Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/08/2009, a pag. 13, due articoli di Guido Olimpio titolati " Pakistan, ucciso il leader dei talebani "e " Quel nuovo pattodegli 007 Usa con Islamabad ". Ecco gli articoli:
" Pakistan, ucciso il leader dei talebani "
Beitullah Mehsud
Beitullah Mehsud «voleva morire da martire». Lo hanno accontentato. Un aereo senza pilota della Cia lo avrebbe ucciso insieme ad una delle sue mogli e ad un fratello a Zanghra, nel Waziristan del sud (Pakistan), non lontano dal luogo dove era nato 35 anni fa. Una conferma ufficiale della sua morte non c’è. Fonti pachistani sono «abbastanza certe». Ambienti ribelli, invece, ammettono la dipartita del leader e sostengono che si sarebbe già svolto il funerale. Ma la risposta definitiva — forse — verrà dopo l’ispezione di alcuni emissari nella regione dove è avvenuto il raid.
Il temuto capo dei talebani pachistani, sulla cui testa gli americani avevano messo una taglia di 5 milioni di dollari, era nella casa del cognato insieme ad un nutrito gruppo di guardie del corpo. Sembra che avesse problemi ai reni e dunque aveva dovuto cercare l’assistenza di un medico. È stata questa emergenza a tradirlo? Possibile. Anche se erano in tanti a cercarlo. Gli agenti pachistani e quelli al servizio della Cia, decisi ad eliminare un personaggio diventato più pericoloso del fantasma di Osama e, di fatto, trasformatosi nel Nemico pubblico numero uno. Una fama meritata, ma anche esagerata, visto che lungo la frontiera afghano-pachistana non era certo il solo a creare problemi.
Alla testa di una vasta organizzazione con migliaia di mujaheddin, Mehsud è stato accusato di essere il mandante dell’omicidio di Benazir Bhutto, la ex premier del Pakistan, nel 2007. Un agguato accompagnato da attentati in serie — spesso affidati a uomini-bomba — e offensive militari nell’area tribale. Rispetto ad altri signori della guerra Beitullah non ha disdegnato di rilasciare interviste. Occasioni mediatiche per lanciare minacce, dichiarare fedeltà a Bin Laden e al mullah Omar, promettere attacchi anche oltre i confini regionali. Nel mondo dell’intelligence si era radicata la convinzione che Mehsud avrebbe — prima o poi — «radiocomandato » un’azione in qualche città occidentale. Un’indagine a Barcellona aveva fatto emergere qualche indizio in questo senso. Un modo per dimostrare la sua forza riconosciuta anche da altri esponenti ribelli che lo hanno considerato una sorta di coordinatore. Un’investitura che gli ha permesso di tenere testa ai governativi, con i quali aveva concluso una tregua poi saltata. Falliti i tentativi di tenerlo fuori dalla mischia, i pachistani hanno provato a dividere il suo schieramento ispirando rivolte e faide. Manovre sventate da Mehsud con l’uccisione di spie e rivali. Se la sua morte sarà confermata si tratterà di indubbio successo. Ma, come avvertono gli stessi uomini dell’intelligence, di breve durata. I talebani sono già riuniti per decidere il successore. Quattro i candidati: i suoi cugini Hakeemullah Mehsud e Qari Hussein, Hafiz Bahadar del Nord Waziristan, Waliur Rahman. Per ora sono solo dei nomi. Domani potrebbero diventare simbolo di morte.
" Quel nuovo patto degli 007 Usa con Islamabad "
Un reaper MQ-9 armato
A Shamsi, a Sud Ovest di Quetta, in Pakistan, c’è una vecchia base che una volta ospitava i jet degli sceicchi. I signori del Golfo venivano per divertirsi con la caccia al falcone. Oggi dalla pista si levano in volo altri predatori, in metallo. Al posto degli artigli hanno missili Hellfire e sistemi ottici sofisticati. I loro padroni sono gli agenti Cia che li pilotano via satellite da Molesworth, Gran Bretagna. Al loro fianco i sempre validi U 2, gli aerei spia della Guerra Fredda. Una piccola flotta di velivoli che fino a giugno ha già compiuto tra Afghanistan e Pakistan 8400 sortite di ricognizione.
Dopo anni di diffidenza, americani e pachistani hanno migliorato la collaborazione. Se i capi talebani e qaedisti — come Mehsud — cadono «fulminati» dai raid il merito è di un’intelligence migliore. Che mette insieme l’high tech dei droni e il lavoro, pericoloso, delle spie infiltrate nei villaggi. A partire dalla primavera, il Pentagono — e la Cia — hanno fornito al Pakistan video, immagini satellitari e informazioni importanti. Un flusso continuo finito a Torkham Gate, un centro di coordinamento vicino al confine con l’Afghanistan. E l’Isi — o meglio, la parte dell’intelligence fedele al governo di Islamabad — ha restituito il favore attivando i suoi informatori. Un cambio di rotta dettato dalla necessità. Mehsud e gli altri talebani locali, d’intesa con Al Qaeda, hanno usato i kamikaze per ferire il Pakistan. E più i droni colpivano, più si faceva insolente e sanguinosa la sfida terroristica.
All’inizio di giugno, da Washington, sono trapelate informazioni su una nuova lista di obiettivi per i Predator e i Reaper: oltre a inseguire i «colonnelli» di Bin Laden, i velivoli senza pilota ha puntato i loro mirini sugli insorti pachistani, a partire da Beithullah Mehsud.
In grado di restare anche 30 ore su una zona di operazioni si sono tramutati in un incubo per gli estremisti. E negli sparuti centri abitati delle aree tribali hanno lavorato sodo le spie. Gente del posto, membri di clan rivali. I risultati non sono mancati. Lo rivela l’alto numero di militanti uccisi ma anche il panico degli insorti, che hanno iniziato «a vedere» traditori dietro ogni angolo. E a temere le piccole «cimici» che guidano i missili. Al Pentagono si augurano che a Islamabad non cambi idea: i pachistani hanno chiesto di avere i loro Predator ma Washington, per ora, non si fida a trasferire un’arma così delicata ad un alleato instabile.
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