lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.08.2009 Le dichiarazioni di Abu Mazen al congresso di Fatah non lasciano dubbi
Non è cambiato niente, è come quando c'era Arafat

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 agosto 2009
Pagina: 19
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Abu Mazen, no ai 'corrotti' di Hamas 'Ma anche noi abbiamo fatto errori'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/08/2009, a pag. 19, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Abu Mazen, no ai 'corrotti' di Hamas 'Ma anche noi abbiamo fatto errori' ".

Come previsto, al congresso di Fatah non ci sono novità sul fronte arabo. Abu Mazen sostiene che l'obiettivo è la fondazione di " uno Stato palestinese democratico, con capitale a Ge­rusalemme e una soluzione equa per i profughi.". Ma più che una soluzione equa, ripropone tutte quelle precondizioni che impediscono  una trattativa seria. Si aggiunga la riconferma del no al riconoscimento di Israele come Stato ebraico.
Per quanto riguarda il blocco del terrorismo, Abu Mazen non ne parla nemmeno quando si riferisce ad Hamas. Anzi, dichiara che : " 
Non siamo terro­risti e rifiutiamo la definizione di terrorismo per la nostra bat­taglia ". Anche gli attentati della seconda intifada non erano terroristi? E tutti i tentativi di terrorismo suicida bloccati ai check point? E il caso del palestinese che pochi mesi fa ha ucciso a colpi d'accetta un ragazzino di tredici anni?
Per quanto riguarda le " 
manifestazioni pacifiche contro il muro " a Biilin, le cronache hanno più volte riferito di sassate dei manifestanti contro i soldati israeliani, impegnati a difendere una barriera che ha salvato e continua a salvare molte vite umane dalle stragi del terrorismo palestinese.
Ecco l'articolo:

 
Fatah e Hamas, stessa idea su Israele

BETLEMME — I sorsi di ac­qua e anice accompagnano le quasi tre ore di discorso. Abu Mazen sta seduto sotto la gi­gantografia di Yasser Arafat, fo­to in bianco e nero per un con­gresso che vorrebbe ridare co­lore al Fatah. Dopo vent’anni (l’ultima conferenza era stata a Tunisi nel 1989), dopo gli ac­cordi di Oslo, dopo la violenza della seconda Intifada e la spac­catura con Hamas. La storia raccontata dal pre­sidente palestinese parte da più lontano, ripercorre le tap­pe chiave, esalta il padre-fon­datore, a volte con un sorriso ironico: «Dopo la guerra dei Sei giorni, incontro Arafat alla guida di una Volkswagen, l’unica auto che possedevamo allora. Era in mimetica. Gli di­co: 'Abu Ammar abbiamo per­so, perché indossi la divisa mi­­litare?'. Mi risponde: 'I regimi arabi sono stati sconfitti, noi no'». Abu Mazen invece am­mette gli «errori commessi» («i nostri comportamenti ci hanno allontanato dalla gen­te »), promette «un nuovo ini­zio », attacca i «golpisti e corrot­ti » che hanno il controllo della Striscia di Gaza. «La Palestina resterà unità, non permettere­mo ad Hamas di dividerci». Of­fre ai fondamentalisti di ripren­dere il dialogo, dalla Striscia gli replicano di «essersi com­portato come un clown e di aver rimescolato i fatti».
La piazza della Mangiatoia a Betlemme è ripulita, anche di pedoni e macchine. L’accesso è controllato dalle guardie pre­sidenziali
e dalle squadre di polizia, con le nuove divise an­ti- sommossa, dono di america­ni e europei. Gli oltre duemila delegati arrivano anche da Si­ria e Libano, permessi speciali concessi dagli israeliani (non a tutti, Munir Hussein al-Maqdah è rimasto a Beirut perché è considerato l’uomo di collegamento con Hezbol­lah e l’Iran). In quattrocento non hanno potuto lasciare Ga­za, Hamas chiedeva in cambio la liberazione dei suoi attivisti arrestati dall’Autorità di Ramallah.
La sfida politica non è solo con i fondamentalisti. I «giovani » spingono per rinnovare il movimento, in gioco ci sono i ventuno posti del Comitato centrale e i centoventi nel Consiglio rivoluzionario. Marwan Barghouti corre (e scrive lettere critiche) dal carcere, Mahmoud Dahlan fronteggia Abu Mazen e i suoi fedeli dal palco. Solo un quarto tra i delegati è stato eletto, gli altri sono stati scelti da una commissione presieduta dal presidente, è difficile che il voto di domani porti a una rivoluzione interna.
Il congresso deve approvare la piattaforma rivisitata del partito, quarantuno pagine che dovrebbero moderare l’en­fasi sulla «resistenza armata» contro Israele e chiedere un blocco alle costruzioni negli in­sediamenti prima che i nego­ziati possano ricominciare. Lo anticipa Abu Mazen, che accu­sa il governo di Benyamin Ne­tanyahu «di pulizia etnica a Ge­rusalemme Est»: «L’obiettivo è creare uno Stato palestinese
democratico, con capitale a Ge­rusalemme e una soluzione equa per i profughi. Il nostro sostegno alla pace non vuol di­re che resteremo inermi di fronte alle violazioni israelia­ne. Ci riserviamo il diritto alla resistenza legittima, garantita dal diritto internazionale. Il no­stro popolo può inventare tat­tiche diverse e creative, come le manifestazioni pacifiche contro il muro nei villaggi di Biilin e Niilin. Non siamo terro­risti e rifiutiamo la definizione di terrorismo per la nostra bat­taglia » .
Nel salone campeggia la fo­to di un ragazzino che imbrac­cia un kalashnikov. Per Jibril Rajoub, ex consigliere di Ara­fat, serve a ricordare che «Fa­tah non intende abbandonare l’opzione della lotta armata». Zakaria Zubeidi, ex leader del­le Brigate Al Aqsa a Jenin, mi­naccia la ricostituzione del­l’ala militare: «La destra non vuole la pace». Da Gerusa­lemme, gli israeliani stanno ad ascoltare. Ehud Barak, mini­stro della Difesa, annuncia in parlamento un’iniziativa di pa­ce americana («verrà presenta­ta nelle prossime settimane e per noi sarà importante accet­tarla ») e sostiene che per Fa­tah «il test arriverà dopo il con­gresso
» .

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT