A vent’anni di distanza dalla più recente, Fatah sta preparandosi ad una infuocata assemblea generale. Esautorata in metà della sua stessa terra, fiaccata da lotte intestine, la fazione che fu di Arafat ed attorno alla quale si era incardinata la lotta armata contro Israele fin dai tempi dei primi attentati terroristici – dirottamenti aerei, assalti a scuole ed autobus, la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco – potrebbe spaccarsi di fronte all’ipotesi di riprendere con una terza sanguinosa e disastrosa intifada la politica che precedette gli accordi di Oslo. Accettare come un diritto inviolabile l’ esistenza di Israele o ribadire che lo scopo ultimo di ogni decisione (anche quella di firmare un trattato di pace!) è in realtà l’annientamento di Israele: ecco il dilemma che i delegati affronteranno. Sullo sfondo, Hamas osserva ed attende, confidando nella propria arrogante forza e nell’alleanza con Iran e Hezbollah. Oramai da qualche anno anche i media palestinesi non tacciono più sulle responsabilità del mondo arabo per l’esodo dei 700.000 palestinesi dai territori poi conquistati da Israele nella guerra del 1947-8. Sono oramai moltissime le testimonianze di quei fuggiaschi e le prove che scrittori e leaders politici palestinesi hanno utilizzato per affermare che il problema dei profughi è stato causato dagli stati arabi che avevano assaltato il neonato Israele promettendo una rapida vittoria. Al-Ayyam (13.5.2008), Al-Hayat Al-Jadida (13.12.2006), la televisione palestinese (30.4.1999) hanno confermato che l’ “Armata araba di salvezza” ed i dirigenti arabi locali avevano sollecitato i palestinesi ad abbandonare le loro proprietà per potervi tornare da vincitori entro un paio di settimane, minacciando addirittura chi restasse di essere tacciato di tradimento. Questa crescente consapevolezza, tuttavia, non impedisce l’uso propagandistico anti-israeliano del tema dei profughi, a riprova della doppiezza della politica palestinese ed araba. Per delineare i temi in discussione all’assemblea di Betlemme, lo scorso 7 luglio Kifah Radaydeh del Fatah ha affermato alla televisione palestinese che “il nostro scopo finale non è mai stato la pace. La pace è uno strumento; il fine ultimo è la Palestina”. Khaled Mash’al, il leader politico e strategico di Hamas che vive in Siria, il 25 giugno ha affermato alla televisione Al Aqsa che “noi respingiamo la cosiddetta ebraicità di Israele...che significherebbe la negazione del diritto di 6 milioni (!) di profughi palestinesi di ritornare alle loro case...noi consideriamo la resistenza come una opzione strategica per la liberazione nazionale...”. Come spesso accade, gli estremisti sono quelli che dettano la linea politica anche a chi non la condivide ma non ha la forza o la capacità per contrastarla. Eppure anche in questa delicata situazione Israele – anzi, il governo di estrema destra che guida Israele – non ha esitato a dare una nuova prova di democrazia, di rispetto delle libertà di opinione anche del proprio nemico, di generosità: infatti, è stato accordato il permesso di recarsi a Betlemme anche a terroristi responsabili di stragi e ad altri membri del Fatah residenti in paesi nemici, come la Siria. Fra questi Khaled Abu Usba fu uno degli autori della strage di Tel Aviv che nel 1978 costò la vita a 36 passeggeri di un autobus e che, catturato e condannato a 12 ergastoli, fu scambiato dopo 7 anni con prigionieri israeliani del Fronte Popolare-Comando Generale di Ahmed Jibril. Del resto la stessa Autorità Palestinese ( televisione palestinese, 9 giugno 2009) non esita a ripetere all’infinito le accuse nei confronti degli ebrei, della storia ebraica, di Israele, che oramai sono parte integrante della politica culturale palestinese. Tayseer Tamini, il giudice supremo religioso dell’Autorità Palestinese, è tra questi propagandisti dell’odio ed insegna che il Corano afferma che gli ebrei sono sempre stati il male nella storia dell’umanità, che non esiste alcun luogo santo ebraico a Gerusalemme, che Gesù non era ebreo bensì arabo. Hamas naturalmente non è da meno in questa gara a chi odia di più, ed accusa Israele di contrabbandare a Gaza “stimolanti sessuali” mascherati da gomma da masticare per debilitare la gioventù palestinese (affermazione del portavoce della polizia di Hamas, Islam Shahwan), e perfino di distribuire scarpette sportive che provocano la paralisi a chi le indossa.
Sullo sfondo, i paesi arabi e la loro proposta di una pacificazione globale – ma anche il loro timore di una deriva estremista favorita dall’Iran attraverso i suoi alleati locali Hamas, Hezbollah e Siria – rimangono in disparte. Il fallimento di ogni “piccolo passo” sulla via della pace non è stato recepito dagli Stati Uniti e da Israele come una costante condizionata e voluta dall’estremismo, destinata dunque a perpetuarsi fintanto che gli estremisti saranno i più forti; a questo punto l’innesco della politica iraniana di supremazia regionale potrebbe essere l’unico stimolo alla ricerca di una via d’uscita alternativa.