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L'Opinione Rassegna Stampa
05.08.2009 Dall’Australia agli Usa, la tolleranza non ferma la Jihad
Semmai il contrario. Analisi di Giorgio Bastiani

Testata: L'Opinione
Data: 05 agosto 2009
Pagina: 5
Autore: Giorgio Bastiani
Titolo: «Dall’Australia agli Usa, la tolleranza non ferma la Jihad»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 05/08/2009, l'articolo di Giorgio Bastiani dal titolo " Dall’Australia agli Usa, la tolleranza non ferma la Jihad ".

Altri quattro aspiranti terroristi suicidi sono stati arrestati ieri in Australia, a Melbourne, mentre progettavano di distruggere una base militare. Si sarebbe trattato, nel caso fosse andato a segno, del peggior attentato in territorio australiano. Stando alle fonti di polizia, i kamikaze erano tutti cittadini australiani di origine somala e libanese, legati alla cellula di Al Sabaab che opera in Somalia, dove si sarebbero addestrati. Uno di essi avrebbe anche ottenuto una fatwa per legittimare il piano di attacco. Secondo il premier Kevin Rudd, non ci sarebbe alcun collegamento fra questa azione e il precedente attentato agli hotel di lusso a Jakarta. Questa, insomma, doveva essere un’operazione puramente anti-australiana, progettata da una cellula affiliata ad Al Qaeda. Per sventare la strage, si è resa necessaria una vasta operazione di polizia, con 400 agenti coinvolti, sette mesi di intercettazioni e indagini. L’Australia ha ora un governo laburista, noto per le sue posizioni quasi pacifiste, che ha bandito dal suo linguaggio ufficiale (a partire da quest’anno) espressioni quali “terrorismo islamico” e “scontro di civiltà”, proprio per non offendere la sua minoranza musulmana. Il progetto di attentato dimostra quanto le logiche di Al Qaeda (e del movimento jihadista in senso lato) procedano in modo del tutto indipendente alla politica dei governi occidentali. Non si tratta di reazioni armate a politiche ostili, ma di una lotta armata continua, contro un nemico identificato con la stessa civiltà occidentale, laica e cristiana. L’America di Obama, impegnata in un dialogo sempre più esplicito con il mondo musulmano, riceve lo stesso trattamento ostile: sono ben otto i piani di attentato sventati dall’Fbi nell’ultimo anno, in crescita rispetto agli anni passati. L’ultima operazione anti-terrorismo ha portato all’arresto di sette estremisti del North Carolina, fra cui un’intera famiglia: Daniel Boyd e i suoi due figli, apparentemente tipici esponenti della “middle class” bianca americana. Boyd, che aveva già combattuto in Afghanistan, forniva addestramento e aiuto logistico ai terroristi per azioni contro gli Stati Uniti. E, da quel che risulta dalle indagini, aveva anche intenzione di inviare i suoi due figli a uccidere e farsi uccidere in azioni kamikaze in Israele. Sono molti i casi simili in America scoperti dalla polizia: un convertito all’Islam di Long Island che raccoglieva informazioni su treni e metropolitane di New York; alcuni carcerati convertiti all’Islam che progettavano di far saltare in aria due sinagoghe a New York; un gruppo di immigrati musulmani (naturalizzati 25 anni fa) che pianificava un attentato a Fort Dix; immigrati somali che continuano la loro attività terroristica all’estero. Eppure stiamo parlando dell’America di Obama, appunto. Dove il Dipartimento della Giustizia ha iniziato il luglio scorso una campagna di assunzioni di volontari che possano collaborare con le attività dell’Isna, la Islamic Society of North America, un’associazione su cui gravano sospetti di legami con i Fratelli Musulmani e Hamas. Stiamo parlando di quell’America di Obama che permette a un’associazione estremista, quale Hizb ut Tarir, di organizzare la propria convention a Chicago (trampolino di lancio della carriera di Obama), con un titolo che spiega tutto sui suoi contenuti: “La caduta del capitalismo e la rinascita dell’Islam”. E se fosse proprio questa “tolleranza” nei confronti degli intolleranti a far nascere e crescere il terrorismo in occidente?

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