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La strage di Bologna e la 'pista palestinese' 07/08/2009

Nella teoria del processo, una "pista" o un indizio possono costituire valido materiale istruttorio se il contesto giudiziario nel quale si iscrivono riceve dalla loro istruzione probatoria un impulso in senso decisorio. La pista palestinese per la strage di Bologna venne esaminata in relazione alla presenza in Italia di un folto gruppo palestinese facente capo alla organizzazione di George Habbas e dislocato in varie situazioni o iniziative organizzate in Italia: per esempio, individui aderenti al guppo di Habbas ebbero ospitalità  e finanziamento da parte dei festival dell'Unità  sia con affari di apparente editoria, che con affari di refezione all'interno degli spazi del festival, ma soprattutto furono questi spazi messi a disposizione dal P.C.I di allora che consentirono gli incontri fra i gruppi di Habbas e terroristi marxisti operanti in Italia nelle note organizzazioni, perchè il P.C.I. non ospitava solo bancarelle con venditori di Habbas, ma anche stands con ex terroristi. Non ci si faccia meraviglia, perchè oggi non è il PCI ma il ministero della cultura che ha finanziato il progetto "Il sol dell'avvenire" col quale gli ex brigatisti del nucleo storico di Reggio Emilia hanno potuto narrare in film e saggi editoriale la loro "eroica" stagione e presentarla col solito sofisma di sempre come la "continuazione della lotta partigiana" in spregio ai combattenti partigiani autentici che affrontarono le waffen-SS nella lotta partigiana dell'alta Italia, lasciando caduti sul campo. Questa fu la autentica lotta partigiana: quella dei brigatisti sponsorizzati dal ministero fu tale da un solo punto di vista: quello islamico, per il quale la lotta contro classi dirigenti politiche non ostili a Israele andava comunque bene e per questo fu di fatto appoggiata, con occasioni di incontro - come ho detto prima - negli spazi "culturali" del festival del'Unità. In questo senso conferisce anche la tesi che l'intercettazione da parte della polizia italiana di missili in transito in Italia e destinati all'OLP - i missili di Ortona, un incidente politico internazionale risolto da Craxi con l'abituale collusione con l'islam- possa avere determinato una risposta terroristica in stile tipicamente Jhiad e cioè con l'attentato ad effetto dimostrativo e per strage e non ad effetto mirato, come eseguirono nella loro stagione le brigate rosse. Questo paradigma, tuttavia, non spiega la strage di Bologna che resta quindi un affare di malagiustizia non tanto perchè siano stati condannati degli innocenti, fatto da dimostrare, quanto perchè le prove per la condanna non c'erano. Una sentenza è atroce non solo quando condanna un innocente, ma anche quando condanna senza prove. La strage di Bologna chiude la stagione terroristica neofascista italiana, iniziata con la serie di attentati del 12 dicembre 1969 a piazza Fontana e altrove a Milano e Roma. L'evento iterativo di questa situazione di caos nazionale è il tentativo di golpe del principe nero Borghese del 7 dicembre 1970: la teorizzazione di questi mezzi terroristici come necessari per la preparazione della svolta fascista avvenne in quegli anni da parte di esponenti, tutti di formazione giuridica, che hanno un elemento costante di appartenenza: Ordine Nuovo. Tanto che la Procura di Brescia ha incriminato per la connessa strage di piazza della Loggia lo stato maggiore di Ordine Nuovo. Il carattere criptico, iniziatico e settario di questo fenomeno terroristico neofascista (O.N.) ne rende oggi difficile - e pericolosa - l'analisi giudiziaria e politica. Tuttavia è assai probabile che lo sviluppo istruttorio dibattimentale del processo di Brescia, se non fiaccato da questioni procedurali e dal beneficio mnemonico e prescrizionale del tempo, possa isolare frammenti istruttori sufficienti a istituire elementi di connessione fra le due stragi fondati sulla identità  dei protagonisti della teoria eversiva del tempo. Esiste in Italia un numero di persone inferiore alla diecina che sono a conoscenza di questi nessi e la loro testimonianza risolverebbe per sempre l'enigma della comune radice ideologica neofascista delle stragi in Italia. Queste persone non parlano e non parleranno mai e non tanto per timore di ritorsioni terroristiche, quanto perchè i nomi che verrebbero fatti in dibattimento non sarebbero creduti e li metterebbe nei guai non con i terroristi, ma con la giustizia. Noi apparteniamo ad un sistema giudiziario che è insuffcientemente consapevole della natura littoria fascista e romana dei riti che celebra e dello ius che impone e può, in certe situazioni, far apologia del fascista e disprezzo dell'antifascista, motivandone in sentenza l'apologia nel nome del mito di Roma, cioè scambiando un dirigente fascista per un proconsole romano. La struttura paranoide di personalità non è stata spiegata su basi biologiche o cliniche: è stata spiegata su basi giuridiche (Siegel, Palermo, Schatzmann e in particolare Declan Murphy) autori che hanno dimostrato che l'analisi della forma mentis giuridica romana (e quindi fascista) spiega la paranoia come variante psichiatrica della mentalità  fascista in fase critica. Cioè nella fase in cui, come nel processo, si tratta di dire la Verità , dimensione che ripugna al fascista atal punto da farlo impazzire, secondo modalità  paranoidi et non aliter. Ne ha fatto di guai questo bifolco romano che si è dato una cultura di norma per giustifcare le sue rapine!

lettera firmata


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