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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.08.2009 Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia
Cronaca e intervista di Viviana Mazza

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 agosto 2009
Pagina: 15
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia - Solidarietà con la gente, basta vivere da principi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/08/2009, a pag. 15, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia  " e la sua intervista a Qaddura Fares, candidato al Comitato Centrale del Fatah, dal titolo " Solidarietà con la gente, basta vivere da principi ". Ecco gli articoli:

" Congresso di Fatah, vince la vecchia guardia  "


Abu Mazen come Arafat

BETLEMME — I settantenni con i completi scuri e la kefiah al collo fumano il sigaro e dibatto­no in una sala chiusa alla stam­pa. Alcuni sono in Cisgiordania per la prima volta dopo decenni d’esilio. Le Mercedes scintillanti stanno parcheggiate fuori nell’as­solata Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Oltre 2.000 delegati del partito storico della causa pa­lestinese, fondato da Arafat e gui­dato oggi dal presidente dell’Anp Abu Mazen, si sono riuniti a con­gresso per la prima volta in 20 an­ni — la prima in assoluto nei Ter­ritori Occupati — per rinnovare gli organi direttivi: il Comitato centrale (18 membri eletti su 23) e il Consiglio rivoluzionario (80 su 130). Il Financial Times impie­toso li definisce «una gonfia ge­rontocrazia »: guidati dall’ego, per niente interessati a lavorare per costruire uno Stato. Fumano e approvano una risoluzione che condanna Israele per la morte di Arafat. Fumano e litigano su co­me far votare 300 delegati cui Ha­mas non ha permesso di lasciare Gaza (responso: via email). I gior­ni passano. Dovevano essere 3, diventano 8. I risultati del voto sono previsti oggi.
Il mantra del Congresso: rin­novamento e unità. Per sfug­gire alle ombre di corruzio­ne, alla frammentazione interna e alla concorren­za di Hamas, che ha vin­to le elezioni del 2006.
Ma è possibile cambia­re? La speranza c’è, ma pure il timore che po­che nuove facce con po­che nuove idee si im­pongano. I candidati al Comitato centrale sono ben 96 (8 dei membri attua­li si sono ricandidati), quelli per il Consiglio rivoluzionario oltre 600. Una «nuova guardia» fi­nora non rappresentata negli or­gani
direttivi cerca di emergere. «Sono i quarantenni che vengo­no dalla Cisgiordania e da Gaza — spiega Khalil Shikaki, diretto­re del Centro palestinese per la ri­cerca su politica e sondaggi di Ra­mallah —. Hanno guidato la pri­ma Intifada, ricevuto legittimità dal basso e passato anni nelle car­ceri israeliane». Potrebbero rive­larsi più radicali: «Se i negoziati falliscono, potrebbero portare il movimento nella direzione mili­tante. Di certo vogliono un Fatah più democratico e pulito». Occhi puntati su Marwan Barghouti, tribuno della seconda intifada, detenuto in un carcere israelia­no. Ma Satter Kassem, docente di scienze politiche all’università di An Najah di Nablus, non crede che la «nuova guardia» cambierà alcunché. Tra loro ci sono l’ex ca­po dei servizi di sicurezza in Ci­sgiordania Jibril Rajub e il contro­verso ex uomo forte di Fatah a Gaza Mohammad Dahlan. «Ci so­no solo diversi centri di potere nella nuova come nella vecchia guardia. Alla fine cambieranno due o tre facce nel Comitato Cen­trale e la maggioranza resteran­no seguaci di Abu Mazen, senza mutamenti nello stile politico». I «giovani» hanno accusato i vec­chi di barare comprando voti, in­troducendo delegati falsi. Shikaki dice che non è solo colpa della vecchia guardia. Mentre Barghouti è favorito, gli uomini del suo campo sono meno noti e i candidati «giovani» sono tanti, frammentano il voto. Chi arrive­rà al vertice, poi, non avendo una visione unitaria non saprà te­ner testa alla vecchia guardia.
Al congresso, il Fatah ha ap­provato una piattaforma che pre­dica l’unità dei palestinesi ma ri­badisce la condanna di Hamas, e rinnova l’impegno per uno Stato al fianco di quello israeliano con la precondizione del congela­mento degli insediamenti ebrai­ci in Cisgiordania e a Gerusa­lemme est. Rivendica «una solu­zione equa» per i profughi e dirit­ti su «Gerusalemme capitale», senza rinunciare a un richiamo alla «resistenza» se la diploma­zia fallisse. Israele reagisce dura­mente: per alcuni esponenti del Likud del premier Netanyahu è «una dichiarazione di guerra». Per il ministro degli Esteri Lie­berman scava un «fossato incol­mabile ». Il ministro della Difesa Barak la definisce provocatoria pur riaffermando la necessità del negoziato. Gli esperti palesti­nesi osservano che non ci sono cambiamenti di sostanza rispet­to a Oslo e che il Congresso non mirava a rinnovare i contenuti o, in fon­do, la leadership, ma a unire il Fatah. Abu Mazen (unico candi­dato) è confermato quasi all’unanimità a capo del partito. Per il
Financial Ti­mes «non è un lea­der credibile e ri­spettato da israe­liani e palestinesi. Con il suo approccio conciliato­rio non ha portato niente se non un’espansione dell’occupazione israeliana». Unità se non rinno­vamento.

" Solidarietà con la gente, basta vivere da principi "

 Qaddura Fares

BETLEMME — «È come eleggere il Papa». Sudato, il candidato al Comitato Centrale del Fatah Qaddura Fares fuma «Parliament Blue», una dopo l’altra. Ex presidente del Club dei prigionieri, è un barghoutiano, uno della «nuova guardia». «Ho 47 anni. Sono membro da quando ne avevo 31. È il mio primo congresso. Finora ci siamo sentiti ospiti nel Fatah. Continuano a spingerci fuori come intrusi».
Pensa di vincere?
«Sì, se non giocano sporco.
Ho voti da diversi settori. Ma il conteggio è stato rimandato, c’erano impiegati che facevano campagna nel seggio e 700 delegati apparsi dal nulla».
In che modo la nuova guardia è diversa dalla vecchia?
«Nel guidare il movimento e nel rapporto con la gente.
Hanno vissuto come prìncipi sotto l’occupazione. Noi vogliamo una nuova solidarietà nel Paese».
Sarete più favorevoli alla lotta armata?
«Siamo d’accordo col programma del Fatah.
Vogliamo liberare la Palestina, renderla uno Stato. Se lo si può fare baciando gli ebrei, li baceremo, oppure dialogheremo, manifesteremo e se dovremo combattere lo faremo, secondo la legge internazionale».
La nuova guardia è fatta di gruppi che lottano per il potere, Barghouti, Dahlan, Rajoub. Che cambiamento è?
«Alcuni hanno la stessa mentalità dei vecchi...
Dovremo costruire il cambiamento pian piano».
Con Abu Mazen a capo del partito?
«Ho votato per Abu Mazen. Se mi chiede se mi piace questa leadership, le dico di no. Ma siamo in una situazione interna complicata. Hamas cerca di smantellare la nostra legittimità. Israele usa la debolezza di Abu Mazen per non fare accordi con lui.
Vogliamo un Fatah forte. Così anche gli israeliani capiranno che è nel loro interesse un accordo con noi».

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