Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2009, a pag. 14, l'intervista di Irene Masliah a Ahmed Tibi, parlamentare arabo alla Knesset, dal titolo " La vecchia guardia di al - Fatah deve lasciare il potere " preceduto dal nostro commento. La STAMPA - Irene Masliah : " La vecchia guardia di al - Fatah deve lasciare il potere "
Ahmed Tibi dichiara, riferendosi a Fatah : " è necessario fare un esame di coscienza, correggere gli errori ". Prendere coscienza del fatto che non è Israele il responsabile della mancanza di uno Stato palestinese, che il terrorismo contro Israele c'è e va debellato per raggiungere la pace, che finora da parte araba sono arrivati solo rifiuti a qualunque proposta di pace. Questo sarebbe un esame di coscienza. Ma, come riportato dai quotidiani, Abu Mazen non ha fatto nulla di tutto ciò.
Ahmedi Tibi, invece, è convinto che quello di Abu Mazen : " è stato un discorso di autocritica, un discorso pungente. Ha ricordato le manifestazioni popolari di Bilin (un villaggio cisgiordano che da mesi lotta contro la Barriera di sicurezza, ndr), e quelle manifestazioni non significano violenza.". Le "manifestazioni popolari" di Bilin sono molto spesso violente. Tibi Hamed si legga i quotidiani.
Poi, Ahmed, esprime la sua opinione sui negoziati con Israele : "I popoli hanno il diritto di scrollarsi di dosso la occupazione. I negoziati sono un modo per farlo. La lotta è un altro modo. La resistenza è un altro modo ancora. Occorre sapere cosa fare, e quando ". A parte il fatto che non c'è alcuna occupazione, è incredibile come Tibi metta sullo stesso piano negoziati e lotta armata. Basta sapere quando usare un sistema o l'altro...
Quando Masliah gli fa notare che l'atmosfera del Congresso è stata di radicalizzazione, Tibi risponde : "Queste sono osservazioni giunte da certi mezzi di stampa israeliani, pungolati forse dall’ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu ". L'impressione non deriva dai quotidiani israeliani, ma dalle dichiarazioni di Abu Mazen, che non hanno lasciato spazio a nessun dubbio. Netanyahu non influenza i media a suo piacimento. Nelle democrazie, infatti, la libertà di parola è uno dei valori fondamentali.
" Gli arabi di Israele sono parte del popolo palestinese, anche se la nostra lotta principale è per la eguaglianza dei nostri diritti entro Israele ". Questa l'ultima dichiarazione di Tibi. In Israele, come in ogni democrazia, ogni cittadino gode degli stessi diritti di tutti gli altri. Agli arabi israeliani vivono in Israele, lavorano, stampano i loro giornali libermente, manifestano la propria opinione e hanno le loro rappresentanze in Parlamento. L'unica cosa che un arabo israeliano non può fare è il servizio militare. Tibi si riferisce forse a questo? Peccato che poi l'Anp scoraggi persino chi vuole fare il servizio civile previsto in sostituzione di quello militare. Ecco l'intervista:
Ahmed Tibi
Malgrado la sua età - 51 anni - Ahmed Tibi è uno dei parlamentari con maggiore esperienza alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme. E’ stato anche consigliere politico del presidente palestinese Yasser Arafat. Martedì si è recato a Betlemme, in Cisgiordania, per pronunciare un discorso politico ai delegati del Sesto Congresso di al-Fatah.
Qual è la importanza reale di questa assemblea?
«La sua stessa convocazione è uno sviluppo importante. Al-Fatah è il principale partito palestinese, che è alla base del movimento nazionale palestinese. Si è dovuto attendere vent’anni questo Congresso dopo quello precedente, per ragioni interne, anche per errori. Si sono accampate scuse per ottenere continui rinvii. La sua organizzazione proprio a Betlemme, nei Territori, rappresenta un momento di svolta».
Ma questo congresso avviene mentre al-Fatah e Hamas sembrano incapaci di parlarsi...
«Certo. Ho detto ai delegati che la causa palestinese attraversa una fase di regressione, e così pure al-Fatah. Per cui è necessario fare un esame di coscienza, correggere gli errori. Le elezioni della dirigenza (che suggelleranno il Congresso, ndr) sono un passo nella direzione giusta. Duemilatrecento delegati prenderanno parte ad elezioni del tutto democratiche. Nuovo sangue entrerà in circolazione. Un numero maggiore di giovani verrà ora alla ribalta».
Ma non c’è una tensione costante fra la vecchia generazione e la nuova?
«E’ molto vero. La “vecchia guardia” non rinuncia volentieri alle proprie poltrone, alla sua parte di potere. L’esito delle elezioni dovrà comunque essere rispettato da tutti. Sia il Comitato centrale sia il Consiglio rivoluzionario usciranno dal Congresso con una nuova fisionomia».
Dall’estero sono giunti dirigenti radicali come Abu Maher Ghneim e Sultan Abul Ein, che in passato hanno comandato il braccio armato di al-Fatah. C’è dunque da prevedersi un irrigidimento nelle posizioni del partito?
«Per niente. Le parole pronunciate dal presidente Abu Mazen sono state chiare. Il suo è stato un discorso di autocritica, un discorso pungente. Ha ricordato le manifestazioni popolari di Bilin (un villaggio cisgiordano che da mesi lotta contro la Barriera di sicurezza, ndr), e quelle manifestazioni non significano violenza. Abu Mazen ha parlato di resistenza nel contesto del diritto internazionale. I popoli hanno il diritto di scrollarsi di dosso la occupazione. I negoziati sono un modo per farlo. La lotta è un altro modo. La resistenza è un altro modo ancora. Occorre sapere cosa fare, e quando».
Ma non si avvertiva nell’aula del Congresso un’atmosfera di eccessiva radicalizzazione?
«Queste sono osservazioni giunte da certi mezzi di stampa israeliani, pungolati forse dall’ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu. I palestinesi hanno la sensazione che proprio con Netanyahu e con il suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman non ci sia più un partner di pace».
Non è un po’ curioso che un parlamentare di Israele partecipi ad una conferenza di al-Fatah?
«Assieme con i deputati (della Knesset, ndr) Muhammed Baraka e Taleb a-Sana siamo stati accolti con grande calore e con applausi scroscianti. Gli arabi di Israele sono parte del popolo palestinese, anche se la nostra lotta principale è per la eguaglianza dei nostri diritti entro Israele».
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