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Il Manifesto Rassegna Stampa
11.08.2009 Gli arabi non sono interessati alla pace con Israele
E' ciò che traspare dalle parole di Abu Mazen. Ma qualcuno vede la situazione al contrario

Testata: Il Manifesto
Data: 11 agosto 2009
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Fatah: svolta mancata, agonia del movimento fondato da Arafat»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 11/08/2009, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Fatah: svolta mancata, agonia del movimento fondato da Arafat ".

Come ha dichiarato Avigdor Lieberman : " Le posizioni estremiste di Fatah nelle questioni di Gerusalemme, sul diritto al ritorno e gli insediamenti, stanno creando una frattura che sarà difficile ricomporre".
La risposta di Yariv Oppenheimer, direttire di "Peace Now" ha dell'incredibile: " 
«I palestinesi non erano sul punto di entrare nella Organizzazione mondiale sionista o di allearsi con lo Stato di Israele», ha affermato. Secondo Oppenheime la bozza di risoluzione finale del Congresso di Fatah «conferma la volontà palestinese di arrivare ad un accordo di pace con lo Stato ebraico ".
Nessuno ha mai pensato che, per raggiungere la pace, gli arabi dovessero allearsi allo Stato di Israele. Le richieste avanzate da Netanyahu riguardavano il riconoscimento di Israele come Stato ebraico e la fine del terrorismo (non resistenza!) contro Israele.
Le dichiarazioni di Abu Mazen sono in netto contrasto con questi due punti, quindi non è ben chiaro in base a quali elementi Oppenheimer possa vederle come una conferma della "
volontà palestinese di arrivare ad un accordo di pace con lo Stato ebraico ". Sostenere, come fa Michele Giorgio nel suo articolo, che Israele stia sfruttando a proprio vantaggio la linea dura di Abu Mazen è scorretto. L'obiettivo di Israele è raggiungere la pace con gli arabi. Le dichiarazioni di Abu Mazen, invece, lasciano intendere che agli arabi non interessa la stessa cosa. Ecco l'articolo:

 Yariv Oppenheimer

Erano ancora in corso ieri sera le operazioni di voto degli oltre 2.000 delegati al Congresso di Fatah, riunito ormai da una settimana a Betlemme, chiamati ad eleggere i membri del Comitato centrale e del Consiglio rivoluzionario. I risultati saranno resi noti tra oggi e domanima dalle votazioni usciranno cambiamenti limitati. Il Congresso atteso per venti anni non ha prodotto la svolta auspicata damolti finendo addirittura per aggravare l’agonia di un movimento politico rimasto per decenni alla guida del popolo palestinese prima di essere scavalcato scavalcato da Hamas alle legislative del 2006. Chi, tra i palestinesi, aveva sperato nel rinnovamento di Fatah prima delle prossime elezioni politiche, che dovrebbero tenersi all’inizio del 2010, ha ora compreso che la vecchia guardia al potere è stata in grado di impedire il rinnovamento e ha concesso solo qualche cambiamento cosmetico. Non sarà l’ingresso,molto probabile, del popolare «comandante dell’Intifada» Marwan Barghuti (in carcere in Israele) nel Comitato centrale (che resta nelle mani del presidente Abu Mazen e dei suoi più stretti alleati) a rilanciare Fatah in vista delle sfide future. Non bastano a convincere l’opinione pubblica palestinese, molto scettica, i toni militanti nei confronti di Israele usati durante il dibattito. «Il Congresso aveva un solo vero scopo, rafforzare Abu Mazen e mettere fine alle polemiche interne sulla legittimità della sua leadership», ha spiegato al manifesto l’analista Mouin Rabbani. «Ora Abu Mazen - ha aggiunto - si sente più forte e pronto a partecipare all’iniziativa diplomatica che l’Amministrazione Obama dice di voler lanciare nei prossimi mesi. Fatah invece resta allo stesso punto, spaccato in più parti, incapace di rinnovarsi e dominato dalle stesse persone che lo hanno portato alla rovina ». I giovani, resteranno fuori dai giochi e non potranno fare a meno di notare che Hamas, al contrario, coinvolge ad ogni livello le nuove generazioni. Il Congresso non è servito, peraltro, a chiarire i tanti punti oscuri della gestione finanziaria di Fatah e a rendere noti gli investimenti fatti dal movimento nei Territori occupati e all’estero. Non sorprende perciò che persino il Financial Times, quotidiano che non può certo essere accusato di simpatie rivoluzionarie, abbia dedidato ieri almovimento guidato da Abu Mazen un editoriale dal titolo "L’agonia di Fatah". Da parte sua Israele cerca di sfruttare a suo vantaggio le concessioni che Abu Mazen ha fatto alle correnti più militanti inserendo nel programma di Fatah appelli alla proclamazione di Gerusalemme (Est) quale capitale del futuro Stato di Palestina o in sostegno al diritto al ritorno per i profughi e al ricorso alla «resistenza», anche armata, per liberare la terra occupata, nei limiti stabiliti dalla legge internazionale. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha accusato Fatah di «voler distruggere» le speranze di arrivare ad un accordo di pace. «Le posizioni estremiste (di Fatah) nelle questioni di Gerusalemme, sul diritto al ritorno e gli insediamenti (colonici) ebraici, stanno creando una frattura che sarà difficile ricomporre », ha affermato ieri Lieberman durante un incontro con 29 parlamentari statunitensi. Parole sulle quali ha ironizzato Yariv Oppenheimer, il direttire dell’organizzazione pacifista "Peace Now". «I palestinesi non erano sul punto di entrare nella Organizzazione mondiale sionista o di allearsi con lo Stato di Israele», ha affermato. Secondo Oppenheime la bozza di risoluzione finale del Congresso di Fatah «conferma la volontà palestinese di arrivare ad un accordo di pace con lo Stato ebraico.

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