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Ugo Volli
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A che serve indagare se si sa già chi è l'assassino? 07/08/2009

Cari amici, avete letto probabilmente oggi sui giornali o sulla rassegna di IC che il congresso di Al Fatah ha deciso all'unanimità che Israele ha la colpa dell'"assassinio" del "martire" Arafat e che di conseguenza la direzione del movimento dovrà istituire una "commissione di inchiesta". Faccio una domanda da stupido: ma a che serve indagare se si sa già  chi è l'assassino? Gli intelligenti risponderanno che la commissione che deve indagare sulla colpevolezza di Israele non deve indagare su quella di Abu Mazen, che era stato accusato da un tal Kaddumi, ex numero due del movimento e suo "ministro degli esteri" mai rientrato da Tunisi perché contrario agli accordi di Oslo, di complicità con il Mossad nell'"omicidio" del "Rais". Sarà. Resta il fatto che non il popolino per la strada, ma un'assemblea responsabile al massimo livello accusa il suo possibile interlocutore per la pace (Israele) di essere l'assassino del suo amatissimo leader, "santo subito" o almeno "martire" ad honorem. Non è esattamente un buon viatico per i colloqui di pace, no? Immaginate: "Cari assassini, diamoci la mano, non litighiamo più, mentre il nostro speciale comitato accerta come avete avvelenato il nostro eroe!" Ai miei orecchi suona improbabile, ma nel mondo arabo, chissà...
Quel che non avete letto sui giornali italiani è che lo stesso congresso ha stabilito "14 precondizioni 14" per tornare al tavolo delle trattative. Fra queste non solo l'accettazione dei due stati e il blocco di ogni attività edilizia negli insediamenti, ma anche la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi delle carceri israeliani, cioè sostanzialmente dei terroristi, anche di quelli colpevoli di omicidi sanguinosi. Questo è perfettamente coerente con l'accoglienza trionfale che l'assemblea ha tributato a Khaled Abu Usba, uno dei responsabili del peggior attacco terroristico mai subito da Israele, il cosiddetto "massacro della strada costiera" del '78, in cui furono uccisi 38 civili israeliani.
Ritorniamo alle condizioni. Se Hamas chiede per liberare Shalit 1000 terroristi prigionieri, Fatah li chiede "tutti", dieci o quindici volte tante, solo per il dubbio privilegio di sedere allo stesso tavolo con loro a parlare del rientro dei 3 o forse 6 milioni di "profughi". Anche qui val la pena di immaginare la discussione: "Adesso che abbiamo liberato i vostri macellai, diteci per favore: Quei poveri profughi (o figli, nipoti, cugini acquisiti) verranno in Israele in macchina o in aereo? Va bene accoglierli con la Marsigliese ("Allons enfants de la Patrie) o preferite del rap algerino? Niente champagne, immaginiamo, per rispetto all'Islam. Va bene la Coca Cola? E dove li sistemiamo, in attesa di buttar fuori gli israeliani usurpatori e distruggere le città sorte sui loro pacifici villaggi: al King David o al nuovo Hotel Mamilla?
Tutto questo naturalmente ha poco senso. Ma i casi sono due. O il congresso di Fatah è una cosa seria e possiamo dire addio ai colloqui di pace per il tempo necessario a convocare un altro congresso che cambi idea (l'ultima volta sono passati vent'anni), alla faccia di Eurabia e dell' "arabo che siede alla Casa Bianca", come suggerisce di chiamarlo Sandro Viola su "Repubblica". Oppure le delibere della massima istanza collettiva dentro il mondo palestinese sono carta straccia, la settimana prossima si va avanti come non detto. Ma allora, se una solenne mozione congressuale non vale la carta su cui è scritta, perché dal punto di vista palestinese dovrebbe valere di più un accordo di pace stretto con nemici storici e per lo più miscredenti? Perché dunque Israele dovrebbe credere alla firma di Abu Mazen su qualunque pezzo di carta?
E, in generale, vi sembra che questa gente qui, di nuovo, non il ragazzotto con la kefià e il fucile, non l'"estremista" di Hamas, ma la crema della crema dei notabili "moderati" di Al Fatah abbia molta voglia di fare la pace con qualcuno? Il perdente al solito, non è la maggioranza israeliana che si è rassegnata allo status quo come la meno peggiore della soluzione, né il governo che ha il difficile compito di amministrare questa situazione. Sono gli ideologi della "pace subito" in Israele e la "lingua d'oro" che siede alla Casa Bianca, arabo o meno che sia. Lui può dare tutti i termini che vuole per la trattativa di pace, mandare inviati a destra e a manca, scrivere lettere agli iraniani e baciare le mani ai sauditi, ma è evidente che le dinamiche dentro il mondo palestinese (tanto più radicale sei, almeno a parole, tanto più bravo) rendono oggi  impossibile anche la messa in scena di una trattativa, che piacerebbe tanto al suo elettorato. L'ironia è che l'estremismo palestinese di oggi è stato innescato dai suoi modi accomodanti, dalla sua flautata adulazione all'islam, dall'illusione che ha diffuso che ci penserà lui a piegare Israele e farlo arrendere.

Ugo Volli


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