Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/08/2009, a pag. 15, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia " e la sua intervista a Qaddura Fares, candidato al Comitato Centrale del Fatah, dal titolo " Solidarietà con la gente, basta vivere da principi ". Ecco gli articoli:
" Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia "

Abu Mazen come Arafat
BETLEMME — I settantenni con i completi scuri e la kefiah al collo fumano il sigaro e dibattono in una sala chiusa alla stampa. Alcuni sono in Cisgiordania per la prima volta dopo decenni d’esilio. Le Mercedes scintillanti stanno parcheggiate fuori nell’assolata Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Oltre 2.000 delegati del partito storico della causa palestinese, fondato da Arafat e guidato oggi dal presidente dell’Anp Abu Mazen, si sono riuniti a congresso per la prima volta in 20 anni — la prima in assoluto nei Territori Occupati — per rinnovare gli organi direttivi: il Comitato centrale (18 membri eletti su 23) e il Consiglio rivoluzionario (80 su 130). Il Financial Times impietoso li definisce «una gonfia gerontocrazia »: guidati dall’ego, per niente interessati a lavorare per costruire uno Stato. Fumano e approvano una risoluzione che condanna Israele per la morte di Arafat. Fumano e litigano su come far votare 300 delegati cui Hamas non ha permesso di lasciare Gaza (responso: via email). I giorni passano. Dovevano essere 3, diventano 8. I risultati del voto sono previsti oggi.
Il mantra del Congresso: rinnovamento e unità. Per sfuggire alle ombre di corruzione, alla frammentazione interna e alla concorrenza di Hamas, che ha vinto le elezioni del 2006.
Ma è possibile cambiare? La speranza c’è, ma pure il timore che poche nuove facce con poche nuove idee si impongano. I candidati al Comitato centrale sono ben 96 (8 dei membri attuali si sono ricandidati), quelli per il Consiglio rivoluzionario oltre 600. Una «nuova guardia» finora non rappresentata negli organi direttivi cerca di emergere. «Sono i quarantenni che vengono dalla Cisgiordania e da Gaza — spiega Khalil Shikaki, direttore del Centro palestinese per la ricerca su politica e sondaggi di Ramallah —. Hanno guidato la prima Intifada, ricevuto legittimità dal basso e passato anni nelle carceri israeliane». Potrebbero rivelarsi più radicali: «Se i negoziati falliscono, potrebbero portare il movimento nella direzione militante. Di certo vogliono un Fatah più democratico e pulito». Occhi puntati su Marwan Barghouti, tribuno della seconda intifada, detenuto in un carcere israeliano. Ma Satter Kassem, docente di scienze politiche all’università di An Najah di Nablus, non crede che la «nuova guardia» cambierà alcunché. Tra loro ci sono l’ex capo dei servizi di sicurezza in Cisgiordania Jibril Rajub e il controverso ex uomo forte di Fatah a Gaza Mohammad Dahlan. «Ci sono solo diversi centri di potere nella nuova come nella vecchia guardia. Alla fine cambieranno due o tre facce nel Comitato Centrale e la maggioranza resteranno seguaci di Abu Mazen, senza mutamenti nello stile politico». I «giovani» hanno accusato i vecchi di barare comprando voti, introducendo delegati falsi. Shikaki dice che non è solo colpa della vecchia guardia. Mentre Barghouti è favorito, gli uomini del suo campo sono meno noti e i candidati «giovani» sono tanti, frammentano il voto. Chi arriverà al vertice, poi, non avendo una visione unitaria non saprà tener testa alla vecchia guardia.
Al congresso, il Fatah ha approvato una piattaforma che predica l’unità dei palestinesi ma ribadisce la condanna di Hamas, e rinnova l’impegno per uno Stato al fianco di quello israeliano con la precondizione del congelamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Rivendica «una soluzione equa» per i profughi e diritti su «Gerusalemme capitale», senza rinunciare a un richiamo alla «resistenza» se la diplomazia fallisse. Israele reagisce duramente: per alcuni esponenti del Likud del premier Netanyahu è «una dichiarazione di guerra». Per il ministro degli Esteri Lieberman scava un «fossato incolmabile ». Il ministro della Difesa Barak la definisce provocatoria pur riaffermando la necessità del negoziato. Gli esperti palestinesi osservano che non ci sono cambiamenti di sostanza rispetto a Oslo e che il Congresso non mirava a rinnovare i contenuti o, in fondo, la leadership, ma a unire il Fatah. Abu Mazen (unico candidato) è confermato quasi all’unanimità a capo del partito. Per il Financial Times «non è un leader credibile e rispettato da israeliani e palestinesi. Con il suo approccio conciliatorio non ha portato niente se non un’espansione dell’occupazione israeliana». Unità se non rinnovamento.
" Solidarietà con la gente, basta vivere da principi "
Qaddura Fares
BETLEMME — «È come eleggere il Papa». Sudato, il candidato al Comitato Centrale del Fatah Qaddura Fares fuma «Parliament Blue», una dopo l’altra. Ex presidente del Club dei prigionieri, è un barghoutiano, uno della «nuova guardia». «Ho 47 anni. Sono membro da quando ne avevo 31. È il mio primo congresso. Finora ci siamo sentiti ospiti nel Fatah. Continuano a spingerci fuori come intrusi».
Pensa di vincere?
«Sì, se non giocano sporco.
Ho voti da diversi settori. Ma il conteggio è stato rimandato, c’erano impiegati che facevano campagna nel seggio e 700 delegati apparsi dal nulla».
In che modo la nuova guardia è diversa dalla vecchia?
«Nel guidare il movimento e nel rapporto con la gente.
Hanno vissuto come prìncipi sotto l’occupazione. Noi vogliamo una nuova solidarietà nel Paese».
Sarete più favorevoli alla lotta armata?
«Siamo d’accordo col programma del Fatah.
Vogliamo liberare la Palestina, renderla uno Stato. Se lo si può fare baciando gli ebrei, li baceremo, oppure dialogheremo, manifesteremo e se dovremo combattere lo faremo, secondo la legge internazionale».
La nuova guardia è fatta di gruppi che lottano per il potere, Barghouti, Dahlan, Rajoub. Che cambiamento è?
«Alcuni hanno la stessa mentalità dei vecchi...
Dovremo costruire il cambiamento pian piano».
Con Abu Mazen a capo del partito?
«Ho votato per Abu Mazen. Se mi chiede se mi piace questa leadership, le dico di no. Ma siamo in una situazione interna complicata. Hamas cerca di smantellare la nostra legittimità. Israele usa la debolezza di Abu Mazen per non fare accordi con lui.
Vogliamo un Fatah forte. Così anche gli israeliani capiranno che è nel loro interesse un accordo con noi».
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