieri, a 65 anni dall’eccidio, un tribunale tedesco ha reso giustizia alle vittime, condannando all’ergastolo un uomo malfermo sulle gambe, con problemi di udito e una criniera di capelli bianchi, ma ancora estremamente lucido: Josef Scheungraber, 91 anni, ex tenente dei «Gebirgspionier», truppe di montagna della Wehrmacht, e dopo la guerra stimato imprenditore e per lungo tempo consigliere comunale a Ottobrunn, la sua città natale.
Il boia di Falzano aveva già una condanna sulle spalle pronunciata dal tribunale della Spezia il 28 settembre del 2006. Anche in quell’occasione i giudici si erano pronunciati per il carcere a vita per lui e per un altro imputato, Herbert Stommel. Nessuno dei due, però, è stato estradato in Italia per scontare la pena: Stommel, nel frattempo, è morto; per Scheungraber, la Germania si era pronunciata per il no dopo l’opposizione dell’imputato nei confronti del quale, peraltro, l’autorità giudiziaria tedesca aveva aperto un fascicolo per gli stessi reati.
Dunque, questa volta giustizia è stata fatta, al contrario di quanto è accaduto per un altro brutto capitolo della storia dei crimini di guerra compiuti dai tedeschi. Si tratta dell’eccidio di Cefalonia: 2.300 soldati italiani della Divisione Acqui sterminati per avere scelto di combattere contro i tedeschi dopo l’Armistizio. Il processo non si concluderà mai per la morte, avvenuta 4 giorni fa, dell’unico imputato, Otmar Muhlhauser. Nei suoi confronti, la giustizia tedesca era stata molto indulgente. Dopo averlo messo sotto inchiesta, aveva archiviato le accuse con una motivazione sconcertante: l’ex ufficiale della Wehrmacht andava prosciolto perchè i militari italiani di stanza nell’isola greca, che in realtà si erano arresi dopo una battaglia durata giorni, andavano equiparati a «truppe tedesche che avevano disertato e si erano schierate con il nemico».
Nel caso dell’eccidio di Falzano, però, le vittime erano civili e inermi. L’8 ottobre dell’anno scorso, alla seconda udienza del processo contro Scheungraber, si presentò davanti ai giudici tedeschi un testimone-chiave: Gino Massetti, 79 anni, l’unico superstite della strage. Nel ‘44 aveva solo 15 anni. Dopo la battaglia contro i partigiani che avevano ucciso due soldati della Wehrmacht, i tedeschi marciarono su Falzano. Ammazzarono quattro civili e ne radunarono altre undici nella stalla che di lì a poco avrebbero fatto saltare in aria. E fra gli undici c’era Gino Massetti. «L’esplosione - raccontò il testimone - provocò un violento spostamento d’aria che mi gettò sopra due cadaveri. Ricordo che rimasi incastrato fra i morti e una trave venuta giù dal soffitto. Ero rannicchiato e con il corpo che bruciava per le ustioni, ma vivo».
Il ragazzo rimase abbracciato ai cadaveri per sei ore, prima che qualcuno udisse le sue grida: «Fui salvato da una donna che aveva sentito i gemiti: pensava fosse il suo cane che aveva perduto, invece ero io». Ma Massetti non fu l’unico testimone a inchiodare l’imputato che si è sempre proclamato innocente. Determinante è stata anche la deposizione di un dipendente dell’impresa di cui l’ex tenente è stato titolare per molti anni dopo la guerra. «In più di un’occasione - raccontò ai giudici - Scheungraber si è vantato dell’uccisione dei civili a Falzano».
«Vorrei tanto chiudere questo capitolo della mia vita», disse Massetti ai giudici. E, con la sentenza di ieri, ha trovato giustizia come i venti familiari delle vittime che si sono costituiti parte civile al processo, e che in attesa della sentenza hanno sostato muti davanti al tribunale mostrando i cartelli con i nomi dei loro cari massacrati 65 anni fa. Con loro c’era anche il sindaco di Cortona, Andrea Vignini: «Dopo più di mezzo secolo è giunto il momento della verità e della giustizia - ha detto -. Sono qui per onorare i morti ma anche i vivi che hanno atteso tanto a lungo questa sentenza. Ed è significativo che la condanna contro il responsabile della strage sia stata pronunciata dal tribunale di Monaco di Baviera, proprio la città dove è nato il nazismo».[

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