In Iraq i terroristi sfruttano la non - strategia di Obama Washington trascura Baghdad
Testata: Il Foglio Data: 11 agosto 2009 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «In Iraq i terroristi sfruttano la non - strategia di Obama»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/08/2009, in prima pagina, l'articolo dal titolo " In Iraq i terroristi sfruttano la non - strategia di Obama ".
Christopher Hill, ambasciatore americano a Baghdad
Baghdad. Come l’Amministrazione Bush, anche l’Amministrazione Obama in Iraq si è trovata di fronte al dilemma: manovrare pensando a soddisfare l’opinione pubblica americana o con la mente al nemico? Obama ha scelto la prima opzione e ha reso pubblico il calendario del ritiro, che scandisce il ritorno dei soldati negli Stati Uniti – anche se non come promesso in campagna elettorale, “una brigata in meno al mese”. Lo scorso 30 giugno, come da accordi con il governo iracheno, i soldati americani si sono ritirati dalle città per sistemarsi in basi esterne. Le condizioni di sicurezza stanno però degradando velocemente. Ieri mattina due camion bomba hanno attaccato una moschea a Khazna, nord di Mosul, uccidendo almeno trenta fedeli. Khazna è abitata da fedeli di confessione shabak, un culto sciita non completamente assimilato all’islam e quindi provocazione naturale per gli estremisti sunniti. Altre due bombe sono esplose a Baghdad, contro muratori a chiamata giornaliera che si stavano radunando in due diverse piazze in zone sciite: sedici morti. La settimana scorsa un camion bomba contro un’altra moschea sciita di Mosul ha fatto 38 morti. Le cellule di terroristi dormienti, scivolate sotto il pelo dell’acqua durante i giorni della campagna americana 2007-2008, hanno studiato anche loro il calendario pubblico del ritiro e ora riemergono per colpire. Sono aiutate dall’insoddisfazione dei sunniti. Il premier iracheno Nouri al Maliki non ha rispettato i patti per la riconciliazione nazionale, non li sta integrando nei lavori di stato come promesso – in Iraq più che altrove i posti statali sono gli unici apprezzati – e sta sfidando il loro malcontento. E finora la Casa Bianca non è riuscita a fare pressioni sul primo ministro, anche perché dà la netta impressione di non curarsi più dell’Iraq a favore dell’Afghanistan. Dopo due mesi di buco, a marzo Washington ha mandato un ambasciatore specializzato in Corea del nord, Christopher Hill. Che però è stato criticato sui giornali americani come “inadatto” al ruolo. Per esempio, Hill tende ad agire troppo senza consultarsi. “Quegli stronzi non sanno negoziare”, confidava agli amici quando si occupava di Pyongyang a proposito degli uomini alla Casa Bianca, “il mio approccio invece è chiaro a chiunque abbia soltanto mai comprato un po’ di verdura in un mercato coreano”. Ma la Corea del nord non aveva armi nucleari quando Hill prese l’incarico e nel 2006 invece, dopo nebulosi negoziati a sei, ha fatto il suo primo test nucleare. Il dipartimento di stato americano – Hillary Clinton – non voleva Hill a Baghdad, ma lui è arrivato lo stesso grazie all’influenza nello Studio ovale del suo sponsor, Richard Holbrooke, inviato speciale di Obama per Pakistan e Afghanistan. Come se non bastasse, le decisioni sull’Iraq arrivano anche dal dipartimento della Difesa e dal suo capo, Robert Gates, oltre che dalle agenzie di intelligence. Non c’è più il perfetto lavoro in tandem tra civili e militari inaugurato nel 2007 dal generale David Petraeus e dall’ambasciatore Ryan Crocker (che parlava un ottimo arabo), così affiatati che una volta a settimana correvano i dieci chilometri dentro la Zona Verde nel centro di Baghdad per sfogare la comune passione per il fondo.
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