Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/08/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo " La strana estate dei 'colpi di stato' nei regimi arabi e di Fatah "
Abu Mazen: " Psssss...non vedi che sto cercando di sembrare moderato? "
Gerusalemme. La strana estate dei nemici di Teheran comincia con un’indiscrezione riportata dall’iraniana Press Tv: “Fallito il tentato golpe del principe saudita”, annunciava domenica il canale all news in inglese della Repubblica islamica. Secondo quanto riportato dall’emittente iraniana, il principe Bandar bin Sultan sarebbe finito addirittura agli arresti domiciliari “per aver cospirato” contro re Abdullah. Gli inquirenti sauditi, “grazie alla collaborazione con le intelligence di altri paesi arabi”, avrebbero scoperto il ruolo attivo del principe della famiglia reale nel tentativo di corrompere circa duecento agenti dei servizi di sicurezza del regno per rovesciare il sovrano durante il suo viaggio dello scorso 28 luglio in Marocco. Che a Riad la posizione di Bandar – per anni ambasciatore a Washington e ricordato per la frequentazione con la famiglia Bush, tanto da essere considerato il “filomaericano” nel regime saudita – sia da tempo difficile è cosa nota. Già a marzo il britannico Independent aveva riportato voci, mai confermate, di un complotto che avrebbe avuto al centro, anche allora, l’irrequieto principe saudita, che avrebbe preso come un affronto personale la nomina a secondo successore al trono del principe Nayef Abdul Aziz (uno per nulla filoamericano). Ed è dalla scorsa primavera, dopo una fugace apparizione a Londra, che di Bandar bin Sultan non si hanno più notizie. Almeno fino a domenica. Su una cosa tutti concordano: Press Tv, il canale iraniano, ha tutto l’interesse a seminare disinformatija per discreditare i rivali, e pazienza se non ci sono riscontri oggettivi. Il mistero di Riyad fa il paio con quello del Qatar. Dalla fine di luglio la notizia di un tentato golpe nel piccolo emirato sul Golfo persico emerge, di tanto in tanto, sui media arabi. Ma è domenica scorsa – lo stesso giorno in cui viene annunciato l’arresto del principe ribelle Bandar in Arabia Saudita – che la voce si trasforma in notizia. Con tanto di nomi dei congiurati: in cima alla lista, addirittura il capo di stato maggiore Hamad bin Ali al Attiya, che però sarebbe tornato in patria da un recente viaggio in Iran con convinzioni diverse in politica estera. I giornali arabi, già a metà luglio, segnalavano la frattura nel governo dell’emirato. Da un lato l’emiro, interessato a mantenere il ruolo di alleato chiave di Washington nella regione, e semmai affascinato dall’idea di organizzare un Mondiale di calcio tutto al coperto entro il 2022. Dall’altro, oltre al presunto generale ribelle, persino una parte dell’entourage del primo ministro e ministro degli Esteri qatariota, Hamad bin Jasem al Thani. Un giornale giordano online, al Haqiqa al Douliya, ha raccontato qualche giorno fa di un forte ridimensionamento del principepremier, tanto che l’emiro Hamad bin Khalifah al Thani, avrebbe affidato al suo segretario personale, Saad al Rumayhi il doppio incarico di ministro dell’Interno e della Difesa. E poi c’è la Palestina. A dividere i delegati al sesto congresso di al Fatah, più dei richiami alla “resistenza” (ma senza “lotta armata”), è la gestione amministrativa del partito. Sui bilanci e le risorse a disposizione del movimento, ieri a Betlemme, s’è sfiorata la rissa: insomma, più delle idee, a contare sarebbero i soldi. Che è poi l’accusa mossa da sempre a Fatah dai rivali golpisti di Hamas. Su tutto, la linea ambigua tracciata da Abu Mazen, che dice di voler rilanciare il processo di pace con Israele, ma che poi si richiama al “diritto a resistere” del popolo palestinese. Ma anche l’ingombrante ospite d’onore del congresso: quel Khaled Abu Usba che nel ’78 partecipò al massacro di 35 israeliani su una superstrada a nord di Tel Aviv. A Betlemme, dove si litiga pure sulle spese per la carta, l’hanno accolto tutti senza distinzioni con un lungo applauso.
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